Vox Humana

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Risonanze musicali – di Mauro De Martini –

risonanze 76Qualche anno fa ho partecipato a un corso di formazione tenuto da una direttrice di coro. Il tema non era il canto corale. Era uno dei tanti corsi di crescita personale, un po’ improbabili, a cui mi sono iscritto negli ultimi vent’anni. Succede così: quando sto correndo in modo esagerato e l’ansia dilaga, scatta un interruttore automatico che mi costringe a rallentare. Sento un impulso di fare un po’ di pausa, prendere un po’ di tempo per me e interrompere la frenesia degli impegni quotidiani. Cerco di pensare a quello che mi sta capitando. La maestra di coro era stata invitata dall’ente che organizzava i seminari e sembrava piuttosto irrequieta, non a proprio agio. Probabilmente non era abituata a fare queste cose. Ma passati pochi istanti si dimostrò bravissima. Ci mise in cerchio e ci fece semplicemente respirare, prendendo consapevolezza del nostro respiro –quante volte in un giorno ci concentriamo su come respiriamo?–. Ci stava introducendo alla base del canto, che non è esclusivamente emissione del suono, è anche respirazione. Lei girava per l’aula ascoltando il nostro respiro, invitandoci a chiudere gli occhi, a rilassare i muscoli e a concentrarci sul ritmo. Poi ci chiese di emettere ‘la nostra nota’. Questa domanda un po’ bizzarra fece sorridere qualcuno. “Che vuol dire emettere la ‘nostra nota’?”, chiese uno. Lei imperturbabile rispose: “una nota che sentite vostra, che esprima il vostro modo di essere”. In questi casi il mio lato razionale si agita. Avrei voluto sollevare qualche obiezione, ma forse per la lunga abitudine all’obbedienza scolastica o per il lato irrazionale che spinge nella direzione opposta –ma buttati una volta tanto!–, feci come aveva chiesto. Con poco sforzo emisi una nota che conoscevo già da molto tempo, perché mi piace e perché so che in quel registro suona bene. Sentii che altri attorno a me stavano facendo la stessa cosa. Il risultato fu una divertente, e un po’ imbarazzata, cacofonia. La ‘maestra’ continuava a girellare tra noi, avvicinando l’orecchio ora a uno, ora a un altro. Facendo un gesto con la mano, come fosse normale, faceva un intuibile gesto per controllare l’intensità della nostra emissione sonora. L’indicazione successiva fu di cambiare nota. Come accade sempre, iniziarono dei naturali ‘aggiustamenti’ e ‘accordature’. Quello che era nato come un clangore di campane, lentamente, ma in modo chiaramente percepibile, diventò un suono piacevole da sentire. Ci stavamo intonando. Che meraviglia cantare insieme! Da quando studio musica lo strumento che mi affascina di più è proprio la voce umana. Ci sono mille strumenti fantastici, tutti hanno un suono incantevole e hanno una storia incredibile da raccontare, ma la voce ha qualcosa in più, qualcosa di magico. Per me il canto umano è un modo particolare di entrare in relazione con gli altri e con noi stessi, che ha legami profondi con il nostro modo di relazionarci in generale. Ogni persona emette un suono con un’identità propria, irripetibile. Questa constatazione, per quanto ovvia, ci fa apparire l’ascolto della voce umana come un’esperienza percettiva ricchissima e dovrebbe far sorgere qualche dubbio a chi pensa che le persone sono tutte intercambiabili, e ciò che conta sono le funzioni. Per un direttore di coro invece è un fatto ovvio. Ogni volta che entra a far parte del coro un nuovo cantore, o uno se ne va, il ‘suono’ del coro cambia. Cantare in coro significa quindi fare andare d’accordo persone che emettono suoni, in un certo senso, ‘diversi’. L’esperienza di canto corale forma all’accoglimento della differenza. La differenza è massimamente valorizzata perché è il valore aggiunto di ogni individuo. Allo stesso tempo, c’è la volontà di cantare tutti insieme la stessa musica, e quindi di ‘andare d’accordo’, rinunciando al potere di prevalere, per raggiungere un risultato collettivo. Inoltre, cantare insieme ci mette a confronto con la nostra stessa voce. Chi lavora sulla propria voce sa che attività incessante sia trovare ‘la propria voce’ e valorizzarla al meglio. In parte è attività tecnica ed esercizio, ma credo sia anche un percorso spirituale, legato profondamente alla realizzazione di sé. Alcuni riescono a far percepire questo agli ascoltatori: “Ecco, questa è la mia voce, io sono fatto così, non ho paura di esprimerla davanti a te e insieme a te”. È evidente la congruenza tra quello che comunicano con la voce e ciò che sono. Può piacere o non piacere, ma qui siamo nel regno del gusto. Per questo penso che l’unione di persone che fanno questo percorso insieme genera forme bellissime e altissime d’espressione umana. E non mi riferisco solo al canto corale.

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