Tag: speciale

, , , , , , , , ,

La radice della relazione alla base dell’intervento formativo – di Duilio Cau

Credo nella medicina allopatica, credo anche in quella orientale. Ho poca fiducia nella medicina omeopatica. Eppure il suo principio di cura, fondato sulla similarità, ha sempre esercitato su di me una influenza, di più un fascino, particolare. Lo stesso potrei dire di Jung e del suo inconscio collettivo, suprema forma di similarità tra gli esseri umani. Per non parlare della Scuola delle Annales o dell’etnometodologia, insomma tutto mi è sempre sembrato convergere verso una sostanziale identità tra le persone. Eppure l’esperienza direbbe il contrario, le più recenti teorie relazionali inneggiano alla ‘diversità’. Ma il motore della relazione, la sua radice è davvero la ricerca di una complementarietà? O invece è ciò che ci accomuna, che ci avvicina e ci mette insieme? È l’idem sentire il vero motore di ogni relazione e funziona per la semplice ragione che dentro di noi, se scaviamo molto, troviamo le stesse cose. Così comincia la relazione, così nasce la buona formazione. Leggi tutto >

, , , , , ,

Learning organization

Realtà che offrano la possibilità di costruire percorsi ad hoc per la singola persona non sono ancora molto frequenti nel nostro Paese. In poche aziende sono utilizzati i piani individuali di formazione strutturati come erano in passato quelli implementati in Reale Mutua, dove Davide Storni ha lavorato dal 1997 al 2002. “L’impronta che ho sempre seguito –racconta Storni– sia nei progetti dei piani individuali sia in progetti di tipo organizzativo è sempre stata quella di lavorare sull’empowerment delle persone, dando loro il potere di indirizzare la propria vita professionale e di fare delle scelte. Generalmente, non è facile trovare situazioni di questo tipo nelle realtà aziendali. Nel contesto di Reale Mutua questo approccio ha portato a un cambiamento enorme. Sono entrato in Reale Mutua con l’incarico di capo dell’organizzazione; dopo un anno mi è stata affidata anche la formazione e lo sviluppo risorse umane. Quando ho affrontato il tema della formazione avevo in mente di orientarmi a una logica di learning organization, un’organizzazione che sapesse sviluppare un know how distintivo e, partendo da questo, costruirsi un vantaggio competitivo sul mercato. D’altra parte le risorse che avevo a disposizione erano veramente poche: soltanto una persona si occupava di formazione in quel momento. La formazione, inoltre, era molto tradizionale: i capi chiedevano di mandare una persona a fare un corso. Una volta all’anno venivano raccolte, per poi inoltrarle all’area formazione, le richieste dei principali responsabili gerarchici per le loro persone”. Leggi tutto >

, , , , , , , , , , ,

L’Impresa imperfetta – di Francesco Donato Perillo –

La ferrea indifferenza dell’azienda verso i propri collaboratori ricorda quella della signora Fermina Daza nel celebre romanzo di Marquez. Ricordate? Dovranno trascorrere “cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese” prima che ella conceda il suo amore a Florentino Ariza. Se consideriamo che il loro primo incontro possa essere avvenuto in adolescenza, probabilmente intorno ai 14 anni, l’età in cui il malinconico Florentino corona il suo sogno raggiunge i fatidici 67 anni del nuovo requisito pensionistico. Troppo tardi. Quando nasce in azienda l’amore verso le proprie persone? La realtà sembra condannare il rapporto di lavoro a lunghi anni di indifferenza, in cui né l’individuo né l’organizzazione riescono a compiere un passo l’uno in direzione dell’altro. Nel racconto di Marquez l’ambita e impassibile Fermina sposa un altro, un uomo di potere, compiendo una scelta basata su di un calcolo di convenienza, salvo poi pentirsene quando ormai il tempo è finito. In tante imprese –con l’eccezione forse delle Pmi in cui l’imprenditore ha un volto e una voce e i rapporti con i suoi collaboratori sono di profonda conoscenza interpersonale– il feeling non c’è. L’amore di questi collaboratori verso l’azienda non è corrisposto quando i criteri di gestione non sono chiari né compresi, quando la comunicazione esclude l’ascolto, quando lo sviluppo delle persone è estraneo agli obiettivi dei capi e gli Mbo li schiacciano unicamente a perseguire la logica della soddisfazione dell’azionista, quando la caccia ai costi diventa l’unica ossessiva filosofia di gestione e il valore del lavoro diventa costo. I tempi della crisi, nella più devastante depressione dal dopoguerra che ha investito l’Occidente, sono come i tempi del colera: la mortalità delle aziende è epidemica, e con essa quella del lavoro. Chi riesce a sopravvivere deve vaccinarsi per evitare il contagio. Nel clima del ‘si salvi chi può’ la tentazione di mollare e dismettere è forte. Chi resiste cade spesso nell’errore fatale di smantellare tutto ciò che non è ritenuto direttamente produttivo, nell’illusione che guidare un’impresa sia come pilotare una mongolfiera in cui basti liberarsi della zavorra per riprendere quota. È così che ai nostri tempi le relazioni con le Università, le scuole, il territorio, i centri di ricerca, la cura del knowledge management, le corporate university e le faculty interne, gli stage, le borse di studio e altro ancora, vengono buttati via come ciarpame che fa solo peso. Anche nelle migliori aziende, quelle riconosciute come ‘best innovator’ o ‘Top employer’ da ambìti premi internazionali, quelle operanti sulla frontiera delle tecnologie nei settori più avanzati, come ad esempio l’Elettronica, lo Spazio, l’Automazione, l’Ingegneria dei sistemi, l’Amministratore Delegato avveduto come prima azione tira la leva della riduzione del personale e del blocco di ogni ragionevole turnover, poi cancella per decreto tutto ciò che attiene all’employer branding, ignorando quanto sia costato costruirlo, e quanto alto per l’impresa è il costo della perdita di reputazione e di identità collettiva. A far questo son buoni tutti, non occorre essere grandi manager, ma come davanti all’argomento del ‘rischio default’ tutto appare coerente, giustificato e necessario. È constatazione comune quanto profondo sia da alcuni anni il taglio dei budget della formazione all’interno delle aziende, col paradosso di una aumentata disponibilità dei fondi europei e interprofessionali cui corrisponde una riduzione drastica delle attività, se non una vera e propria renitenza alla partecipazione dei dipendenti alla formazione benché finanziata, ma percepita come dispersione produttiva, costo immediato a fronte di un ritorno incerto in un futuro improbabile. Il punto è che anche la formazione dev’essere messa in discussione nelle sue modalità e nei suoi rituali. Ai tempi del colera occorre vaccinarsi e creare un cordone sanitario. La via può essere quella di fare della formazione la pratica per costruire un ‘patto sul futuro’, e rimettere al cuore dell’impresa la motivazione all’autosviluppo. Non più una formazione a sportello, usa e getta, basata su pianificazioni top-down e analisi dei bisogni condotte con salottiere interviste ai top manager, ma una leva che identifichi le competenze distintive e di trend dell’impresa, e faciliti sull’umile campo del day by day lo sviluppo di comunità di pratica tra gli attori delle diverse famiglie professionali. Saranno essi a progettare la formazione che serve per trainare l’uscita dal guado. Leggi tutto >

Cookie Policy | Privacy Policy

© 2019 ESTE Srl - Via Cagliero, 23 - Milano - TEL: 02 91 43 44 00 - FAX: 02 91 43 44 24 - segreteria@este.it - P.I. 00729910158
logo sernicola sviluppo web milano