L’uovo di Mario (seconda parte)

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di Gabriele Pillitteri

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Per MarioCon le mani sudate, incollate al volante e la mente sconvolta, Ottavio sbagliò strada parecchie volte per andare in agenzia e vi arrivò più tardi del solito. Si rifugiò nel suo ufficio, accese il PC e puntellò i piedi sul pavimento per bloccare il tremore delle gambe. Compose l’interno della segretaria e le chiese di organizzare per mezzogiorno un incontro con il consorzio. Giusi, sorpresa, rispose con il solito garbo che l’aveva già fissato per le 12 su indicazione di Mario che avrebbe dovuto presentare i bozzetti e i preventivi della campagna. Alle 10 Giusi entrò nell’ufficio di Ottavio, aveva l’aria preoccupata quando disse “Mario non s’è visto e neppure ha telefonato; forse ha prolungato il week end, strano però che non si ricordi l’appuntamento con il cliente”. Ottavio era impegnato con il suo scacciapensieri: per placare gli stati d’ansia costruiva figure geometriche con matite e biro. Non si stupì quando s’accorse di aver formato una figura simile a una pistola. Si ricordò che doveva farla sparire. Guardò Giusi e le disse “Andiamo, prepara il materiale, vieni anche tu”.
Partirono subito, in auto. Ottavio aveva lo sguardo assente, sembrava un automa, non invogliava al dialogo. Giusi, al contrario, voleva parlare: custodiva un piccolo segreto che aveva condiviso con Mario e aspettava il momento favorevole per raccontarlo, ma al suo fianco c’era un muro di gomma. Dal finestrino Giusi osservava in silenzio uno spettacolo inconsueto per chi vive in città e dimenticò il segreto di Mario; la rorida luce del tardo mattino faceva risplendere i bianchi rami dei pioppi ricoperti di brina che sembravano grandi spineti congelati. All’Autogrill si fermarono per fare il pieno di gasolio e bere un caffè. In un angolo del bagno l’uomo vide un grosso sacco nero per la spazzatura, avvolse la pistola con il sacchetto di plastica e la fece sparire fra carne putrefatta e pasticcini avariati. Si lavò le mani e riprese il viaggio; si sentiva sollevato e sicuro di sé.
All’appuntamento erano attesi dal presidente e un paio di dirigenti. Furono invitati a sedersi. Sul tavolo, un vassoio di cristallo colmo di uova bianchissime sembravano scolpite nel marmo. Al consorzio vigeva l’abitudine di regalare un uovo ricordo agli ospiti. I fatti che ci colpiscono a volte ritornano per colpirci, più duramente, una seconda volta. Ottavio attirò a sé il vassoio, prese un uovo, lo accarezzò sussurrando parole senza senso e, gridando al presidente “Provi a pararlo”, glielo lanciò. L’uomo fece un passo indietro e l’uovo gli cadde sulla punta di una scarpa che si colorò di giallo. Il manager sorpreso e stizzito esclamò “Ma lei dico, cosa voleva che facessi?” poi continuò con tono sferzante “S’è mai vista una simile idiozia, tirarmi un uovo fresco? Chieda al suo collega come si fa, e poi perché lui non è venuto? La riunione è finita, la prossima volta venga con Mario”. E se ne andò. Durante il viaggio di ritorno Ottavio ripensò all’uovo lanciato al presidente e alle sue parole. Pensieri che gli chiusero la gola in una morsa, mentre la cupa sensazione di essere finito in una trappola di Mario gli scavava un doloroso vuoto allo stomaco. Fuori di sé, con la voce strozzata gridò “Cosa, cosa avrei dovuto chiedere a Mario?” Giusi, più preoccupata per la risposta che stava per dare, che per l’insuccesso della riunione, mormorò facendosi piccina piccina “Il presidente si riferiva all’uovo bollito, l’uovo di Mario”. E svelò a Ottavio il piccolo segreto che avrebbe voluto raccontare durante il viaggio di andata.
L’uovo che Mario aveva lanciato al presidente alla prima riunione, l’aveva acquistato lei alla COOP e fatto bollire nella mensa dell’agenzia. Mario le aveva confidato d’aver letto sul sito del consorzio della strana abitudine del presidente di regalare ai visitatori un uovo ricordo prelevandolo da un vassoio sul tavolo delle riunioni. “Mario, mi disse, ti affido il compito speciale di cuocere l’uovo fin che diventi duro come una pallina da golf, mi appello alla tua attitudine di massaia mancata”. Quelle parole ingenuamente ripetute da Giusi a Ottavio per poco non lo fecero uscire di strada. Ma ciò che lo fece uscire di testa fu una domanda che si pose e a cui non seppe rispondere: “Perché il presidente che non poteva sapere che l’uovo di Mario era stato bollito, lo aveva preso al volo pur credendolo fresco, e quando io ripetei la stessa azione lo lasciò cadere in terra? Perché?
In agenzia tre carabinieri e un maresciallo stavano aspettando Ottavio. L’amministratore delegato li aveva fatti sedere nell’elegante sala d’attesa. Quando li vide Ottavio fu colto da un pessimo presentimento. Un milite gli domandò “Lei è il signor Ottavio Croci?” “Sì” rispose Ottavio. Il maresciallo gli mostrò la foto di Mario sul marciapiede “Riconosce questa persona” “Sì”.Il milite gli mostrò un particolare della foto “Osservi l’indice della mano destra che forma una croce con quello della mano sinistra, come il suo cognome. La dichiaro in arresto”. Quando il gran capo dell’agenzia pose al presidente del consorzio la domanda a cui Ottavio non aveva saputo rispondere il manager disse: “Ero ipnotizzato dalla sicurezza con cui Mario aveva preso l’uovo dal vassoio e dal tono tranquillo della sua voce quando lo lanciò verso di me. Ero sicuro che l’avrei preso senza romperlo”.

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