Il nostro nuovo collega si chiama AI, solo l’evoluzione culturale ci salverà

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La trasformazione digitale ci pone in contatto con dispositivi tecnologici che ormai rappresentano la nostra quotidianità, tanto da non farci quasi più accorgere della crescente interazione tra uomini e macchine.

Nel corso della storia, numerose invenzioni tecnologiche hanno semplificato la nostra vita, cambiando radicalmente il modo di lavorare delle persone e permettendo a queste ultime di avere più tempo a disposizione da investire in altre attività, come la propria formazione professionale.

Pensiamo alla rivoluzione rappresentata dal personal computer negli Anni 80, oppure dal web negli Anni 90 e dagli smartphone negli anni più recenti. Oggi l’interazione con strumenti digitali avviene attraverso la nostra voce, dialogando con oggetti che ci rispondono utilizzando il linguaggio naturale.

Federico Cabitza, Professore Associato di Interazione uomo-macchina e Interazione uomo-dato all’Università di Milano-Bicocca, spiega che “l’interfaccia con i software si sta spostando da un concetto di efficienza ed efficacia verso un terreno etico, legato all’influenza di questi strumenti sui nostri comportamenti quotidiani, come gli acquisti o le idee politiche”.

In ambito lavorativo, sempre più spesso si sente parlare della possibilità che molte professioni vengano sostituite dalle macchine. A riguardo Cabitza cita un recente sondaggio a livello europeo sulla relazione tra robot e umani, secondo il quale “le persone tendono a sovrastimare la possibilità che in un breve arco temporale il lavoro umano sarà profondamente modificato e l’Intelligenza Artificiale (AI) prenderà il posto delle persone”.

Secondo l’esperto ciò è dovuto soprattutto al fatto che “si tende a credere a continue sollecitazioni mediatiche che spingono sull’entusiasmo e sull’accelerazione di questi cambiamenti”.

D’altro canto, però, “tendiamo anche a sottostimare la capacità di queste tecnologie di sostituirci, perché crediamo che basti essere esperti del nostro settore professionale per salvaguardare la nostra posizione e che la creazione del valore da parte dell’uomo non sia automatizzabile”.

A tal proposito, Cabitza ricorda che le forme più evolute di AI non hanno più bisogno di una rappresentazione formale ed esplicita dei processi e dei protocolli per essere efficaci, perché si basano sulle tracce del lavoro passato per capire come comportarsi.

Tra queste due visioni, probabilmente la verità sta nel mezzo, in “un punto di equilibrio dove c’è una consapevolezza delle trasformazioni tecnologiche e, allo stesso tempo, delle complessità positive e uniche delle capacità umane”.

L’uomo sa trarre vantaggio dalle rivoluzioni

Federico Cabitza

Certamente l’avvento di nuove tecnologie è destinato a mettere in discussione (se non a eliminare) diversi lavori facilmente automatizzabili. Ma tale rivoluzione, come altre in passato, sarà anche capace di far nascere nuove figure professionali.

Un grande contributo da questo punto di vista “verrà dato proprio dalla specie umana che è estremamente resiliente e sa adattarsi con inventiva alle novità per sfruttare le opportunità che ne derivano”. Secondo Cabitza, dunque, “non dobbiamo spaventarci, perché l’uomo ha una grande capacità di assorbimento dei cambiamenti e la storia insegna che nel lungo periodo il saldo è sempre positivo”.

L’utilizzo di strumenti innovativi può anche essere utile ad affiancare certi mestieri, come il Responsabile HR, l’avvocato o il medico, senza comunque farli sparire. Ma a una condizione: “Che si cambino i piani di studio delle scuole, fin dalle elementari, per investire in una cultura adeguata a queste trasformazioni e per formare nuove professionalità evolute, capaci di essere affiancate dalle tecnologie”.

Questo aspetto, secondo il professore, oggi rappresenta “un grande problema dell’Italia” dove “manca un’educazione su questi temi per formare nativi digitali che siano davvero consapevoli della realtà tecnologica che li circonda”.

Come dimostrano numerose ricerche, in futuro saranno sempre più richieste figure tecniche specializzate nelle materie STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), e anche figure più ibride rispetto alle scienze umane, ma fortemente radicate nel metodo scientifico in grado di lavorare nella nuova società di servizi, però attualmente il gap di competenze non permette di incrociare in modo adeguato domanda e offerta. Un problema notevole, quello dello skill shortage, per l’Italia, che rappresenta la seconda manifattura europea.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Marzo di Persone&Conoscenze.
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