Mettersi al servizio delle persone, il vero ruolo del formatore

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Dal primo giorno in cui sono entrato in aula, da forma­tore, mi sono chiesto come coinvolgere le persone. An­cora oggi questa domanda mi accompagna, così come mi guidano le risposte –non teoriche, ma pratiche– che vengono prevalentemente dall’esempio dei formatori importanti per me.

Se torno con la memoria ai miei insegnanti di scuola, ricordo quelli che mi hanno fatto amare la loro mate­ria, quelli che mi hanno coinvolto nella loro esperienza affettiva, perché, ne sono certo, loro stessi amavano quella disciplina e desideravano condividerla. Forse quest’affermazione potrà sembrare banale o scontata, ma ci si dimentica, talvolta, che l’apprendimento non è un processo esclusivamente razionale; al contrario, è –prima di tutto– relazionale e profondamente con­nesso all’affettività. Il rapporto tra l’apprendere e la dimensione affettiva è complesso, perché impariamo contenuti immersi in una profonda realtà affettiva e l’affettività stessa viene appresa attraverso un rapporto indissolubile con i contenuti.

Ferdinando Montuschi sull’argomento ha scritto: “L’affettività viene quindi messa in rapporto all’ap­prendimento nel duplice significato di apprendere la propria affettività e di apprendere dei ‘contenuti cul­turali’ attraverso processi significativi. Questo equiva­le a dire che sono soggetti ad apprendimento tanto i dinamismi affettivi quanto i contenuti culturali”.

Oggi la parola “amore” è talmente ampia, alta e idea­lizzata da far quasi paura e, allo stesso tempo, il suo uso in ogni contesto e per ogni occasione la svilisce. In una pubblicità è un device digitale, di ultima generazione –guarda i casi della vita!– a ricordarci di amare, anzi si assume il compito di insegnarci il significato stesso dell’amore. Insomma, questa parola è a tal punto sti­rata, ristretta, sdrucita che, con essa, si può intendere qualsiasi cosa, persino il suo contrario.

Quindi mi devo impegnare a spiegare, cosa intendo. Un significato, che ha senso per me, nasce dal primo corso di formazione che ho frequentato da dipenden­te. Mi occupavo di sicurezza e personale per una PMI metalmeccanica. Mi avevano iscritto a una formazio­ne per ‘Responsabili Intermedi’ e io, fresco di studi, avevo considerato l’iniziativa con entusiasmo.

 

Il cor­so era ben congegnato, alternava contenuti tecnici a quelli che oggi verrebbero definiti ‘comportamenti organizzativi’. Ero affascinato in modo particolare dalle lezioni di un formatore con grande esperienza nella gestione del personale. Mi piaceva il suo stile. Era umile e sapeva creare un clima di attenzione e par­tecipazione; tutti erano coinvolti, ciascuno poteva dire la sua e lui sapeva valorizzare ogni singolo contributo.

Avevo l’impressione di essere coinvolto in un percorso di scoperta, in cui non c’era una verità già scritta a pri­ori – una ricetta– ma il contenuto della lezione veniva ‘costruito’ insieme con i partecipanti. Avendo frequen­tato lezioni asettiche in aule ad anfiteatro in cui c’era­no centinaia di studenti, quella formula mi aveva pia­cevolmente sorpreso.

Ma ciò che mi piacque ancor di più fu la sua risposta quando gli chiesero perché avesse deciso di fare il formatore dopo tanti anni da manager. Ricordo bene quello che disse, nonostante sia passato molto tempo: “A un certo punto della vita, ho sentito il bisogno di condividere la mia esperienza con altri.

Nel corso della carriera ho avuto successi e sconfitte, da queste alterne vicende ho appreso molto e ho deciso che sarebbe stato importante non tenerlo solo per me, ma metterlo in comune con altri. Intendo il ruolo del formatore come ‘mettermi al servizio delle persone’, aiutarle a trovare il loro modo di svolgere al meglio il ruolo.

Cerco di farlo con autenticità, raccontando one­stamente quello in cui credo, senza giudicare il punto di vista degli altri, accettandolo, ossia riconoscendone l’esistenza, ma non tirandomi indietro, per paura, dal dire la mia, coltivando il discernimento.

Poi cerco di fare costantemente attenzione a presenza, consapevo­lezza e aggiornamento. La posizione del formatore non implica superiorità, ma definisce compiti e confini nei quali ciò che si sta facendo possa essere chiaro a tutti. Nondimeno c’è una cosa che considero la più impor­tante e bella del fare formazione: amare i miei parte­cipanti”.

Quell’affermazione, così forte e appassionata, lasciò tutti a bocca aperta. Non subito, solo dopo anni di for­mazione inizio a intuirne il significato.

Di formazione si parlerà in occasione di Formare e Formarsi Milano 2018, il grande evento che ESTE, con la sua rivista Persone&Conoscenze, dedica a questo mondo, un’occasione di incontro e di dibattito per comprendere e approfondire il tema.

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