“Io ti incorono signore di te stesso” Il coachee alla ricerca del successo

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di Valentina Casali

Allenare i comportamenti di alcune figure chiave per rispondere alle sfide organizzative e del contesto esterno diventa, sulla via del miglioramento continuo, un asset strategico. Il coaching risponde a questa esigenza, ‘guidando’ le persone lungo un percorso di crescita. 
Ma cosa significa guidare? Quali caratteristiche deve avere il coachee per essere guidato al meglio? Con quale spirito deve approcciarsi a un percorso di coaching affinché sia efficace? Lo abbiamo chiesto ad alcune delle più importanti società specializzate in coaching.

Un’indagine McKinsey valuta in un valore di 1 a 20 il rapporto costo/ricavi dei progetti di miglioramento di oltre 2 mila imprese sparse in tutto il mondo. È indubbio che con la globalità dei mercati e i cambiamenti repentini degli ultimi anni le organizzazioni debbano migliorare la propria capacità competitiva, non tanto per il successo di lungo periodo quanto per sopravvivere nel breve. Con questo imperativo, sempre più aziende stanno cogliendo il valore del coaching come strumento di crescita. Non soltanto per le organizzazioni, ma anche per le persone, nei loro aspetti privati oltre che in quelli professionali.

Lo skill coaching al servizio del life long learning
Occuparsi in maniera costante del mantenimento e dell’aggiornamento del capitale di competenze è la chiave di volta per poter navigare con consapevolezza in contesti instabili e in continuo cambiamento. Se vogliamo dare una nome a questa attività –da anni oggetto di dibattito in ambito HR e oggi necessità imprescindibile per i singoli e per le aziende– parliamo di life long learning. Rispetto a questo bisogno e con il fine ultimo di creare luoghi virtuosi di apprendimento continuo, Praxi e Ideamanagement hanno realizzato un modello innovativo di coaching: lo skill coaching. “Con il nostro modello –raccontano Cristina Andreoletti, Partner e Responsabile Divisione Formazione e Sviluppo Praxi Milano, e Fulvia Frattini, Partner Responsabile Skill Coaching Ideamanagement Human Capital– vogliamo accompagnare sia le aziende a creare ‘spazi’ per facilitare l’apprendimento delle competenze (palestre), sia i singoli a sviluppare la capacità di ‘imparare a imparare’ mentre allenano specifiche competenze”.
Lo skill coaching consente di ‘guidare’ le persone verso il miglioramento coniugando lo sviluppo di una specifica competenza (la capacità bersaglio) con l’acquisizione di un metodo di apprendimento che le supporta nel self development. “Si parte –continuano Andreoletti e Frattini– con una diagnosi delle competenze (assessment) nel corso della quale il coachee assume consapevolezza delle proprie capacità e di come entrano in gioco. Poi si identifica una ‘capacità bersaglio’ fattibile, misurabile, in linea con i bisogni aziendali e con i propri. Nella fase di definizione della capacità bersaglio vengono focalizzati due elementi chiave di un percorso di coaching: la creazione di una partnership tra i diversi attori coinvolti (HR, capo, coachee) e la motivazione intrinseca del coachee”.
È, infatti, fondamentale, per la massima efficacia di un percorso di coaching, che il coachee sia convinto della rilevanza della capacità bersaglio per la propria crescita professionale e di performance, al fine di investire energia e tempo in apprendimento dentro e fuori le sessioni di coaching. “La guida di uno skill coach esperto di competenze, che tiene conto dello stile di apprendimento privilegiato dalla persona, che sa come progettare ‘sequenze di apprendimento’ e che utilizza una cassetta degli attrezzi ampia e specifica per capacità è senz’altro un fattore fa-cilitante nonché un acceleratore del processo di cambiamento. Ma –concludono Andreoletti e Frattini– soltanto un coachee davvero consapevole e motivato fa la differenza”.

Il coaching è per tutti?
Secondo il parere di Laura Quintarelli, Partner di Fedro Training Coaching and Mentoring, “chiunque può accedere a un percorso di coaching; non sono pertanto richieste caratteristiche particolari. La convinzione che muove le nostre azioni e i nostri interventi in azienda è che ogni individuo può, se stimolato nel modo corretto, esprimere un grande potenziale e rendere visibili le proprie competenze per ottenere i risultati desiderati. Migliorare non necessariamente significa cambiare; si possono ottenere performance migliori anche attraverso la consapevolezza dei propri punti di forza e l’individuazione di ciò che sta sotto il nostro controllo, al fine di indirizzare le energie e non disperdere il focus. Molta importanza riveste allora il processo di ‘onboarding’ che l’azienda attua nella fase di scelta e comunicazione dell’attività alle persone interessate, le quali non solo devono essere lasciate libere di scegliere 
il coaching, ma devono anche essere al corrente delle modalità e delle peculiarità dell’attività che li vedrà attivi nello sviluppo dei contenuti e delle modalità”. Certamente, continua Quintarelli, dal lato del coachee servono “curiosità verso se stesso, oglia di sperimentare e disponibilità a guardare le cose in modo diverso”. Il percorso di coaching è un vero e proprio viaggio di scoperta di cui il coachee è protagonista. “Occorre quindi che si faccia metaforicamente carico del proprio sviluppo. Molto frequentemente le persone, per lo meno nella fase iniziale, approcciano il coaching con un misto di diffidenza e senso di sospensione. Perché sia efficace occorre allora che il coach crei quel clima di fiducia atto a permettere al proprio cliente di sentirsi libero di esplorare e accolto in tutte le sue manifestazioni”.

Per leggere l’articolo completo (totale battute: 37000 circa – acquista la versione .pdf scrivendo a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434419)

 

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