La leadership parte dalla fiducia

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Sergio Borra, Amministratore delegato e fondatore di Dale Carnegie Italia, racconta ai lettori del nostro portale la filosofia che sottende i processi formativi dell’azienda. Parliamo di sviluppo della persona all’interno dell’organizzazione, di engagement, di leadership, di come va declinata all’interno dell’azienda e di come gestire le relazioni interpersonali. Lo sviluppo della persona non può prescindere dal contesto e la formazione non può prescindere dal modo con il quale le persone lavorano. La nostra riflessione parte da qui per condurci in un’analisi sui bisogni delle persone, sull’efficacia della formazione e il ruolo dei leader.

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Il lavoro si fa smart: come la formazione sta tentando di assecondare i cambiamenti in atto?

La formazione può giocare un ruolo importante perché, se è vero che oggi tutti vogliono innovare, solo pochi sono disposti a cambiare. Cambiare costa fatica e molto spesso cambiare un comportamento è ancora più impegnativo che accrescere le proprie competenze o innovare dal punto di vista tecnologico. La formazione deve lavorare sugli atteggiamenti e sui comportamenti, ma anche avviare un percorso che permetta di comprendere perché cambiare sia tanto importante. La formazione non deve quindi lavorare solo sul ‘come’ debba avvenire il cambiamento, ma sul perché. Molti sono i temi in gioco: il cambiamento del linguaggio, quello dei comportamenti, il modo in cui si gestiscono le relazioni e gli obiettivi. La priorità è supportare costantemente individui e organizzazioni, permettendo loro di acquisire una sempre maggiore consapevolezza dell’urgenza di cambiare.

Lo smart working porta con sé il concetto di flessibilità. Ma come si fa a lavorare in modo smart, come concedere flessibilità senza rinunciare alla leadership?

Alla base di tutto dobbiamo porre la fiducia. La parola leadership deriva dal verbo to lead, che significa guidare, condurre e oggi ciò che fa differenza per un leader è proprio questo: la capacità non solo di ispirare fiducia, ma di dare fiducia. Questo sta alla base dello smartworking… Fiducia che consiste nel dare un maggior grado di autonomia, di delegare e responsabilizzare… Passare dalla gestione basata sul controllo al concedere autonomia, stimolare e coordinare, dal dare direttive al lasciar libertà di prendere decisioni, dal definire dei ruoli all’affidare dei progetti da portare avanti, dal parlare all’ascoltare. Le persone devono sentirsi responsabili e vivere il proprio lavoro in maniera più flessibile, assumendosi maggiori responsabilità. Insomma un passaggio da manager a ‘manager coach’: una figura che pone domande, condivide, facilita la collaborazione, la trasparenza, il passaggio delle informazioni…

Che caratteristica deve avere il ‘manager coach’?

Deve motivare i suoi collaboratori, deve essere in grado di lavorare sul ‘perché’ siano importanti determinate manzioni,non solo concentrarsi sul ‘come’ vadano svolte. Di solito quando un perché è sufficientemente forte, anche se si presentano difficoltà e imprevisti, si riesce sempre a trovare un come. Perché questo accada, devono naturalmente migliorare anche le relazioni tra le persone.

Bisogna inventarsi un nuovo modo di essere leader? La creatività in questo percorso, c’entra? È corretto dire che anche la leadership deve essere creativa?

Il leader deve trovare un nuovo modo di gestire le persone, anche perché il contesto nel quale le nostre aziende operano è radicalmente mutato. Il leader deve saper mettere constantemente in discussione, in modo costruttivo, il suo modo di agire. La creatività aiuta in questo, permettendo di migliorare il flusso del cambiamento. Oggi un manager deve essere un facilitatore capace di cambiare i linguaggi, le modalità di interrelazione tra le persone, i toni. Come dicevamo, to lead significa condurre, e il leader deve essere capace di condurre facilitando la trasparenza nell’organizzazione. Anche con approcci nuovi rispetto al passato.

Quanto contano le attitudini e quanto la preparazione nello sviluppo della leadership?

Il talento innato aiuta ed esiste, ma ritengo che la preparazione giochi ancora un ruolo prevalente rispetto al talento. Persone di grande talento a volte non conseguono risultati altrettanto grandi, mentre ho visto persone con talento minore che hanno saputo raggiungere importanti traguardi grazie a volontà, tenacia e rigore. Certo il talento, se accompagnato da buona volontà e resilienza, consente di raggiungere risultati straordinari. Anche la preparazione è fondamentale: per riuscire domani bisogna investire sulla preparazione a partire da oggi. Benissimo la creatività, come detto, ma ci deve essere rigore nel metodo e nella preparazione per diventare un buon leader.

Concorda con l’affermazione che se si è preparati si è anche più creativi?

Concordo. Sottolineando che la spontaneità non sostituisce la preparazione. Il segreto è essere così preparati da sembrare improvvisati, spontanei. Nello sport, ad esempio, il gesto del fuoriclasse nasce da un lungo e faticoso allenamento. Seneca diceva che “la fortuna non esiste, esiste il momento in cui il talento incontra l’opportunità”. Quando l’opportunità arriva, bisogna essere in grado di coglierla.

Come fare per trasformare le criticità in un processo di evoluzione personale e professionale?

Innanzitutto è fondamentale avere consapevolezza delle criticità. E in questo gioca un ruolo preponderante l’umiltà, che consente in qualsiasi momento di mettersi in discussione. La filosofia di Dale Carnegie poggia sull’assunto che è molto più importante lavorare sui punti di forza di un individuo, che sui suoi punti di debolezza. Se si lavora solo sui punti di debolezza si finisce, al termine della propria carriera, con l’avere sviluppato una serie di punti deboli forti. E questo ci impedisce di cogliere l’occasione di lavorare sui nostri punti di miglioramento, aumentando così anche la nostra autostima. Solo in un percorso orientato al miglioramento sarà possibile intervenire sui punti deboli.

Questo è un grande equivoco nella formazione. Le persone vengono ostinatamente orientate a migliorare aspetti che cambieranno a fatica e l’organizzazione perde l’opportunità di non sfruttare punti forti che invece esistono.

Si tratta di due scuole di pensiero. Noi riteniamo che lavorare sui punti di forza dia maggiori risultati. Parallelamente le persone saranno anche capaci di intervenire sui loro punti deboli con maggiore consapevolezza. In qualsiasi partita i giocatori puntano sui punti di forza per vincere. Magari conoscendo perfettamente anche i punti deboli dell’avversario…

Anche chi si occupa di formazione va sensibilizzato in questo senso, non trova?

Certo. I leader sono spesso i primi a sottolineare ciò che non va, senza magari riuscire a concentrarsi e valorizzare nel modo giusto le positività, rafforzando così i comportamenti corretti. È importante trovare un equilibrio tra un apprezzamento  onesto e sincero e la critica.

Questo presuppone la capacità di coltivare relazioni positive senza rinunciare alla leadership. Come si fa?

Si tratta di una costante sintonizzazione. Dale Carnegie nel libro ‘Come trattare gli altri e farseli amici’ affronta proprio questo tema. Innanzitutto bisogna essere capaci di far sentire importanti le persone. La scrittrice e poetessa statunitense Maya Angelou diceva che “le persone dimenticheranno cosa hai detto, le persone dimenticheranno cosa hai fatto, ma le persone non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire”. Dobbiamo trattare i nostri collaboratori come persone di valore, con delle abilità, non come persone con abilità di valore. Per farsi coinvolgere gli individui devono sentirsi importanti. È tutta una questione di equilibrio, come dicevo prima, tra feedback costruttivi e spinte migliorative.

In questo contesto gioca un ruolo fondamentale l’ascolto…

Certo, l’ascolto dei segnali deboli all’interno dell’organizzazione fa la differenza.

Cambiano gli scenari e cambiano anche le regole di engagement…

Alcune cambiano, è vero, ma ci sono principi senza tempo. Far sentire importanti le persone è un principio sempre valido. In un momento di costante cambiamento come quello che stiamo vivendo, in cui giocano un ruolo importante le tecnologie digitali, connettersi con gli altri è ancora l’ostacolo più grande. Approcciare l’altro in modo corretto, farlo sentire importante fa ancora la differenza.

Quale l’errore da non fare?  E come creare valore attraverso le relazioni interpersonali…

Lasciarsi andare, trascurare la comunicazione, soprattutto nelle mail. Alla comunicazione via web dedichiamo una parte importante del nostro tempo, ma la connessione umana fa ancora oggi la differenza. Come riusciamo a far sentire uniche le persone? Questa è la domanda che ci dobbiamo porre. Per emozionare i nostri clienti, le persone all’interno della nostra organizzazione devono emozionarsi a loro volta. Occorre tornare ai fondamentali delle relazioni umane.

E come fare per gestire al meglio le relazioni dentro e fuori l’organizzazione?

È necessario aumentare trasparenza e umiltà,  capire che qualsiasi ruolo si ricopra, la cosa più importante da fare, a qualsiasi livello, è costruire fiducia.

Come possiamo sfruttare al meglio l’evoluzione tecnologica in atto per raggiungere questi risultati?

Oggi con lo smartworking abbiamo la possibilità di lavorare in modo più flessibile, autonomo. Questo cambiamento ha determinato a sua volta una rivoluzione nella gestione dei tempi e degli spazi di lavoro. Cambiando le regole, sono cambiate anche le modalità di ingaggio, fondamentali per far sentire le persone parte integrante di un team.

Nella società attuale, complici i social networks, gli individui sono costantemente esposti a una moltitudine di stimoli. Come sfruttare al meglio gli aspetti positivi che la tecnologia porta con sé?

La tecnologia è uno strumento che può essere utilizzato bene o male, esattamente come la comunicazione. Dipende dalle persone. La tecnologia ha cambiato le nostre vite, ma saper gestire al meglio l’innovazione è fondamentale.

Formazione ‘seamless’ senza cuciture, continua, come la definisce il nostro direttore Francesco Varanini.

Esatto, perché dobbiamo considerare che niente è tanto provvisorio quanto il successo. E questo vale anche per un leader. Bisogna lavorare per migliorare le idee nuove, non per scoraggiarle, e ed è importante saper creare all’interno dell’organizzazione una cultura di apprendimento che porti alla crescita. Non esiste un solo un modo di fare le cose, non dobbiamo avere timore di cambiare processi, metodi, approcci, o pensare che gli altri possano percepire lo sviluppo di nuove abilità come un segno di debolezza o di incompetenza. Marshall Goldsmith disse: “ciò che ti ha portato fino a qui non servirà per portarti fino a lì”. Il cambiamento è veloce e bisogna sviluppare una forte capacità di adattamento.

Dal vostro osservatorio incontrate tante aziende, molte hanno successo da tanti anni. Possiamo individuare le caratteristiche comuni di queste aziende?

Sono aziende che hanno la capacità di adattarsi al cambiamento e di riuscire ad anticiparlo. La differenza la fanno i team forti e coesi. Oggi le persone vogliono maggiore autonomia, cercano trasparenza, ma vogliono anche dare un senso alle proprie azioni, riempirle di significato.

Il leader in questo ha un ruolo…

Il leader ha un ruolo, ma anche lo smartworking va nella direzione di dare maggiore responsabilità alle persone.

Anche la riforma del lavoro è andata in questa direzione autorizzando, il controllo dei dispositivi assegnati ai dipendenti per utilizzare i dati raccolti ai fini disciplinari. Tutto questo deve abilitare una responsabilità nuova.

La richiesta di responsabilità è cresciuta: qualsiasi imprenditore oggi cerca persone che sappiano agire con un senso di responsabilità maggiore rispetto al passato. Tuttavia, per avere persone responsabili, bisogna dare loro fiducia a priori. Un leader straordinario è colui che ottiene risultati straordinari anche da persone ordinarie, quello che riesce a dare fiducia, facendo emergere le persone ‘ordinarie’ e non solo i talenti.

Parole d’ordine responsabilità e fiducia, che stanno comunque alla base di ogni relazione umana…

La fiducia è fondamentale. Pensiamo a tutte le occasioni in cui, a causa dell’assenza di fiducia, si sono create situazioni di diffidenza e sospetto. Quante volte ci è capitato di scontrarci con la cultura dell’alibi, la cultura del noi e loro (noi della produzione, loro del marketing, noi del commerciale, voi dell’amministrazione). Culture pericolose, che compromettono inevitabilmente la relazione con il cliente. E le aziende tutto questo non se lo possono più permettere.

Le aziende devono essere anche in grado di cambiare velocemente rotta…

In un momento di crisi, come quello che stiamo attraversando, può capitare di dover rimettere tutto in discussione.  Non dobbiamo però cedere ai vittimismi o al pessimismo. Steve Jobs diceva: ‘Investire in tempo di crisi, è come mettere le ali mentre tutti cadono’. Ecco allora che investire su se stessi in particolari contingenze diventa l’unica strada percorribile. Temere il cambiamento è sbagliato, il cambiamento non va vissuto come un momento traumatico, ma come una transizione, spesso positiva. Imparare a identificare e continuare a sviluppare i propri punti di forza è il primo passo per ripartire e riscoprirsi vincenti, per vedere le cose in maniera diversa, sfruttare le occasioni e trasformare le criticità in opportunità.

Cosa può fare Dale Carnegie per alimentare tutto questo?

Lavoriamo per far sì che le cose accadano e costruiamo percorsi formativi sulla base degli obiettivi che le aziende intendono raggiungere. Lavoriamo sul cambiamento degli atteggiamenti, lavoriamo sul perché. Fatto questo, agiamo anche sullo sviluppo delle conoscenze delle persone, perchè le applichino. Ma anche questo non è detto che serva. Insistiamo molto sul concetto che non è la pratica che rende perfetti, ma è la pratica perfetta che rende perfetti.

C’è grande bisogno di poter contare su persone che aiutino ad agire sull’atteggiamento. Ma come si fa?

Aumentare le conoscenze è fondamentale, ma ci vuole anche quella consapevolezza tipicamente socratica di sapere di non sapere. L’atteggiamento giusto è fondamentale ma, per agire sugli atteggiamenti e modificarli, non basta un corso. Servono esempi, ci vuole qualcuno che ‘conduca’  e dia l’esempio con atteggiamenti positivi. Avere successo vuol dire anche avere la capacità di far accadere le cose, un leader deve anche essere capace di influenzare gli atteggiamenti delle persone, creando ambienti positivi.

Cosa può fare Dale Carnegie per vivere questo momento di grande cambiamento ed esprimere tutti questi valori?

Dale Carnegie mette le persone nelle condizioni di esprimere al meglio il proprio potenziale, facendo sì che il potenziale diventi potenza espressa e il cambiamento si traduca in comportamenti duraturi. Le persone hanno voglia di diventare professionisti migliori. E noi sappiamo come aiutarle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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