Tutte storie? Storytelling in azienda

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Armi & Bagaglio – di Livio Macchioro –

Non sei mai davvero fregato finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla. (dal film La leggenda del pianista sull’oceano).
Di una storia è vero solo quello che l’ascoltatore crede. (Hermann Hesse)
La sola storia vera è quella che noi inventiamo. (Libero Bovio)
La storia è sempre differente da quello che è capitato. (Halldór Laxness)

Premesse
Mi avventuro nello storytelling, confessando subito che non possiedo alcuna delle competenze scientifiche pertinenti. Siccome, però, il tema mi interessa, mi cimento in qualche pensiero ruspante. Prendo a base di confronto l’ampia sezione ‘Storytelling’ pubblicata su Sviluppo & Organizzazione nel 2007. Intendo circoscrivere le riflessioni allo ‘storytelling’ nel mondo azienda, intesa come organizzazione in senso lato. Anche così, il tema è vastissimo: il vincolo degli 8200 caratteri per la mia rubrica mi costringe ad approssimazioni rischiose e a enunciati quasi apodittici.

La fine della storia. L’avvento della fiction
La storia, nella scuola, è diventata una delle materie più bistrattate e snobbate, assieme all’ancor più odiata geografia; dimenticando l’evidenza che tutti noi esistiamo, innanzitutto, nel tempo e nello spazio. La vita quotidiana e lo sguardo sulla realtà sono dominati dall’invasione delle ‘storie’, non solo nei contenuti, ma anche nelle stesse modalità di relazione quotidiana tra le persone. Anche in azienda tendono a riprodursi inesorabilmente le dinamiche di un mondo dominato dalla regola tacita dell’apparenza, posta come mezzo supremo di affermazione di sé, o anche di semplice sopravvivenza. Veniamo all’azienda: divido i pensieri in due sezioni: storytelling informale e storytelling formale (o ‘strutturato’).

Sez. A – STORYTELLING INFORMALE
Le storie in azienda
È stato detto autorevolmente da molti che l’azienda è una trama di storie. Verissimo. È importante vedere se si tratta di storie autentiche o storie inventate? Forse. Probabilmente è ancora più appropriato porre la distinzione tra ‘storie utili’ (o anche ‘buone’) e storie inutili (o anche ‘dannose’). Fermo restando, ovviamente, il problema della moralità in quello che si comunica e si racconta.

Storie di ogni genere – Tipologie e finalita’
Vi sono le storie raccontate dall’Azienda e quelle raccontate dai dipendenti, entrambe costruite per precise finalità. Da parte dell’azienda: storie di marketing, rivolto all’esterno ma che influisce anche sulla percezione dell’azienda da parte del dipendente; e poi tutta la strumentazione della comunicazione interna aziendale (intranet; house organs; conventions…). Da parte del dipendente: storie per ottenere qualcosa dall’azienda; per sfogarsi; per convincere un cliente; per convincere se stessi di qualcosa. C’è poi tutto il tessuto connettivo costituito dal perenne scambio informale ed estemporaneo di parole su di tutto: gossip, pettegolezzo, supposizioni, commenti, rivelazioni, luoghi comuni, malignità; pause caffè e pausa pranzo, bar sport e radioscarpa.

Il problema della modalità della narrazione e dello scambio
Occorre tener presente un ulteriore aspetto: la modalità concreta della narrazione. Credo che anche l’azienda non sia immune dal condizionamento dei due fenomeni globali della comunicazione:
 da un lato i deleteri modelli di discussione, narrazione e relazione indotti pervasivamente dalla televisione: i ‘talk show’; i reality; il bombardamento delle ‘storie pubblicitarie’. La stessa invasività dei telegiornali ‘a frammentazione’;
 dall’altro le modalità di narrazione e interazione via internet – cellulare. In tutto questo è presente un rischio diffuso: che anche in azienda prevalgano le opinioni sui fatti; le teorie sulla narrazione dell’esperienza tal quale. L’emozione e la suggestione sulla presa d’atto della realtà.

Sez. B – STORYTELLING FORMALE
Storytelling come progetto specifico

Intendo qui “una metodologia e disciplina che usando i principi della retorica e della narratologia crea racconti influenzanti in cui vari pubblici possono riconoscersi. Lo storytelling è oggi massicciamente usato dal mondo dell’impresa, dal mondo politico, e da quello economico per promuovere e posizionare meglio valori, idee, iniziative, prodotti, consumi”. (Luisa Carrada).

Mi pare si possano individuare due tipologie di luoghi caratterizzati da partecipazione collettiva –e fisica– e scambi di narrazioni.
a) Convegni e conventions
Storie complesse create e partecipate in parte dall’Azienda, in parte da soggetti esterni (consulenti, docenti universitari ecc.) e in parte dai dipendenti-collaboratori. La considero già parte dello storytelling ‘strutturato’, in quanto eventi a lato del vissuto aziendale quotidiano e progettati accuratamente. Includo in quest’ambito anche la modalità di racconto ‘testimonianza manageriale’.

b) Momenti o strumenti strutturati di scambio di storie, guidati da esperti
Progetti mirati a uso interno, finalizzati a creare cambiamenti di mentalità nei dipendenti e, conseguentemente, a rendere più efficace l’organizzazione del lavoro.

Ci chiediamo: in tutto questo mondo, già strapieno di ‘storie’, in gran parte già di per sé ben strutturate e collocate in luoghi e momenti precisi e ricorrenti del vissuto aziendale, quale funzione aggiuntiva o migliorativa può avere la costituzione, l’inserimento, di ‘luoghi o percorsi strutturati di racconto’. Come ‘sovrastruttura’. Racconto unidirezionale e comunicazione operativa per lavorare meglio insieme. Condivisione di parole-percezioni, condivisione di lavoro, responsabilità. Per capirlo sono andato alla ricerca di casi concreti.

Un caso concreto
Prendo in mano il citato numero di ‘Sviluppo e organizzazione’ all’articolo ‘Parlando tra le righe del colloquio annuale – Un caso di storytelling applicato alla formazione’. Leggo l’incipit e sobbalzo: “L’Azienda è una multinazionale meccanica, con un’importante presenza commerciale in Italia (…)” e così di seguito, mantenendo un ferreo anonimato su qualunque dato che permetta di contestualizzare il racconto. È come se Esopo avesse scritto un racconto in cui si parla di un animale che si trova in un certo luogo e incontra un altro animale che fa qualcos’altro e alla fine succede qualcosa. Insomma, vedo il rischio che storytelling si riduca a essere una sovrastruttura astratta e collaterale alla rete della normale comunicazione in azienda. Un laboratorio sempre interessante, ma che trova difficoltà nel raggiungere gli ambiziosi esiti che si prefigge. C’è un’ipotesi peggiore: che in qualche occasione lo storytelling neghi se stesso nello stesso momento in cui pone i propri enunciati. Alla fine, comunque, nella maggior parte dei casi (per quanto riguarda il mondo azienda) mi sembra che si caschi sempre nella formazione.

Ultima sezione – SPIGOLATURE
La direzione del personale e lo storytelling
La direzione del personale è un crocevia ad altissimo tasso di storie. Evidenzio due aree emblematiche: la negoziazione sindacale e la selezione del personale: luoghi di confronto di narrazioni caratterizzati da regole e riti complessi. Spesso, teatro puro.

Storie improprie
Se ci pensiamo, persino il bilancio civilistico aziendale, alla fine, è una storia. Impossibile ‘concludere’. Lo storytelling ha utilità in quanto ha contenuti ‘veri’. La finzione fa guadagnare ma non fa crescere. Non per piaggeria, alla fine ha ragione Varanini: il romanzo è la storia più vera, autentica, proprio perché –paradossalmente– è la storia più finta; proprio perché è totalmente inventato.

Infine
Non basta che vi sia chi racconta: occorre anche che vi sia chi ascolta. Questo aspetto mi sembra sottovalutato. A quando lo ‘storylistening’?

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