Maternità, il ‘training on the job’ più completo

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La maternità è come un master, dicono. La gestione della genitorialità femminile  è una palestra –a frequenza obbligatoria–che porta alla luce in maniera schietta e potente i propri limiti e ti scalcia fuori dalle zone di comfort in cui fino a quel momento pensavi di allenarti.

In realtà ti stavi solo riscaldando per la gara, quella vera. Gestione dello stress, multitasking, empatia, negoziazione, autocontrollo, organizzazione del lavoro sono solo alcune delle competenze che secondo gli esperti si possono sviluppare e coltivare grazie alla feroce pratica sul campo.

Da mamma impari innanzitutto a mettere da parte te stessa e le tue priorità per qualcuno che dipende totalmente da te e dalle tue scelte. Si impara a trovare un compromesso, non per quieto vivere, per rassegnazione, ma per sopravvivenza. E i compromessi si impara a trovarli prima con se stesse, con le proprie esigenze, i propri bisogni, anche primari –e questa è la parte più dura– e poi, solo dopo, con tuo figlio. Il compromesso è un ottimo espediente per far emergere un altro aspetto che è alla base della buona riuscita di tutto il ‘progetto’: il senso di responsabilità.

La capacità di fare propria una missione si sviluppa anche in questo caso in due direzioni: verso tuo figlio, in maniera immediata e naturale, quando nei primi mesi il fagottino rappresenta di fatto un prolungamento del tuo corpo. E poi verso te stessa e verso gli impegni che hai promesso di mantenere lungo il percorso della sua crescita. Perché gli obiettivi che ti prefiggi dipendono esclusivamente dal tuo comportamento. Non dal collega, dal fornitore, dalla nonna o dalla tata. Per quanto si possa delegare, demandare e cedere incarichi, la colpa o il merito per l’andamento del percorso di maternità riportano sempre alla mamma, che è anche il giudice più implacabile della sua condotta.

Il senso di responsabilità necessita, per mantenersi, di un buon livello di disciplina, soprattutto nei momenti in cui vorresti mollare e ipnotizzare tuo figlio con un video preso a caso da YouTube. Prima di avere una figlia mi consideravo una persona capace di una buona dose di autocontrollo e, appunto, di disciplina e metodo. Ma si trattava solo di una percezione annacquata. La vera disciplina scatta nei momenti realmente critici, quelli che mettono a dura prova pazienza e resistenza, anche fisica. Quando vorresti mandare tutti i buoni propositi educativi a quel paese e abbandonarti a 10minuti di solitudine chiusa in bagno, sperando che ‘santa’ Maria Montessori interceda per le sorti di tua figlia.

La disciplina, coltivata a denti stretti che nemmeno i monaci zen, non ci trasforma però in bacchettone intransigenti perché per un tot di disciplina serve altrettanta capacità di deviare dalla routine quando esigenze estemporanee lo richiedono. È il problem solving, cioè la capacità di reagire a un intoppo e individuare una soluzione in tempi brevi, a essere messo alla prova. In tutto questo ‘training on the job’ c’è però una competenza che pochi ritengono essere allenata dalla maternità, ma che sottende al senso dell’intero progetto.

Una mamma impara innanzitutto a essere un capo. È capo (cioè ‘testa’ e ‘guida’) di un intero progetto di vita. Qualche tempo fa il mio compagno mi ha detto che si sente un accessorio, che gli do solo ordini e che non chiedo mai la sua opinione. Leggendo un romanzo sono inciampata poi in queste parole: “Leo sembrava figlio suo, non nostro. Ha iniziato a chiedermi le cose in un modo diverso, come fosse diventata il capo… pareva non fidarsi di me, spesso mi parlava come a un figlio poco intelligente…”. E ancora: “Qualsiasi cosa dovessi fare, sembrava avessi bisogno della sua supervisione… controllava tutto”. A San Valentino ho regalato questo libro al mio compagno, povero sventurato.  Pare insomma che la sensazione di essere dei soldatini al servizio di un matriarcato sia comune tra i neo-papà.

Inizialmente queste accuse mi sono sembrate davvero ingrate e vittimistiche. Insomma, il vero uomo alfa si fa schiacciare dagli ordini impartiti mollemente da una neomamma in preda agli ormoni dell’allattamento? E, soprattutto, dov’è il riconoscimento per l’impegno a tempo pieno che una donna porta avanti praticamente da sola, sette giorni su sette, cercando nel contempo di ritrovare un senso alle giornate che le sono state rimescolate da un giorno all’altro?

Dopo aver metabolizzato la rabbia e il senso di frustrazione sono arrivata a un punto. La realtà è che la natura ha fatto un grande dono alle donne perché la maternità le mette di fronte a ciò che la società moderna spesso impedisce loro di fare: il capo. Un’opportunità con cui, volente o nolente, la mamma deve confrontarsi se vuole crescere un figlio. Lei decide, rischia, investe tempo e fatica, a volte perde, ma prosegue verso gli obiettivi, e chiede di essere seguita, chiede che le ci si affidi, chiede agli altri un passo indietro per farne due in avanti, tutti insieme. E questa forse è la vera fatica per le mamme, ma anche per i papà, la palestra che nessun altro incarico potrà allenare.

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