Tag: italiani all’estero

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Crescita professionale, apertura mentale, avventura. Le esperienze di lavoro all’estero sono sempre più richieste nel mercato globale. Un’opportunità ricercata non solo dalle aziende, ma anche dagli stessi manager.

Quelli coinvolti da Persone&Conoscenze sono partiti per vivere qualche anno fuori dall’Italia per motivi diversi: c’è chi è stato inviato dalla propria azienda, chi ha seguito il proprio compagno o compagna, chi ha attivamente cercato e fatto domanda attraverso programmi internazionali e anche chi è stato assunto da un gruppo straniero. Leggi tutto >

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Il numero di laureati italiani che scelgono di andare a lavorare all’estero è aumentato del 40% negli ultimi 12 anni. Oggi ci sono circa 81mila studenti che hanno intrapreso percorsi professionali fuori dall’Italia. Quello della fuga dei cervelli è un fenomeno che costa al Paese circa 14 miliardi di euro l’anno, l’equivalente di un punto percentuale del Pil. Inoltre, l’Italia è in grado di attrarre un solo studente straniero per ogni italiano che parte per l’estero, contro una media europea di tre a uno. Leggi tutto >

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Le aziende italiane hanno bisogno di competenze che non trovano nel mercato del lavoro. L’Italia, infatti, si trova in coda alla classifica del Talent Attractiveness Indicator, l’indicatore dell’OCSE sulla capacità dei Paesi di attrarre manager stranieri e lavoratori con master o dottorato. E i laureati italiani che scelgono di andare a lavorare all’estero sono aumentati del 40% dal 2007 ad oggi. L’Italia, inoltre, non riesce a compensare la fuga dei propri talenti con l’attrazione di quelli stranieri: ne richiama solo uno per ogni italiano che parte per l’estero, ben al di sotto della media europea di tre a uno. Secondo l’indagine qualitativa Talenti italiani all’estero. Perché tanti partono e pochi ritornano condotta dall’Ufficio Studi di PwC Italia, però, il 74% degli expat sarebbe disposto a rientrare in Italia a fronte di una posizione con uguale o maggiore prestigio e remunerazione. Leggi tutto >

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di Tatiana Arini

Lavorare lontano dalla propria terra è difficile. Lasciare il proprio paese rimette in discussione l’identità dell’individuo, scatenando quello shock culturale che talvolta genera sentimenti di perdita e sradicamento: la ‘crisi’ che ne deriva (dal greco ‘krísis’: separazione, decisione, giudizio) è anche un’opportunità per apprendere e integrare le nuove conoscenze con le proprie radici, traducendosi in un processo di evoluzione e crescita della persona. La mobilità infatti permette quello scambio tra culture diverse, sempre arricchente, che dovrebbe essere ormai all’ordine del giorno nel mondo globalizzato. Tuttavia, non si può dire che l’internazionalizzazione sia un fatto sperimentato in ogni ambito lavorativo e da ogni fascia della popolazione italiana: molti contesti, infatti, non sono interessati dal contatto con l’altro –altri paesi, altre culture– rimanendo sostanzialmente isolati dalla dimensione globale. Ma l’Italia ha bisogno di assumere una connotazione più internazionale che possa renderla competitiva nello scenario attuale: quel che manca nel nostro Paese è dunque una condivisione delle best practice adottate a livello sopranazionale e apprese dai nostri emigrati all’estero, che potrebbe apportare idee inedite in settori strategici e dare una sferzata vitale al nostro sistema economico, per uscire così da un’impasse che ha messo in ginocchio numerose imprese e generato frustrazione e sfiducia da parte di molti lavoratori. Leggi tutto >

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