Il pc: sulla scrivania o sul tavolo di casa?

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Intervista a Chiara Pesatori

A cura di Chiara Lupi

L’ufficio con pianta e ampia scrivania è un retaggio del passato. Partiamo da questa considerazione per approfondire cosa possono fare le aziende per agevolare le carriere delle donne. Consentire alle proprie risorse, indipendentemente dal genere, di organizzare il lavoro da remoto è già un passo avanti notevole. Un’opportunità per tutti per organizzare al meglio il proprio lavoro e per le donne per conciliare la propria attività con l’essere mogli e madri. Certo, ci sono aziende che con più facilità possono permettersi di sperimentare nuove modalità di lavoro e Dell –di cui ci parla in questo articolo Chiara Pesatori, EMEA Education Marketing Manager– è una di queste. È anche vero però che ogni contesto dovrebbe interrogarsi sull’opportunità di prendere in considerazione modalità organizzative meno legate a schemi del passato. Per agevolare certo le carriere delle donne che vogliono diventare madri, ma anche per migliorare la qualità della vita di tutti. Donne e uomini.

Ci è Chiara Pesatori

Parliamo di agevolazione delle carriere femminili. In che modo l’azienda le supporta?
Credo sia importante puntualizzare un concetto: la nostra azienda agevola la carriera delle proprie risorse, fare una differenziazione legata al genere sarebbe fuori luogo. Partiamo da noi e dagli spazi che l’azienda occupa. Fino a un paio d’anni fa Dell era in un’altra sede, ad Assago dove tutti i dipendenti avevano la loro scrivania, gli uffici erano molto grandi e c’erano ampie sale riunioni . Il nuovo ufficio a Milano Bicocca è stato concepito ottimizzando gli spazi e tenendo conto di quanti dipendenti lavorano da remoto e vengono in ufficio solo qualche giorno al mese. Ci sono i venditori che non hanno bisogno di una scrivania perchè sono dai clienti e anche molti profili che operano senza avere la necessità di una postazione fissa in ufficio. Io, ad esempio, ho una responsabilità europea e l’Italia per me è una delle country che seguo ma spessissimo sono all’estero e quando sono in Italia sono sempre al telefono, non ho bisogno di venire in ufficio, generalmente vengo una volta alla settimana e il tempo che perderei negli spostamenti lo posso dedicare al mio lavoro. Alla luce di queste considerazioni, l’azienda ha pensato di dare a me, e a molti altri profili, la possibilità di lavorare da remoto. Nessuno di noi ha una scrivania fissa, abbiamo un’area con scrivanie dedicate a chi viene saltuariamente in ufficio.

Questo cosa ha portato?
Notevoli vantaggi perché la mia vita è cambiata in modo sostanziale. Con i miei programmi eventi e attività marketing devo supportare le vendite e agevolare l’incremento del business nel mercato education in Europa. Oltre a questo il mio compito è agevolare l’ingresso nel mercato di soluzioni tecnologiche specifiche per scuole e università. Questo comporta che io spesso sia in Uk, Francia, Olanda e Germania. In ufficio, se anche ne avessi uno, ci starei molto poco!

Com’è la sua giornata tipo?
Mi alzo come se dovessi andare in ufficio, mi vesto e accendo il pc. Spesso molto presto, di contro posso organizzare come voglio la giornata, pianificando in autonomia le attività che devo fare. Questo mi consente di conciliare il lavoro con gli impegni personali. È vero che non ho figli, ma ho comunque impegni familiari che richiedono la mia presenza.

Sta toccando un tema centrale perché esiste l’equivoco per cui gli strumenti di flessibilità e conciliazione debbano essere dedicati alle mamme. Mentre tutti ne hanno diritto. Non pensa sia così?
Certo, tant’è che non ho figli, ma mia sorella ne ha due che ogni tanto mi piace andare a prendere a scuola. Io sono l’esempio di donna che non ha figli ma che beneficia della flessibilità che l’azienda mette a disposizione. All’azienda non penso debba interessare la motivazione per la quale un dipendente beneficia della flessibilità. L’importante sono i risultati che bisogna portare.

Purtroppo non è ancora così. Questo è il nodo, ancora legato alla percezione della donna come soggetto problematico…
Ho colleghe che hanno la stessa possibilità mia di lavorare da casa e, se hanno figli, riescono ad essere anche più presenti nella vita familiare. E per un bimbo piccolo questo è di importanza fondamentale. Il problema però è legato alla cultura. È necessario passare dalla cultura del face time alla cultura del risultato.

È vero però che non tutte le aziende si prestano a essere organizzate in questo modo.
Dipende molto dal tipo di lavoro che si fa. Lavoro in Dell da 15 anni e ho sempre lavorato in area Pr-marketing e all’inizio della mia carriera il lavoro da casa non esisteva. Ora c’è stata una trasformazione, molti di noi ricoprono ruoli europei e quindi si può lavorare spesso da uffici all’estero e da casa. In questo senso si sono create opportunità, ma mi rendo conto che questo approccio richiede un’organizzazione, tecnologia e cultura che permettono di farlo.

Nel nostro Paese, fatto da medie aziende, tutto questo è difficilissimo da ricreare. In molti casi non si può prescindere dal contatto con i collaboratori. Non crede?
Io stessa almeno una volta alla settimana vengo in ufficio per mantenere i contatti con la realtà locale. Sono privilegiata perché ci sono altri ruoli per i quali questo tipo di organizzazione del lavoro non è possibile. Ma certamente la possibilità di svincolarci dal luogo di lavoro ha avuto impatti molto positivi, per me, e certamente anche per tutti i miei colleghi.

Chiara PesatoriÈ un passaggio, dalla cultura del face time alla cultura del risultato. Lei che ha un ruolo internazionale ma è presente anche in Italia, cosa vede?
Mi considero una mosca bianca. Le donne che conosco e lavorano in altre aziende sono più legate al vincolo della presenza in ufficio. Inoltre lavorare da casa viene spesso considerato in termini riduttivi, la percezione è che ne risentano quantità e qualità dell’attività svolta. Ma non è così affatto. Anzi, si eliminano i tempi degli spostamenti e si riesce a essere molto più produttivi. Ma nell’immaginario collettivo chi lavora da casa beneficia di una sorta di regime ad alto tasso di tranquillità. E questo non è affatto vero, sono ad esempio le conference call che si protraggono magari fino alle 10 di sera con gli Stati Uniti o le mail alle quali bisogna rispondere senza guardare l’orario. È auspicabile e urgente un cambio di cultura: l’ufficio con la pianta e la scrivania non esiste più, è anacronistico. Il mio strumento è il pc e il blackberry: così posso gestire tutto il mio lavoro, comprese le urgenze ovunque e in qualsiasi momento.

Parliamo di work life balance, concetto che non mi trova d’accordo perché costringe a ragionare in termini di separazione: il lavoro scisso dalla vita privata ha fatto il suo tempo. Ognuno ha un tempo a disposizione all’interno del quale si fa tutto ciò che si è chiamati a fare. È tempo di uscire da questo equivoco. Lei cosa ne pensa?
Noi parliamo tanto di work life balance e sono convinta che si parla tanto di una cosa quando il problema è avvertito. Un’azienda come la nostra, della quale faccio parte dall’apertura della sede italiana, invade molto la vita privata, ma se ti piace il tuo lavoro e lo fai con passione e hai un ruolo di responsabilità non puoi ragionare per compartimenti stagni. Il tipo di lavoro che faccio mi porta a essere molto organizzata e forse ho portato un po’ del mio ritmo veloce anche nel privato, ma se non fosse così non riuscirei probabilmente a far tutto. Non si può vivere legati a orari prestabiliti ma in funzione di quello che c’è da fare. Tutti noi siamo chiamati a portare risultati, al di là dell’orario di lavoro, e in questi tempi un simile approccio è fondamentale.

Il vero problema nel nostro Paese è l’assenza di servizi alla famiglia. Chi ricopre ruoli manageriali può trovare più strumenti e mezzi per organizzarsi, ma sarebbe sbagliato concentrare le attenzioni solo sulle difficoltà di questa fascia, non trova?
Non sono molto ottimista nei confronti delle nostre istituzioni, c’è un’insana abitudine ad arrangiarsi. Si dà per scontato che le famiglie si organizzino nel loro privato.

Il problema sono le generazioni più giovani che vanno aiutate. La maternità non deve essere un privilegio…
Noi lavorando in aziende che danno queste opportunità siamo certamente privilegiate. Bisogna anche ammettere che la cultura maschile non aiuta. I congedi di paternità non li ha mai presi nessuno, ora c’è una legge che lo impone ma sono stati richiesti in percentuali irrilevanti. Oggi i giovani padri sono molto più presenti e le coppie più giovani ragionano in termini di quel che si deve fare, indipendentemente dal proprio ruolo. Purtroppo però c’è ancora molta strada da fare.

In questa azienda, in fase di selezione, qual è la percentuale di donne che vengono scelte?
In fase di selezione l’importante sono le competenze, quel che si sa fare. La nostra azienda si è trasformata e si sta ancora trasformando. Ancora viene percepita come azienda che vende hardware a prezzi competitivi. Ma l’azienda si è trasformata da hardware vendor a fornitore di soluzioni, e si sono cercate persone che avessero competenze specifiche. La trasformazione la fanno le persone e si sono cercati profili con esperienze più consolidate. Il nostro obiettivo è fornire al cliente non solo la soluzione, ma cerchiamo di comprendere il contesto nel quale la sua attività è calata, per riuscire a capire cosa davvero gli serve per essere più efficiente e più competitivo. Per realizzare l’obiettivo ci vogliono persone che abbiano esperienze e competenze di questo tipo e questa è stata una grande trasformazione.

Per tornare alle donne, se si mettono in gioco arrivano ai vertici. Se non arrivano è perché, secondo me, hanno altro da fare. Come commenta il titolo del mio libro? Se le donne della nostra generazione avessero una moglie, cambierebbe qualcosa?
La differenza è che le donne, se sono anche mamme, devono essere messe nella condizione per dare comunque il meglio di sé. Le donne hanno un approccio molto profondo, sono molto perseveranti, sono spesso anche ottime psicologhe e sanno quindi affrontare nel modo corretto le situazioni. Il problema è la focalizzazione, gli uomini sono molto più determinati a portare avanti la loro carriera, mentre le donne la stessa focalizzazione non ce la possono avere se nello stesso momento hanno un progetto familiare che, giustamente, le assorbe. Per questo hanno meno tempo, e se non trovano il modo per farsi aiutare o non trovano aziende in grado di sostenerle in un momento delicato della loro vita, vivono grandi difficoltà.

Cosa fare per cambiare?
Ogni azienda dovrebbe guardarsi al proprio interno e cercare di capire cosa fare per agevolare le carriere delle donne. Le aziende possono permettersi di rinunciare al profilo giusto solo perché si tratta di una donna e potrebbe rimanere incinta? Non credo… Se è il profilo che serve forse all’azienda converrà supportare le donne. Bisogna però cambiare la cultura, anche un po’ la cultura delle madri, che tendono ad essere iperprotettive. E questo rischia di essere una limitazione. Dopodiché emerge un altro problema. Io infatti mi chiedo se sia giusto che un figlio piccolo non possa stare con sua madre. Ora che tutti lavoriamo per più tempo e la vita media si è allungata sarebbe anche pensabile prendersi una pausa.

Certo. Ma non tutti possono scegliere, questo il problema…
Infatti. Servono provvedimenti da parte delle istituzioni ma è anche importante che tutti coloro che hanno adesso ruoli chiave in azienda si adoperino per agevolare le carriere delle donne più giovani. Noi in Dell abbiamo una cultura del ‘mentor’ molto radicata, una figura di supporto con la quale è possibile avere colloqui frequenti e che può essere d’aiuto per lo sviluppo del percorso che si desidera intraprendere. Credo ci si trovi in questo momento in una fase di transizione, ho fiducia che le nuove generazioni riescano a cambiare la cultura delle aziende e la cultura del lavoro. Il problema è che stiamo parlando di iniziative che le aziende portano avanti singolarmente e a discrezione delle sensibilità. Manca una regia, un disegno complessivo che faccia sì che le singole buone pratiche trovino adeguata diffusione sul nostro territorio.  

 

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