Welfare aziendale: la tappa milanese è stata un successo

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Dopo il successo dell’edizione padovana del febbraio scorso, per il ciclo di incontri di Sviluppo & Organizzazione, si è tenuta a Milano la seconda tappa dedicata al welfare aziendale. L’iniziativa è stata sostenuta dai principali attori del mercato: Studio Legale Chiomenti, Coopselios, Day Ristoservice, Edenred, Ieo, Muoversi, Sodexo, Welfare Company e Willis. Tra i temi affrontati, il valore del welfare come leva d’eccellenza per la gestione delle persone, le metodologie che consentono di implementare piani di welfare aziendale, la cultura dei flexible benefit, il concetto di qualità della vita come responsabilità dell’azienda, il welfare e le problematiche fiscali. Presenti anche importanti voci dal mondo delle imprese: casi di aziende eccellenti che hanno sviluppato efficaci politiche di welfare aziendale a sostegno dei propri dipendenti e dei territori limitrofi.

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La progressiva riduzione di stanziamenti pubblici a favore delle politiche sociali e la diminuzione del potere d’acquisto delle persone suggeriscono alle imprese di valutare l’adozione di nuove politiche di welfare aziendale, come sostiene Luca Pesenti dell’Università Cattolica in apertura di giornata. La risposta al bisogno di welfare nel nostro paese deve considerare più di un modello misto pubblico/privato, deve rimettere in discussione la società intera, ma soprattutto deve scommettere sulle relazioni tra tutti gli attori in gioco. Fare rete tra imprese, fare rete nel territorio, fare promozione di una cultura del benessere: sono queste le mission di un’azienda che si prende cura delle proprie persone.

Alessandra Vultaggio, responsabile Welfare Aziendale e Programmi Sociali Pubblici, sottolinea che i bisogni delle persone variano in funzione di elementi quali lo status familiare, la presenza di figli in età scolare e/o di genitori anziani, la prossimità al pensionamento, ecc. La scelta di implementare un unico piano benefit non riesce dunque a soddisfare le necessità dell’intera collettività aziendale. Come passare dalla teoria alla pratica? Adottando un welfare flessibile. Edenred offre una soluzione proprietaria per ideare, comunicare e gestire i piani di welfare flessibile in linea con gli obiettivi strategici delle aziende e con la normativa vigente.

Sembra davvero giunta l’era dei flexible benefit – ribadisce Cesare Lai, head of employee benefits di Willis –, forme di retribuzione non monetaria che producono una serie di positivi effetti a cascata. Si parla di benefici fiscali per i dipendenti (i benefit inclusi nel piano non concorrono alla   formazione di reddito e non sono quindi soggetti a regolare tassazione, secondo il Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TUIR); riduzione del carico contributivo per le aziende (tali benefit sono soggetti a regime contributivo agevolato); acquisto ‘consapevole’ da parte del dipendente (il dipendente comprende, diversamente dai benefit tradizionali, l’effettivo ammontare della spesa aziendale); controllo dei costi (l’azienda ‘blocca’ nel tempo il budget di spesa destinato ai nuovi benefit: l’impegno aziendale si sposta dall’offrire un dato benefit all’offrire un dato budget).

Anche Rosalba Dambrosio, reward & recognititon manager di Vodafone, si dice d’accordo. Nella sua azienda, dal 2011 si è deciso di implementare un piano di welfare a partire proprio dall’analisi dei bisogni dei singoli dipendenti e dove ‘flessibilità’ è la parola chiave. Un progetto pilota, dunque, incentrato sul concetto di flexible benefit, che sta avendo grande successo continuando giorno per giorno a evolvere sulla base di un costante monitoraggio dei risultati.

Anche in Sanofi si lavora oggi sulla flessibilità. Giorgio Branchini, total reward manager della multinazionale, racconta la sua esperienza positiva nell’assistere a un vero e proprio cambio di cultura aziendale. Oggi la flessibilità si coniuga in un progetto pilota di smarter working, che è partito a novembre 2013 e si è appena concluso. In questi 6 mesi, i dipendenti e il top management di Sanofi hanno imparato che la cultura del risultato è molto più efficace di quella del controllo e che per migliorare le performance aziendali è necessario condividere tutte le iniziative con il reparto Hr e con quello comunicazione (prima/dopo, internamente/esternamente).

Importante è anche l’aspetto tecnologico. Secondo Giovanni Scansani, amministratore delegato di Welfare Company, la parola d’ordine è semplificare: semplificare l’accesso ai servizi per i dipendenti e semplificare la gestione dell’enorme mole di dati informativi e il monitoraggio del piano per le aziende. Come? Attraverso l’adozione di un portale per la gestione quotidiana, che elimini i costi operativi e amministrativi. Con MyWelfare, il portafoglio di servizi stanziato dall’azienda e ripartito per cluster professionali o per singolo dipendente viene tradotto in un portafoglio virtuale a disposizione di ciascun collaboratore.

Eppure non è tutto oro quello luccica. Una recente ricerca di Sodexo riporta, nelle parole del direttore commerciale Paolo Corno, alcuni dati preoccupanti. Su 4010 aziende intervistate il 56% conosce il welfare e si sta informando per adottare un buon piano di benefit; ma solo il 6%, nei fatti, eroga beni e servizi ai propri dipendenti. E ancora, soltanto un 3% del campione conosce l’articolo 100 del TUIR e ancora meno –  l’1% –, ne fa uso.

Ci sono, inoltre, tutte le difficoltà legate alla normativa, come spiegano Paolo Giacometti ed Emanuele Barberis, soci dello Studio Legale Chiomenti. Oggi l’azienda ha due strade tra cui scegliere: continuare a erogare un tipo di welfare tradizionale costituito da incentivi in denaro, dunque fiscalizzati – con questa modalità l’incertezza sarà ridotta ai minimi termini, ma altrettanto scarsa sarà l’efficienza aziendale –, oppure adottare nuove politiche di welfare incentrate sui bisogni specifici dei dipendenti, ma soprattutto i cui beni e servizi risultato defiscalizzati – garantendo in questo modo una maggior efficienza, seppur con un aumento dei rischi e delle incertezze. È chiaro che nella scelta l’azienda dovrà tenere conto, non solo delle proprie aspirazioni filantropiche, ma anche della fattibilità delle soluzioni; soprattutto per quanto concerne il finanziamento del piano, cosa su cui la normativa appare tuttora nebulosa.

Ubi Banca ha agito in questo senso scegliendo la seconda delle vie. Da un piano di welfare tradizionale, l’azienda sta infatti virando verso un sistema a flexible benefit, racconta Leonardo Orlando, responsabile sviluppo manageriale e sistemi retributivi del Gruppo. Le sfide per il futuro riguardano principalmente le modalità di offerta dei beni e dei servizi – personalizzata, sebbene nel rispetto dell’uguaglianza di trattamento – e la tipologia dei servizi offerti.

Altro interessante caso è quello di Fiera Milano che, in partnership con Muoversi, ha appena lanciato (gennaio 2014) un piano sperimentale triennale. Ne hanno parlato Stefano Casati, sales director di Muoversi e Sara Gallotti, Hr business partner di Fiera Milano. Il piano, la cui costituzione è stata a lungo dibattuta in un tavolo tecnico alla presenza di rappresentanti Hr, rappresentanti dei dipendenti e sindacati, ha preso il via da un’attenta analisi dei bisogni dei dipendenti. Oggi, a soli 4 mesi dal lancio, il portale ‘WellFair’ registra un successo senza precedenti, con il 50% dei dipendenti che hanno già scelto come destinare il proprio paniere di benefit flessibili.

Anche Eni, tra i ‘pionieri’ in materia di welfare, ha adottato a partire dal 2008 un nuovo modo di guardare al benessere. Il welfare, commenta Elena Stefanoni riprendendo la mission originaria di Enrico Mattei e contestualizzandola al momento attuale, è “un approccio dialogico verso le persone”. Gli obiettivi? Sostenere e supportare le persone; aumentarne l’engagement.

IEO Check Up pone al centro il benessere della persona e per questo può divenire un prezioso strumento di welfare per le imprese che decidono di offrirlo come benefit ai propri dipendenti, spiega Carlo Cipolla, direttore della divisione di Cardiologia dello IEO – Istituto Europeo di Oncologia. Fin dal 2004 lo IEO rappresenta un importante punto di riferimento per i dipendenti delle aziende che lo hanno scelto come partner al fine di rendere ancora più completo il proprio sistema di welfare.

Importante è, inoltre, pensare a come sostenere il benessere dei dipendenti all’estero, aggiunge Alessandro Renna, head of reward & international mobility di AgustaWestland. Per farlo è necessario un tipo di welfare agile che si adatti ai fenomeni mutevoli di mobility, quali l’aumento delle donne con famiglia al seguito, la generazione Y, la crescita dei ‘global nomad’ e l’incremento di destinazioni verso paesi disagevoli.

Tenere in considerazione i bisogni dei singoli è importantissimo poiché a volte “è dalle piccole cose che nascono grandi iniziative”, commenta Manuela Adamoli, Hr director total rewards di Whirlpool Emea. Esistono oggi molteplici modi in cui coniugare la total reward strategy. Uno di questi è il sistema degli health works, parte di benefit non tradizionali che creano responsabilità sociale e sviluppano employer branding.

Come si fa a sapere se un sistema di welfare sta funzionando? Occorre massimizzare il ROI: tarando il piano sul territorio, monitorandolo in corso e modificandolo istantaneamente non appena mutano le condizioni sulle quali ero stato pensato. Ne è convinto Paolo Pinna, project leader di Coopselios. Le sinergie con il territorio sono importanti anche quando si pensa a come finanziare il piano. Senza il coinvolgimento di tutti i soggetti sociali – sindacati, imprese, istituzioni – non si va da nessuna parte.

Se all’esterno il coinvolgimento del territorio è di grande aiuto, all’interno dell’organizzazione non si può pensare di estromettere la direzione Hr. Una delle difficoltà maggiori delle aziende nell’implementare un efficace sistema di welfare oggi è proprio il coinvolgimento, da parte del top management, della sola direzione finanziaria. Per meglio dire, si guarda al costo e poco alle persone, chiosa l’avvocato Paola Salazar.

Un ulteriore problema è costituito dalle disparità all’interno della medesima popolazione aziendale. Se, in linea di principio, il welfare dovrebbe coprire l’intero bacino dei dipendenti, come comportarsi nei confronti di chi diversamente contrattualizzato (interinali, apprendisti, collaboratori)? Diego Paciello, consulente fiscale, spiega che l’azienda può fornire a queste figure gli stessi benefit, non potendo però procedere alla loro defiscalizzazione, rendendo dunque nullo l’effetto di riduzione dei costi prodotto dal secondo welfare. Sarebbero le agenzie per il lavoro a doversi occupare di ciò? E in che misura? La questione rimane aperta e si attendono nuovi sviluppi in materia legale.

Per approfondire il tema segnaliamo i seminari Este Il welfare e la sua fiscalità.

Info al link: http://www.este.it/res/convegno_edizione/eid/139/zid/230/p/

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