Decreto Dignità, in Italia si assume solo se c’è elasticità

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Marco Leonardi

Il decreto Dignità produce l’esplosione del contenzioso, dissuade le assunzioni a termine, causerà un’inversione di tendenza del mercato del lavoro. Ne è convinto Marco Leonardi, Professore di Economia all’Università degli Studi di Milano e Consigliere economico della Presidenza del Consiglio dei Ministri con il Governo Gentiloni e che di recente si è schierato contro il provvedimento, destinato, come scrivano i media, a essere però rivisto in Parlamento.

Raggiunto al telefono da Runu.it, ha spiegato il perché delle sue critiche.

Partiamo dalla questione contenziosi. Lei scrive che negli ultimi anni si sono ridotti dell’80%, perché invece prevede che ora aumenteranno?

Nel decreto Dignità è stato scritto che, oltre ad aver diminuito la durata dei contratti a termine da 36 a 24 mesi, ne verranno rintrodotte le causali, ossia le aziende dovranno mettere nero su bianco perché decidono di assumere una persona con quel contratto e non con uno stabile. È molto probabile che questo cambiamento spingerà i lavoratori in Tribunale, perché potenzialmente tutte le motivazioni sono appellabili. Inoltre, il provvedimento è retroattivo, quindi vale già per i contratti in essere. Questo significa che ci sono milioni di contratti in attesa di rinnovo e quindi milioni di possibili cause di lavoro. Non credo che il nostro sistema sia pronto a sobbarcarsi questo carico.

È convinto che il decreto porterà a un calo dell’assunzione a termine. Perché?

In Europa è dagli Anni 90 che misuriamo il tasso di occupazione con il sistema Eurostat che tiene conto anche delle assunzioni a termine per la misurazione. Dover inserire una causale e avere la possibilità di rinnovo limitata, invece, disincentiva le aziende a utilizzare i contratti a termine. Ed è noto che questa tipologia di contratti è aumentata molto grazie alle leggi sul lavoro del passato Governo, favorendo la crescita del tasso di occupazione. Quindi è vero che ci saranno meno precari, ma questo vuol dire che ci saranno meno occupati, perché i dati dicono che le aziende faticano ancora ad assumere i lavoratori con contratti a tempo indeterminato.

C’è un’altra novità nel decreto Dignità che non la trova favorevole ed è l’aumento dei costi per il licenziamento. Perché ritiene che sia una misura in contraddizione con la riduzione della durata massima dei contratti a termine?

Perché è dimostrato che nel nostro Paese le aziende assumono solo se c’è elasticità. Anche l’Ocse ha infatti plaudito al Jobs Act, invitando l’Italia a mantenere attivi i benefici. È vero infatti che se riduci la durata dei contratti a termine, incentivi la stabilizzazione, ma se aumenti i costi di licenziamento questo significa ridurre la possibilità di fare nuove assunzioni. Qui sta la contraddizione: con una mano favorisci le stabilizzazioni, con l’altra le ostacoli.

Il decreto Dignità quindi apre una nuova dialettica tra lavoratori e aziende, questo potrebbe portare nuova linfa ai sindacati?

Certamente saranno molti di più i lavoratori che si rivolgeranno ai sindacati. Il mio augurio è che le sigle sindacali tornino ad assumere un ruolo di mediatore e non fomentino le cause di lavoro, se non in casi eccezionali, ma aiutino i lavoratori a muoversi nel mercato del lavoro, in continua evoluzione.

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