Responsabilità del partenariato formativo, fare la differenza partendo dalle persone

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“Quel che da soli non potremmo ottenere, insieme diventa più facile”, ripete un detto popolare, in un input oggi più attuale di ieri. Siamo in un momento delicato per il Paese, confuso e disorientato davanti agli eventi che ogni giorno segnano cambiamenti e trasformazioni e che sono fenomeni ormai costanti nella vita delle organizzazioni. È una situazione per la quale l’impegno delle parti sociali e del sindacato in particolare assume la dimensione della corresponsabilità e di un passaggio storico.

Porsi il problema della partecipazione alla gestione delle imprese diventa oggi il segno di una ricerca di nuova coesione sociale, di patti significativi, di partenariati intelligenti, di lungimiranza culturale, di assunzione di un compito che non può non appartenere alla lunga serie di impegno civile già espresso dal sindacato e dalle imprese in più occasioni. Non è facile, ma oggi può significare un gesto che arricchisce il patrimonio di un’organizzazione che, senza rinnegare il proprio passato, vuole svolgere anche il ruolo di co-attore nelle responsabilità di gestione.

Questo gesto si pone opportunamente in un momento in cui lo sforzo più grosso dovrà essere speso a superare la “cultura del nemico” nel dilagare di tanto odio, violenza e arroganza, e in un diffuso senso di ingiustizia sociale. In questo contesto, sono convinto che una diversa e leale attenzione alle persone possa fare la differenza e che, pertanto, diventi un impegno determinante formare e valorizzare persone consapevoli e responsabili. Non si vedono altre priorità, in questo senso.

Più che personale, persone che lavorano

Ecco perché merita evidenziare l’evoluzione in corso dei ruoli, delle funzioni di chi lavora: stiamo passando dall’espressione “personale” –nella sua inespressività, nella sua neutralità intraducibile– a forme nominali come “dipendenti”, “follower” “collaboratori”, “risorse umane”, “stakeholder”, che vorrebbero segnalare i cambiamenti in corso nella cultura organizzativa che guarda con maggiore attenzione ai suoi componenti.

Persino la locuzione “risorse umane”, nella sua implicita visione strumentale, non riesce ancora a esprimere il pieno senso di protagonismo che si vuole oggi far risaltare in chi lavora. Allora un’altra definizione, più ricca di senso e di significato, può riflettere, con pienezza, un nuovo protagonismo nelle moderne organizzazioni: proviamo a pensare a quale eco e a quale atteggiamento interiore possa suscitare l’espressione “persone che lavorano!”.

E sì, per il sindacato è conquista anche di un linguaggio diverso, ricco di significati, portatore di pensiero nuovo e di posizioni coerenti. Basti solo qualche riferimento a intellettuali che, nel tempo, hanno definito la persona: “il diritto sussistente” (Rosmini); “un assoluto umano” (Mounier); “una sintesi originale di individualità e di socialità” (Maritain).

In un processo di partecipazione e di cooperazione, la persona, però, va aiutata a formarsi una responsabilità ragionevole e una consapevolezza distintiva, quale sensibilità per mediare tra il contesto personale e quello sociale; ad acquisire una coerenza, quale capacità di scelta per quello che sente coerentemente con il sociale e i principi personali; a vivere una fedeltà, in grado di confermare la consapevolezza nel tempo. Il tutto senza perdere di mira la giustizia e il bene comune.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di maggio 2019 di Persone&Conoscenze.
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