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Le tre “F” per affrontare la Digital transformation partendo dalle persone

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La trasformazione digitale inizia dalle persone prima ancora che dalla tecnologia. Per creare una popolazione pronta al cambiamento è fondamentale porsi in suo ascolto. HrCoffee, startup pugliese con una mission incentrata sul “fattore umano” suggerisce le tre “F” per fronteggiare una Digital transformation avendo cura della propria popolazione aziendale.

1 – Flexibility

Una realtà per materializzare il coinvolgimento delle persone.  

In un’era di de-materializzazione dei luoghi di lavoro, la flexibility – flessibilità oraria del proprio lavoro – e lo Smart working – lavoro agile, privo di vincoli spaziali – trovano il loro riconoscimento in un contesto culturale sempre più proteso a valorizzare l’identità dei lavoratori riconoscendone non solo una dimensione “aziendale” ma anche “personale” che tenga conto dell’equilibrio lavoro-vita come indice di efficienza delle prestazioni lavorative.

Recenti studi hanno dimostrato come un’organizzazione dinamica che dia spazio a nuove modalità di esecuzione del lavoro, non solo incrementi circa del 35% la produttività aziendale, ma accresca il senso di appartenenza dei collaboratori alla mission della propria organizzazione, anche in virtù dei valori sostenuti dall’azienda e da cui si sentono pienamente rappresentati.

In particolar modo lo strumento della flexibility ha rivelato nell’ultimo decennio effetti positivi sulla partecipazione dei lavoratori alle dinamiche aziendali, in virtù di una “gestione in ascolto proattivo” delle proprie persone. L’azienda ascolterà la voce della sua popolazione, i lavoratori seguiranno le rotte della propria organizzazione. In un meccanismo di reciproca “attenzione” sarà più facile coinvolgere le proprie risorse nei cambiamenti destinati all’innovazione dei processi aziendali.

La flessibilità che raggiunge le esigenze di tutti.

Adattare il tempo-lavoro al tempo-vita delle persone, dunque, è la nuova esigenza che ben presto tutte le imprese saranno chiamate a soddisfare, non solo prevedendo lo strumento dello Smart working, più diffuso nella nostra nazione, ma offrendo (unitamente o in alternativa) la soluzione della flessibilità oraria come ulteriore strumento per realizzare una “società fluida” dei rapporti, mirata a rappresentare e produrre valore nella totale consapevolezza di chi la eserciti.

Un recente rapporto dell’HSBC nell’ambito dell’industria tecnologica del Regno Unito, ha rivelato come l’89% degli intervistati ha individuato nel lavoro flessibile il fattore motivante per incrementare la propria produttività.

La flexibility, inoltre, contribuirebbe a incrementare l’identità personale dei lavoratori, concedendo loro la continua percezione del proprio “io” e scongiurandone il costante rischio di alterazione a cui un regime lavorativo pressante potrebbe esporre nel tempo.

Ogni persona, quindi, portando altrove la propria attività e scegliendo il giusto tempo per realizzarla, avrà modo di sperimentare un confronto di identità – propria e aziendale – lasciando che le due realtà apprendano nuove informazioni reciprocamente, contaminandosi con un approccio positivo.

2 – Finlandia

Un esempio di successo “giuridicamente flessibile”.

La nazione nordica ha abbracciato da decenni le “ore agili” come valore culturale. È uno stile di lavoro che ben si adatta alla radicata cultura del Paese imperniata sul trittico “fiducia-uguaglianza-pragmatismo” e che pertanto non identifica il lavoro flessibile come mero “vantaggio” ma un reale “diritto”, opportunatamente regolato nel 1996 con una legge sull’orario di lavoro. La disposizione normativa conferisce a gran parte del personale di gestire autonomamente il tempo destinato allo svolgimento delle proprie attività, consentendo di anticipare o posticipare l’inizio della loro giornata lavorativa.

La crescita della Finlandia come modello di un sistema “flexy”, sarà destinata ad aumentare nel prossimo 2020 con il nuovo “Working Hours Act” che attribuirà alla maggior parte dei dipendenti a tempo pieno il diritto di decidere quando e dove lavorare per almeno la metà del loro orario di lavoro.

“Si tratta di adeguarsi al mondo moderno” ha spiegato Tarja Kröger, alto funzionario e consulente del Ministro dell’Occupazione e dell’Economia in Finlandia, che ha contribuito alla stesura della nuova legge.

Il contratto, dunque, diviene il luogo giuridico ideale per determinare opportune “agende” che uniranno il carattere personale a quello imprenditoriale.

Sarà persino possibile prevedere la creazione di “banche tempo” rendendo alcuni periodi lavorativi più intensi e lasciando che negli altri ciascun lavoratore investa il suo tempo in ciò che ritiene indispensabile per la sua crescita personale.

3 – Fiducia

 La “culture of trust” che rende competitiva l’azienda.

In molti Paesi, come la Finlandia, è la fiducia alla base del successo del lavoro flessibile.

La “culture of trust”, come afferma Eero Vaara, professore di organizzazione e management presso l’Aalto University School of Business, è fondamentale per costruire un modello di welfare aziendale basato sulla uguaglianza e sulla sicurezza finanziaria unite a processi decisionali caratterizzati da attività di promozione della fiducia.

Spostando i confini dello spazio lavorativo, strumenti come la flexibility e lo Smart working creano un continuo flusso di idee e competenze che necessitano di un ambiente pronto ad ospitarle, trattenerle ed evolverle. Questo sarà reso più semplice in un luogo abitato da persone che nutrano un forte senso di fiducia nell’altro, nelle capacità e nella costanza delle prestazioni lavorative anche se esercitate a distanza.

In uno spazio di lavoro che diventa sempre più “paesaggio di lavoro” sarà fondamentale instaurare tools, sistemi operativi e nuovi processi mirati a mantenere sempre accesa (always-on) e trasparente la comunicazione tra i lavoratori al fine di non compromettere il loro legame di fiducia.

Work-life balance, la ricerca di un giusto equilibrio.

Il successo di ogni processo colloca la sua soluzione nel mezzo di esiti contrapposti. Da una parte il lavoro svolto fuori dalle mura della propria azienda, dall’altra la quotidianità in ufficio vissuta giorno per giorno. La coscienza imprenditoriale di ogni manager dovrà saper trovare un equilibrio tra la “time porosity” e la “technological loneliness”.

Il primo fenomeno rappresenta la reciproca sovrapposizione ed interferenza tra tempo-lavoro e tempo-vita. Grazie ad uno studio condotto dall’Università di Cardiff è emerso che il 39% degli intervistati lavorino un maggior numero di ore quando non sono in azienda, in parte perché è più facile smarrire il confine lavoro-vita quando non è contrassegnato dal proprio ufficio, in parte perché si tende a voler dimostrare ai colleghi che, benché a casa o altrove, si stia comunque lavorando e pertanto contribuendo alla mission aziendale.

Il secondo fenomeno rappresenta invece il senso di solitudine che molti lavoratori potrebbero ritrovarsi ad affrontare come un ostacolo emotivo durante le loro attività giornaliere, vivendo a troppa distanza dagli spazi sociali condivisi con gli altri colleghi.

Il rischio a cui ogni persona potrebbe essere esposta è quello di sentirsi isolati dalle dinamiche d’ufficio non partecipando agli scambi reciproci di competenze e di supporto quotidiano.

Diviene fondamentale, quindi, garantire alle proprie persone un sano equilibrio nel “work-life balance” adottando non solo strumenti che migliorino la comunicazione tra loro, ma anche nuovi schemi di pensiero che rimodellino le strutture organizzative in virtù di una cultura imprenditoriale sempre più agile e al sicuro da ogni rischio.

La trasformazione digitale sarà costante, ma le tre “F” saranno utili alleate per dirsi pronti al prosieguo di ogni cambiamento innovativo. Ovunque, ma per una mission comune. Sempre.

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