Tag: welfare aziendale

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Pratiche aziendali e riflessione teorica a confronto sul benessere organizzativo

Non è facile attualmente parlare di benessere organizzativo –tema sfidante per l’Hr manager– a causa della criticità della situazione odierna nel mondo del lavoro, intrisa di precariato, insicurezza e diffuso stress. È tuttavia opportuno parlarne, soprattutto dal punto di vista psico-sociale, per l’elevato grado di reciprocità della relazione tra organizzazione e lavoratori: infatti se l’organizzazione investe in benessere –con formazione, supporto nella gestione del lavoro e dello stress, attenzione al bilanciamento delle richieste di conciliazione casa-lavoro, iniziative di welfare aziendale ecc.– i lavoratori si sentono impegnati, ritenendo che ciò sarà riconosciuto e apprezzato, in comportamenti di restituzione, che si traducono in performance superiori. I due soggetti che possono dar voce a un discorso sul benessere organizzativo in azienda sono il mondo Hr e gli attori che contribuiscono a preservare la sicurezza e la salute dei lavoratori. Asam, l’Associazione per gli Studi Aziendali e Manageriali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha dato vita agli Innovation Labs, gruppi di lavoro formati da manager e presidiati da un docente esperto sul tema specifico.
Tra questi, quello sul benessere organizzativo, presidiato da Fabiana Gatti, Responsabile formazione ASAM e ricercatrice e docente di Psicologia sociale della comunicazione mediata dell’Università Cattolica di Milano, e guidato da Paola Salazar, Senior associate dello Studio legale LabLaw, ha analizzato assieme ai manager partecipanti alcuni temi caldi –quali il work life conflict e il work life balance e il processo di valutazione dello stress lavoro correlato come occasione di miglioramento del benessere– con l’obiettivo di confrontarsi e condividere idee, modelli e prassi utili a migliorare il benessere aziendale. I risultati del tavolo di lavoro sono stati presentati nel primo evento del 2012 rivolto alle aziende, svoltosi il 25 gennaio presso l’Università Cattolica. Leggi tutto >

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Dietro le parole – di Francesco Varanini –

Nell’Editoriale mi pongo una domanda: compete o no al manager preoccuparsi del benessere dei lavoratori?
E poi, questo numero, come avrete visto, contiene una parte speciale dedicata al benessere – osservato da un altro punto di vista. Nello stile di questa rubrica, guardiamo alle parole che definiscono il concetto.
Il bello sembra avere spazio nel mondo dell’impresa solo se riferito al design dei prodotti, o in rari casi all’architettura dei luoghi. Lo star bene, alla luce del taylorismo e del fordismo, è ridotto a ergonomia, studio delle posizioni del corpo più consone alla produttività. L’idea di bene comune è subordinata al primato del profitto. La complessiva idea del bene appare solo nel concetto di benessere, welfare. Possiamo pensare a buon prodotto o buon processo.
Ma l’utilitarismo, l’orientamento alla soddisfazione dei bisogni, ci appaiono in contrasto con la bontà. Eppure non si può pensare all’agire e al produrre, al lavorare senza tener conto del bello, del bene e del buono. Che –come ci mostra il latino– risalgono a una stessa, basilare idea. Bello: ‘carino’, diminutivo di buono. Bene: ‘in modo buono’. Buono: secondo l’etimo: ‘fornito di doni o virtù’.
Guardiamo ora all’inglese. Dalla stessa radice wel- wol-, il latino volgare volere, e in inglese will ‘to wish, desire, want’, e well, ‘in a satisfactory manner’. Di qui l’antico inglese wel faran. Faran: ‘progredire’, ‘andare avanti’, ‘viaggiare’. Ne resta traccia in wayfarer, ‘viandante’, seafarer, ‘marinaio’. E in fare: il verbo per ‘viaggiare’, e ‘vitto del viaggiatore’, ‘payment for passage’.Un’idea di spedizione, compagni di viaggio, bagaglio, provvista di cibo. Wel faran, welfare è dunque in origine il ‘buon viaggio’. All’inizio del Ventesimo Secolo, in Gran Bretagna, nel clima di quel peculiare approccio al socialismo cooperativista che fu la Fabian Society, si inizia a parlare di welfare nel senso di social concern, preoccupazione, assistenza, attenzione rivolta al benessere dei lavoratori: “welfare of workers children”. Welfare manager, ‘a preson engaged in looking after the welfare of people working in factories’.
Poi la crisi degli anni ’30, con la disoccupazione, porta il welfare fuori dai luoghi di produzione. All’inizio del 1939, Anthony Eden, uomo politico tra i primi a comprendere le conseguenze della guerra, afferma in Parlamento la necessità di “revolutionary changes in the economic and social life of the country”. Si afferma così l’idea di Welfare State. A coniare il termine è stato forse Alfred Zimmern, storico e political scientist. A scriverne per primo fu però William Temple, predicatore e insegnante, vescovo. “We have seen that in place of the conception of the Power State we are led to that of the Welfare-State” (Citizen and Churchman, 1941).
Il Welfare appare così come l’insieme dei servizi che la società, attraverso lo Stato, è tenuta a fornire ad anziani, poveri, malati, disabili, inabili al lavoro, disoccupati. Previdenza, sanità, istruzione, edilizia popolare, programmi di lavori pubblici. C’è certamente un legame tra questo e le politiche economiche sostenute da John Maynard Keynes – piena occupazione, aumento della spesa pubblica, sostegno della domanda. Ma il Welfare britannico deve molto di più alle proposte di William Henry Beveridge, il cui rapporto Social Insurance and Allied Services del 1942 rappresenta un punto di svolta, e l’origine del laburismo. In quello stesso dopoguerra, Welfare State si afferma come termine più adatto a definire, a ritroso, le politiche adottate in paesi diversi per far fronte alla crisi degli anni ’30. Caso esemplare, il New Deal di Roosevelt. Leggi tutto >

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di Claudio Baccarani, Vittorio Mascherpa, Marco Minozzo

Parlare di benessere sul posto di lavoro significa pensare a come le persone possono ‘stare bene’ nel lavoro che fanno. Ma quale significato si può associare all’ampio concetto dello ‘stare bene’, ossia al vivere bene il tempo di lavoro? Un’analisi dei significati associabili alla parola ‘bene’, può aiutarci a svelare i tratti di questa condizione con l’insuperabile potenza della semplicità. Leggi tutto >

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Armi e Bagaglio – di Livio Macchioro –

Benessere organizzativo nel lavoro – Una definizione

“Per ‘benessere organizzativo’ (vale anche il corrispondente inglese ‘wellness’, ndr) si indicano tutte le misure volte a promuovere e tutelare il benessere fisico, sociale e psicologico di tutti i lavoratori. Numerosi elementi concorrono al raggiungimento del benessere organizzativo: progresso di carriera, autonomia, responsabilità, riconoscimenti, soddisfazione; cooperazione, flessibilità, mobilità, sicurezza, fiducia. I cambiamenti organizzativi e il clima di competizione sono spesso cause scatenanti di conflitti di ruolo, cattiva gestione risorse umane e non, insoddisfazione e demotivazione personale. Fondamentale è l’impegno da parte non solo dei singoli lavoratori ma soprattutto dell’organizzazione aziendale di prevenire tali disagi e contrasti. Dare una definizione precisa di benessere lavorativo non è così semplice. Esso risulta essere combinazione di più elementi […] al fine di conseguire un comune obbiettivo di crescita e produttività. I fattori che contribuiscono a minare la condizione di benessere negli ambienti e luoghi di lavoro sono principalmente la mancanza di organizzazione e programmazione del lavoro, la fatica, ritmi veloci, l’incertezza relativa al ruolo da svolgere, la mancanza di controllo del proprio lavoro, le richieste superiori alle proprie capacità, la cattiva strutturazione e vivibilità dei luoghi di lavoro; relazioni e comunicazione interpersonale, fattori di igiene del lavoro. La mancata realizzazione di una buona cooperazione tra singolo e organizzazione lavorativa può comportare numerosi problemi per entrambe le parti, di carattere economico e di carattere psicosomatico”. (Fonte Wikipedia). Leggi tutto >

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