Tag: manager

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di Gabriele Pillitteri

Il grande capo gli aveva fatto capire che senza nuovi clienti il suo futuro nell’agenzia di pubblicità non era più sicuro. Dopo dieci anni in ruoli direttivi Ottavio si era ingrigito, non soltanto nei capelli; era diventata grigia la sua personalità, grigio il suo linguaggio, grigio il suo carattere. In una parola si era rammollito e l’ansia da prestazione aveva cominciato a costruire la dimora in cui trova alloggio l’angoscia, che l’arrivo di Mario rese inespugnabile. Mario gli fu imposto dal gran capo con queste parole “L’ho visto io, non perdere tempo, assumilo subito come tuo account, non ti pentirai”. Un anno di lavoro insieme era stato sufficiente a Ottavio per pentirsi e a Mario di farsi odiare perché gestiva i clienti in autonomia e prendeva accordi sottobanco con i creativi protetto dallo sguardo complice e benevolo del grande capo. Un odioso sospetto cominciò a formicolare sotto la pelle di Ottavio: quello di aver assunto colui che lo avrebbe sostituito. L’angoscia aumentò, con essa l’insonnia e la mancanza di lucidità di cui il giovane account si approfittava quando, durante le riunioni, interrompeva astutamente il suo capo mentre cercava di districarsi fra le parole di un concetto, che poi Mario spiegava, come meglio non si poteva.
Di Mario non potremo più fare a meno”. Le parole pronunciate da un importante cliente, dopo una magistrale presentazione di una campagna, erano sale sull’orgoglio ferito di Ottavio che aumentava dolorosamente la sua percezione di inutilità. Il cliente era un grande consorzio di produttori di uova. All’inizio della riunione, quando ci si scambia saluti e bigliettini da visita, Mario aveva preso con noncuranza un uovo da un vassoio sul grande tavolo per le riunioni. Incominciò ad accarezzarlo e a parlargli “Chissà forse sei fresco, magari di giornata, controlliamo?”. Poi rivolgendosi al presidente del consorzio esclamò “Provi a pararlo” e gli lanciò l’uovo. Il manager era ancora in piedi a qualche metro da lui; mostrando un’insospettata agilità lo prese al volo, senza romperlo. Scrosciarono gli applausi. “La captatio benevolentiae diede buoni frutti. La presentazione andò benissimo. Aveva convinto i creativi a studiare una campagna sul tema del colesterolo per i bambini. I suoi colleghi avevano trasformato la parola uovo in un marchio e in un concetto. Mario accompagnò le immagini commentando il testo “Osservate come dalle o, a forma di uovo, esca un cucchiaino e una cannuccia che la mano di un bimbo di qualche mese vorrebbe impugnare; il messaggio parla di un bimbo ma è rivolto alle mamme, comincia bene la sua vita con l’omogeneizzato a la coque” “A lui il colesterolo fa bene”. Dopo un minuto di silenzio si sentirono risate e complimenti, poi l’encomio. Nello sguardo trionfante del giovane, Ottavio vide il suo destino di ‘trombato’ mentre un sorriso canzonatorio gli rivelava: “Vorresti essere tu al mio posto, non io al tuo”. Ottavio mormorò fra se “Va all’inferno”.
Di notte quando l’insonnia sembra perpetua, l’angoscia annidata in qualche parte segreta del suo corpo, si manifestava con il sorriso sarcastico di Mario. Ah se fosse riuscito a chiudere quella bocca, forse avrebbe sconfitto l’insonnia. Immaginò di liberarsi dall’ossessione, mandando Mario non metaforicamente al diavolo. Per molte notti la fantasia di Ottavio, come un uccello rapace segue la sua preda, volò nello spazio della sua angoscia dove la carne e l’anima misteriosamente prendono fuoco; senza rendersi conto stava coniugando in un folle matrimonio l’immaginazione con la realtà. Dopo aver fantasticato di usare una pistola, un giorno si decise ad acquistarla, dopo aver pensato di andare a provarla in un bosco vi si recò un paio di domeniche. Dopo essersi rappresentato mentalmente la mappa degli itinerari di Mario, impiegò due settimane per controllare gli orari, i percorsi, la sosta al bar delle 8.30 e l’acquisto del giornale all’edicola di fronte.
Una mattina di gennaio, raffreddata dall’umidità, Ottavio si alzò di buon’ora per realizzare il film di cui aveva scritto la sceneggiatura per vincere l’insonnia. Aveva covato la sua sventura come una gallina cova le sue uova ed era pronto a scrivere la parola fine. Uscì di casa con l’arma nascosta in una grande tasca del cappotto e si appostò con l’auto vicino all’edicola. Alle 8.30 Mario spalancò la porta del bar e si diresse a passo svelto verso il chiosco dei giornali; aveva ancora il sapore del caffè sulla lingua e si leccava le labbra. Il marciapiede era libero. L’uomo con la pistola, il bavero alzato e il berretto a larga falda calato sulla fronte, uscì allo scoperto e andò incontro al bersaglio. Mario vide un tubo nero che si avvicinava quando un colpo di vento sollevò il berretto di Ottavio. Lo riconobbe, capì e disse “Cosa vuoi far.. ma non terminò la domanda. Tre fiammelle silenziose erano già uscite dalla canna e l’uomo scivolò sul marciapiede. Ottavio estrasse da una tasca una borsa delle spesa e vi ripose l’arma. Tornò all’ auto, parcheggiata con il motore acceso, e sparì. Il barista con lo sguardo alla porta per controllare chi esce, vide Mario cadere, ma l’infuso del caffe espresso in ebollizione gli ricordò che doveva riempire due tazzine; servite le quali uscì e si accorse che il sangue di Mario formava piccole chiazze scure sul marciapiede. Leggi tutto >

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Libro – di Renato Boaniardi, Chiara Lupi e Gianfranco Rebora –

Riflessioni tratte dalle esperienze di ‘altri’ manager: 14 interviste fuori dal coro
Scontato parlare di management con i manager. Se cerchiamo altri punti di vista, altre vie da seguire, se la situazione attuale ci impone di cercare altri modelli, altre vie di senso, parlarne con chi non fa il manager, nell’accezione comunemente attribuita, può fornire spunti originali.

Confrontarsi con persone che, nei fatti, gestiscono organizzazioni ma con logiche differenti da quelle strettamente aziendali può fornire a noi, che invece nelle aziende lavoriamo ogni giorno, idee originali. Riuscire a guardare le nostre organizzazioni con altri occhi, con lo sguardo di chi deve affrontare problemi analoghi ma è abituato a risolverli con approcci differenti, può essere d’aiuto.
Con questa logica, e con lo spirito curioso di cui è animato chi fa il giornalista di professione, abbiamo intervistato personaggi che, nel loro ambito, devono risolvere problematiche gestionali e di governo di organizzazioni, pubbliche e private. E da ogni intervista abbiamo ricavato una ‘lezione’ di management. Leggi tutto >

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Come le pratiche filosofiche possono ridescrivere la leadership

di Paolo Cervari

Sulla leadership si è detto di tutto e di più, e spesso sembra che i discorsi su di essa portino a svuotare il concetto stesso. Ciononostante, al di là della ‘tenuta’ dell’idea di leader –a volte messa radicalmente in questione1– nella letteratura sulla leadership emergono numerose istanze importanti per gettare lumi sulla possibilità di produrre e sostenere il costrutto (sostanzialmente innovativo) di leadership filosofica. Leggi tutto >

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Editoriale – di Francesco Varanini – 

Mi scrive via e-mail un amico che ricopre un importante ruolo manageriale in una grande azienda. “Molte emergenze. E un gran casino. Mercato in caduta libera”. Poche lapidarie parole, scritte, immagino, in gran fretta; ovviamente inviate, come mi informa il messaggio in calce alla e-mail, “dal palmare wireless BlackBerry”. Un primo commento riguarda lo stile di vita. Così siamo, o forse meglio: ci siamo costretti a vivere, e quindi a lavorare. Senza un attimo di respiro, sempre pressati da urgenze che non sappiamo più mettere in ordine di priorità. Sempre di fretta, anzi di corsa, di gran carriera. Mi chiedo: come è possibile prendere decisioni se non ci concediamo il tempo per riflettere, per guardarci intorno, per ascoltare qualche voce amica. E sopratutto: come possiamo decidere se non abbiamo il tempo per parlare con chi, vivendo ben più in basso nella scala gerarchica, ma in contatto proprio per questo con gli eventi, può renderci partecipi di cosa sta realmente accadendo dentro la nostra stessa azienda. Un secondo commento discende dal primo. Come ho cercato di mostrare nel mio libro Contro il management, i manager sono gravemente condizionati nel loro agire dalle aspettative e dalle esigenze e non di rado dall’arroganza degli stakeholder più dotati di strumenti di pressione. La famiglia che vive del reddito prodotto dall’impresa, i fondi di investimento che hanno quote nel capitale della società, sono certo stakeholder di cui tener conto. Possiamo anche dire che sono i primi stakeholder di cui il manager deve tener conto. Ma se il manager si schiaccia sulle aspettative di questi stakeholder, se dedica oltre un certo limite tempo e attenzione alla gestione dei rapporti con questi stakeholder, finisce –paradossalmente– per non poter portare loro i risultati che essi si attendono. Un manager, se vuole ottenere risultati, non può dimenticare che esistono altri stakeholder, e che solo porgendo loro attenzione è possibile ottenere risultati. Se il manager non ha tempo e testa per parlare con chi in azienda lavora, se non ha tempo e testa per mettersi realmente nei panni dei clienti e dei fornitori, non potrà ottenere nessun risultato. Tagliare linearmente i costi non serve a nulla. Significa solo togliere qualcosa di più a lavoratori, clienti e fornitori. Se togliamo loro ancora qualcosa, i tagli –downsizing, spending review, restructuring– non avranno effetti significativi, non serviranno certo ad invertire il trend. Dove sta la speranza? Trovo speranza nell’e-mail di un altro importante manager della stessa azienda, una e-mail giuntami quasi contemporaneamente a quella citata sopra. “Oggi sono particolarmente preoccupato e deluso della situazione”. Cita un fatto grave accaduto, e si chiede: “Ma come si fa a far succedere una cosa del genere?”. Formulata la domanda, si risponde da solo. “So di dire una cosa grave, ma riflettendo sulla situazione penso che siano ormai fatti inevitabili, data la catena di comando (sì, proprio la catena di comando, non più solo le singole persone)” che guida l’azienda. Continua: “La situazione è molto seria. Vedo ormai persone disunite, che vanno a braccio e in ordine sparso, ciascuno ostaggio della propria miope microagenda”. E poi: “Soprattutto, non c’è nessuno che si prenda la cura di controllare il lavoro delle persone – anche di alto grado; tutti guardano gli indicatori e nessuno controlla come si lavora”. Nel dire questo so che questo manager non si sta chiamando fuori, ma al contrario: sta assumendosi responsabilità rispetto a quello che accade. Questo manager, nonostante le pressioni che subisce, nonostante la fretta, si concede –o forse anche: impone a se stesso– di concedere tempo alla riflessione, al ragionamento, all’autocritica. Nel terminare il messaggio –rivolto, credo, non solo a me, ma innanzitutto a se stesso–, scrive: “Non vorrei chiudere senza speranze, ma in questo momento non so che altro fare oltre a impegnarmi per le cose che posso gestire”. In questo sta appunto la speranza. La speranza sta nel fatto che in ogni azienda ci siano manager come questo mio amico. La loro disponibilità a pensare e a guardarsi intorno è la base sulla quale costruire performance migliori. Il loro atteggiamento è il modo efficace per far fronte alle emergenze, al casino, per costruire azioni in grado di far fronte al mercato in caduta libera. Il loro atteggiamento –al contempo– è una salutare testimonianza, che aiuta i manager pressati dall’urgenza. Nessuno mette in dubbio il valore della loro reattività, il valore della capacità di agire subito. Ma altrettanto, o forse più, vale concedersi il tempo per pensare, e per fare le cose con cura, senza saltare necessari passaggi. Leggi tutto >

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