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Un buon inizio 2019 per il mercato del lavoro

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Nella prima parte del 2019 l’occupazione è andata meglio delle attese. Nel primo trimestre, gli occupati stimati dalla Rilevazione sulle forze di lavoro, pari a 23,2 milioni, sono aumentati dello 0,1% rispetto al trimestre precedente (+25 mila), parallelamente al calo della disoccupazione e dell’inattività. Queste dinamiche si sono sviluppate in un contesto di lieve aumento dei livelli di attività economica dopo due trimestri di calo. Su base annua la crescita ha coinvolto 144mila occupati (+0,6%) e ha riguardato sia i dipendenti che gli indipendenti (+92mila e +52mila, rispettivamente).

L’andamento positivo dell’occupazione autonoma potrebbe essere stato favorito dall’estensione dell’ambito di applicazione del regime fiscale forfettario per gli imprenditori individuali e i lavoratori autonomi introdotta dalla legge di bilancio per il 2019 (legge n.145/2018). Ad ogni modo l’occupazione indipendente è stata caratterizzata nell’ultimo decennio da una progressiva riduzione che ha portato a una perdita complessiva di oltre 550mila occupati tra il 2008 e il 2018, e al calo della quota sul totale degli occupati dal 25,5 al 22,9%.

Rischio di forme di flessibilità meno protette

Nonostante questo trend di decelerazione, nel panorama europeo tale quota colloca l’Italia al terzo posto, dopo Grecia e Romania, e ben al di sopra alla media europea (15,3%). L’andamento futuro dell’occupazione indipendente, specie per la componente relativa a liberi professionisti e lavoratori autonomi (in cui ricadono le partite Iva) resta quindi un elemento da monitorare da vicino, dato il rischio che l’estensione del regime forfettario possa incentivare forme di flessibilità meno protette.

Tra i dipendenti l’aumento tendenziale dell’occupazione rispetto al primo trimestre 2018 ha interessato soprattutto quelli a termine, ma è tornato a coinvolgere anche il tempo indeterminato dopo il calo nei precedenti trimestri. A livello congiunturale a salire sono stati soprattutto gli occupati permanenti, proseguendo la tendenza che si era osservata alla fine dello scorso anno.

Nei dati mensili più recenti, che arrivano fino al mese di maggio 2019, la crescita degli occupati ha coinvolto tutte le posizioni professionali; in particolare, i dipendenti a tempo indeterminato sono aumentati dello 0,2% rispetto ad aprile (+27 mila persone) e quelli a termine dello 0,4% (+13mila), questi ultimi probabilmente spinti dalla stagionalità, dato che a maggio si programmano le assunzioni estive. Nel confronto anno su anno l’incremento complessivo è per la maggior parte da attribuire ai contratti stabili.

 

Relativamente all’occupazione dipendente, le due dinamiche per tipologia di contratto sono state influenzate dal notevole aumento delle trasformazioni a tempo indeterminato che contribuiscono in modo complementare ad accrescere il numero di occupati a tempo indeterminato e a diminuire quelli a termine.

Tali andamenti si leggono ancora meglio considerando i dati Inps dell’Osservatorio sul precariato. Nei primi quattro mesi dell’anno in corso il saldo tra assunzioni, cessazioni e trasformazioni dei rapporti a tempo indeterminato è risultato positivo (+313mila nuovi contratti), sospinto essenzialmente dalla crescita delle stabilizzazioni, quasi raddoppiate rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (309mila contro 193mila). La crescita delle trasformazioni a tempo indeterminato è decollata fin dai primi mesi del 2018 per effetto da un lato dell’incremento fisiologico dovuto al forte allargamento della platea di contratti a termine avvenuto nel 2017[1], dall’altro a causa del mutato quadro normativo.

La legge di bilancio per il 2018 ha previsto sgravi contributivi, finanziati fino al 2020, per i giovani con meno di 35 anni; il cosiddetto “Decreto dignità”, convertito in legge lo scorso agosto e operativo da novembre, ha introdotto diverse limitazioni al prolungamento dei rapporti a termine con la stessa impresa (la loro durata massima complessiva è stata portata da 36 a 24 mesi, è stata reintrodotta la causale per durate superiori ai 12 mesi e sono stati innalzati gli oneri sociali in caso di rinnovo). Questi disincentivi hanno indotto le imprese a una variegata strategia di adattamento, con un ruolo importante anche delle anticipazioni delle trasformazioni da tempo determinato in indeterminato.

 

 

Ad ogni modo i dati Inps indicano anche che la dinamica occupazionale tra il 2018 e il 2019 sta progressivamente rallentando pur conservando, su base annua, un’intonazione positiva. La variazione netta complessiva nel primo trimestre dell’anno è risultata infatti positiva (+349mila rapporti di lavoro), ma in decelerazione rispetto allo stesso periodo del 2018. In pratica la crescita delle assunzioni e delle trasformazioni a tempo indeterminato non è stata sufficiente a colmare la caduta delle assunzioni a termine e della somministrazione, tipologie contrattuali con maggiore appeal per le aziende nelle fasi di incertezza, come l’attuale, ma penalizzate dalla stretta operata dal Decreto dignità.

Sulla base dei dati Istat, un altro aspetto da considerare è che nel primo trimestre dell’anno la crescita dell’occupazione dipendente a tempo indeterminato è stata interamente guidata dalle posizioni di lavoro ad orario ridotto, mentre gli occupati cosiddetti “tipici” (ovvero quelli che lavorano a tempo indeterminato e full-time) si sono ridotti su base annua. Questo ridimensiona in parte il dato relativo all’espansione dell’occupazione standard dell’ultimo periodo.

Alcuni aspetti in chiaroscuro

Nonostante i dati positivi sull’occupazione, ci sono tuttavia alcuni elementi che lasciano trasparire un lato più debole del mercato del lavoro. Tra gennaio e maggio 2019 è cresciuto il ricorso alla Cassa integrazione rispetto allo stesso periodo del 2018, sotto la spinta della componente straordinaria che interviene per crisi più gravi e ristrutturazioni. Inoltre, le prestazioni di disoccupazione si attestano, da mesi, stabilmente sopra le 100mila domande mensili, segno che si sta facendo un ampio riscorso al turnover, proprio per effetto delle maggiori cessazioni dei rapporti precari, per via dei nuovi vincoli normativi (aggravio di costi e, soprattutto, rispristino della causale dopo i primi 12 mesi liberi di contratto).

Nel periodo considerato le persone in cerca di occupazione sono comunque diminuite (-172 mila) e il tasso di disoccupazione, al netto degli effetti stagionali, a maggio è sceso al 9,9%, tornando sui valori che si registravano nei primi mesi del 2012. Questa tendenza dovrebbe però invertirsi nei mesi a venire in seguito all’attivazione di nuove forze lavoro causata dal Reddito di cittadinanza e dall’obbligo di sottoscrivere il “patto per il lavoro”, che riguarda non solo il titolare del reddito di cittadinanza, ma tutti i componenti maggiorenni del nucleo familiare (esclusi ovviamente anziani e pensionati) che non hanno un lavoro e non frequentano corsi di studio o di formazione. Si tratta di fatto di una azione di ricerca attiva di lavoro, ed è per questo che le persone in questa condizione potrebbero sperimentare il passaggio formale dallo stato di inattivo a quello di disoccupato.

 

[1] Mediamente le trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato avvengono a circa 11-12 mesi dall’assunzione.

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