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Eccellenza

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Risonanze musicali – di Mauro De Martini –

Da un po’ di tempo noto la diffusione di un’espressione che nella mia testa definisco ‘retorica dell’eccellenza’. Durante le riunioni, le convention, alla televisione, ma anche nei ‘rituali fervorini organizzativi’, è frequente sentire espressioni di questo tipo: “siamo un’organizzazione d’eccellenza”, “dobbiamo creare una scuola d’eccellenza”, “noi mettiamo l’eccellenza al primo posto”. Queste espressioni vanno a braccetto con altre come: “siamo un’azienda leader”, “gli Stati Leader”, “i grandi dell’economia” –di cui l’Italia fa parte, ovviamente, e lo diciamo con un sorriso che assomiglia a un rictus–. Qualche giorno fa, nel corso di una convention in ‘un’azienda leader’ del proprio mercato, parlava l’Amministratore Delegato e declamava una serie di frasi proprio di questo genere: “noi abbiamo una tradizione di leadership che dobbiamo difendere”, “la nostra è un’azienda d’eccellenza mondiale” ecc. Purtroppo quel mercato è in forte difficoltà, più di molti altri che in questo momento stanno soffrendo la crisi economica. Osservavo la platea di tecnici cui il manager si rivolgeva. Sui loro volti era dipinta un’espressione sgomenta. Quelle parole risuonavano in un silenzio assoluto, ma avevano il timbro di una campana rotta. Ad un certo momento, il relatore chiede: “Vi domando: cosa potete fare voi per mantenere l’eccellenza che ci ha sempre contraddistinto?”. Dopo questa domanda vi assicuro che si poteva ‘vedere il silenzio’. Nessuno parlava. Non si sentiva neanche il respiro delle persone. Sembrava che tutti trattenessero il fiato. Improvvisamente si alza un tipo, in fondo alla sala e dice: “Non so se come soluzione va bene, ma il valore che ho sempre cercato di seguire è stato fare ogni giorno il meglio che potevo, il più onestamente possibile. Sa, quelle cose lì dell’eccellenza e della leadership mi sembrano troppo americane e a me non convincono molto”. Subito dopo è scoppiata la bagarre. Tornando a casa, ho pensato alla cultura italiana, che è stata caratterizzata proprio dall’eccellenza. Tutto il mondo ci ha invidiato l’ingegno e la creatività. Noi abbiamo avuto artisti, architetti, scienziati, filosofi, industriali tra i più grandi che la storia dell’umanità abbia conosciuto. Mi domando: erano guidati dal desiderio di eccellere? Sono convinto di no, almeno per la maggior parte. Credo che il lavoro di chi eccelle non sia mosso dalla ricerca d’eccellenza, che richiama il gusto della competizione. Ritengo che la molla motivazionale fosse più simile al valore definito dal tecnico intervenuto alla convention: fare il meglio e onestamente, nel quotidiano. Voglio portare un esempio concreto tratto dalla storia della musica. Questa volta non parlerò di musicisti, ma di costruttori di strumenti musicali. Mi riferisco in particolare ai liutai. Se pensiamo a quello che è avvenuto dal 1700 a Cremona, con Amati, Stradivari, Guarneri del Gesù, Bergonzi, e altri, fino ad oggi, troviamo creazioni meravigliose, ai vertici della liuteria di tutti i tempi. Stiamo parlando di violini, viole, viole da gamba, chitarre, mandolini e tantissimi altri straordinari strumenti che hanno fatto la storia della musica. Oggi, alcuni studiosi, dopo anni d’indagini approfondite, attribuiscono la ragione di tale qualità a certe sostanze con cui gli strumenti venivano trattati. Altri hanno pensato al legno, alla forma, alle tecniche di assemblaggio e a mille altre cose. Fatto sta che quegli strumenti hanno rappresentato ‘eccellenze’ per schiere di musicisti. Spiegare il motivo dal punto di vista tecnico mi è impossibile, perché non me ne intendo e perché credo sia molto complesso, oltre a sembrare un intricato groviglio di rovi pericolosi. Il motivo probabilmente abita in un luogo d’incontro imprecisato tra scienza e gusto. Ciò che si può cogliere però è la storia di un grande ingegno, di uno spirito di ricerca volto a fare il meglio, con grande passione, forse con l’obiettivo di creare qualcosa che abbia valore ‘in sé’. Voler eccellere non basta, bisogna trovare motivazioni interne, qualcosa su cui valga la pena scommettere la propria vita. Non è sufficiente puntare a superare i cinesi! Penso che, ancora oggi, se vogliamo raccogliere il testimone spirituale di questa scuola straordinaria –e non necessariamente nello stesso settore– siamo chiamati a seguire gli stessi valori: apprendimento continuo, conoscenza della tradizione e interesse per l’innovazione, attitudine al fare accompagnata da una solida cultura, cura del dettaglio e della qualità, comprensione del contesto e tanto amore per il proprio lavoro. L’eccellenza verrà di conseguenza, ma ce ne potremo infischiare. Leggi tutto >

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