Calo delle nascite e immigrazione, l’impatto demografico nel lavoro

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Per comprendere le variazioni e i possibili scenari della demografia italiana e il loro impatto sul mondo del lavoro, è bene partire da un breve excursus storico sull’andamento registrato di popolazione residente, nascite e decessi nel tempo.

Durante la Seconda Guerra mondiale si registrò, come naturale risposta al conflitto, un brusco calo della natalità e un’impennata della mortalità, sia pure a fronte di un debole aumento della popolazione residente. Nel Dopoguerra, la mortalità riprese a scendere raggiungendo, nel 1950, un tasso intorno al 10% che da allora è rimasto pressoché costante, dato che negli ultimi decenni l’invecchiamento della popolazione è stato compensato dalla riduzione della mortalità nelle varie fasce d’età.

D’altra parte, negli stessi anni, la natalità riprese lievemente a crescere con un tasso che si è attestato attorno al 20% fino al periodo del boom economico. In particolare, a metà degli Anni 60 si ebbe il cosiddetto Baby Boom, con una media di 2,7 figli per donna.

Il tasso di crescita naturale della popolazione però, in quegli stessi anni e fino alla metà degli Anni 70, fu contrastato dal saldo migratorio in quanto, al netto dei rientri dall’estero, emigrarono 2,9 milioni di persone. Altra caratteristica degli Anni 50 e 60 fu la tendenza alla migrazione interna, dalla campagna verso la città e dal Sud verso il Nord, facendo registrare un picco dei residenti nelle grandi città (circa 11,2 milioni di persone si concentrarono nelle città più grandi).

Gli Anni 70 e 80 si caratterizzarono per una riduzione dei flussi migratori verso l’estero: per la prima volta l’Italia non era più un Paese dal quale si emigrava per cercare un maggiore benessere. Nello stesso periodo si ebbe, però, una riduzione della natalità su valori molto vicini a quelli della mortalità fino al 1986 che rappresentò un anno di svolta, in quanto per la prima volta si registrò una diminuzione della popolazione residente dal 1918.

Dall’inizio degli Anni 80 diminuì l’indice di dipendenza a causa dell’aumento delle coorti in età di lavoro e della diminuzione delle coorti di giovani. L’indice di dipendenza tornò ad aumentare negli Anni 90 a causa dell’aumento della popolazione anziana (che passò dal 20% a circa il 35%) e della contemporanea stazionarietà delle coorti giovani (circa il 20%). Oggi l’Italia è tra i Paesi con la maggior quota di anziani al mondo assieme alla Germania, alla Spagna e al Giappone.

Lo stop alla crescita dagli Anni 90

Dal 1993 il tasso di crescita diventa negativo, riflettendo un tasso di fecondità che si attesta molto al di sotto del livello di sostituzione (circa 2,1 figli per donna), fino ad arrivare nel 1995 a 1,2 figli per donna (Figura 2 nella pagina seguente).

In quegli anni il saldo migratorio comincia a essere positivo, anche se piuttosto basso, e le quote di anziani e giovani si equivalgono, attestandosi entrambe intorno al 22%. Nel 1990 inoltre, la speranza di vita per le donne italiane raggiunse gli 80 anni.

Dalla seconda metà degli Anni 90 si è registrata una ripresa dei flussi migratori interni da Sud verso Nord. Nel 2009 il rapporto percentuale fra la numerosa popolazione di 65 anni e oltre (22% sul totale) e la ridotta popolazione da zero a 15 anni (14%) ha raggiunto un valore elevatissimo per il sesso femminile pari a oltre 170 a 100, mentre per il sesso maschile è arrivato a 120.

La rivoluzione demografica che si è attuata e si sta ancora attuando nel nostro Paese, nelle nascite e nella struttura per età della popolazione, è frutto di diversi fattori concomitanti che hanno contribuito e, contribuiscono tuttora, a tali rivolgimenti.

Questi fattori, esposti di seguito, agiscono direttamente sul lavoro e sull’occupazione, inducendo quindi una sorta di timore o di impossibilità a procreare per i rischi derivanti da fattori strettamente economici oppure, al contrario, per motivazioni esattamente opposte (pensiamo soprattutto alle donne spesso costrette a rinunciare alla maternità in mancanza di strutture adeguate ad accogliere i bambini in loro assenza, non potendo rinunciare al loro reddito di lavoro).

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di luglio-agosto-settembre 2019 di Persone&Conoscenze.
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