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a cura di Luca Papperini

Competenza, senso di appartenenza, passione. Queste le tre parole d’ordine alla base della cultura e della qualità del servizio di Sea, la società di gestione degli aeroporti di Milano. Il tema delle competenze è diventato da qualche anno un vero e proprio ‘mantra’ per l’azienda e non solo un’enunciazione teorica come per molti altri. Il suo modello di business infatti è così incentrato sulla forza del capitale umano (tipicamente ‘labour intensive’) che il know how accumulato grazie alle competenze delle persone è ritenuto una ricchezza preziosissima e inderogabile, come ci conferma Barbara Spangaro, Responsabile Sviluppo e Organizzazione di Sea. Alcuni temi –legati alle normative e a processi molto specifici– sviluppano nelle persone conoscenze tecniche di fondamentale importanza per l’operatività quotidiana, conoscenze da tutelare perché uniche. Leggi tutto >

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di Erica Baroni

Un gruppo in crescita, che punta all’internazionalizzazione con oltre 2100 dipendenti di cui 800 in Italia, con una forte esigenza di centralizzare le informazioni, anche per snellire tutte le attività legate all’ufficio del personale. Questa la fotografia di Sol. Nelle pagine che seguono vi raccontiamo come Massimo Naselli, Responsabile amministrazione del personale del Gruppo, ha saputo guidare con successo un percorso di cambiamento. Il responsabile risorse umane ha così la possibilità di delegare a sistemi versatili e innovativi tutte le attività operative, dedicandosi ad attività più strategiche per la funzione. Oggi le aziende, indipendentemente dalla loro dimensione, hanno la possibilità di automatizzare alcune attività grazie a servizi web che consentono una gestione più rapida ed efficiente di aspetti legati all’area Hr quali presenze e assenze, trasferte, note spese e paghe, fino a includere processi più critici e complessi per lo sviluppo dei talenti. Leggi tutto >

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di Francesco Varanini

Possiamo considerare l’informatica ‘la prosecuzione della filosofia con altri mezzi’. Ma mentre i filosofi si limitano a indicare o a criticare, i tecnici che governano l’informatica costruiscono mondi all’interno dei quali noi vivremo. Perciò è importante occuparsi di tecnologia. La vita delle aziende, e la vita quotidiana di ognuno di noi dipendono da ciò che le tecnologie permettono di fare. Le tecnologie determinano i nostri spazi di azione e quindi la nostra libertà. Dietro ogni progetto informatico c’è una filosofia, occultata nel codice. Qui provo ad osservare due filosofie tradotte in tecnologia. Entrambe ci sono familiari. Siamo portati da certe apparenze a temere rischi impliciti nella filosofia di Google. Ma tendiamo a trascurare il ben più grave danno sociale occultato dietro l’apparente semplicità, dietro l’ingannevole facilità d’uso che caratterizza Facebook. Leggi tutto >

Il morso della mela

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L’Impresa imperfetta – di Francesco Donato Perillo –

Apple è nel mito, la mela addentata è metafora universale di design ed eccellenza tecnologica, bellezza digitale e tentazione, mentre il suo leggendario fondatore è stato assunto dai media quale stereotipo universale di una leadership visionaria e innovativa, capace di trasformare il mondo con la forza del proprio prodotto. Oggi Apple vale più della Grecia, quanto a forza economica compete con gli Stati, non con le aziende, con numeri impressionanti: in borsa vale 400 miliardi di dollari (più dell’oro custodito a Fort Knox), nella prima trimestrale dell’anno fiscale 2012 ha fatturato 46,3 miliardi di dollari, ha venduto 37 milioni di iPhone, 15,4 milioni di iPad, 5,2 milioni di Mac1. Il grande Steve ci ha lasciato un messaggio chiave, semplice e rivoluzionario: siate folli e affamati di passione, amate ciò che fate, identificatevi col vostro prodotto. Ma se la ricerca del successo mette in moto sin dallo start-up energie straordinarie e sconosciute, la manutenzione del successo è cosa diversa e forse più ardua. Gli stimoli emozionali della fase pionieristica vengono meno, come pure si affievolisce la percezione collettiva delle competenze distintive su cui si è andata costruendo la nuova impresa, il senso del noi rispetto al resto del mondo. Subentra una sorta di ansia da prestazione, la necessità di alzare continuamente gli obiettivi e migliorare le performance. Un errore, anche marginale, può costare lo scivolone dell’impresa, una trimestrale può compromettere anni di risultato. E logiche e stili di gestione inesorabilmente cambiano: il focus manageriale si sposta quasi inconsciamente dalla qualità ai volumi, dal prodotto ai costi di produzione, dall’innovazione al controllo maniacale dei processi, dalla fede nelle proprie capacità all’angoscia del nemico esterno. Anche le ‘virtù’ manageriali ne risentono: più scaltrezza e meno coraggio, più rigore e meno tolleranza, più calcolo e meno ridondanza. E in mezzo a questi passaggi lo stritolamento delle persone e dei talenti. È questa una parabola, un asintoto del destino, col quale tutte le organizzazioni in cui operiamo prima o poi devono fare i conti, come se al di là del punto di massima espansione vi fosse ad attendere il precipizio. Al timone del post-Jobs c’è ora Tim Cook. Sveglia alle 4 e mezzo del mattino, lavora fino a notte, deciso e spietato, pare ingurgiti caffeina e barrette energetiche ad ogni ora del giorno, un capo azienda da 378 milioni di dollari2. Forti le analogie con la figura di Marchionne. Domanda: può e deve esistere una proporzione tra le retribuzioni dei top manager e quelle dei prestatori d’opera? Non si tratta tanto di questione morale, ma di logiche di business: il venire meno del principio di equità, o comunque della percezione di equità all’interno di ogni comunità, mette in crisi il sistema, allontanandolo dall’identità e dall’essenza su cui esso è fondato. Chi si occupa di gestione delle risorse umane sa bene quanto delicata e strategica sia la politica retributiva di un’azienda: può agire da leva della performance, quanto da potente demoltiplicatore della motivazione. Ma i compensi di Tim Cook sono solo la punta di un iceberg. Sì, perché anche le mele hanno un iceberg, o meglio una serie di punti neri in cui si annidano i bachi. Adam Lashinsky, giornalista di Fortune, ha pubblicato un libro-indagine, in cui descrive in modo impietoso l’organizzazione del lavoro all’interno della ‘mela’3. Il quadro che ne emerge è sconcertante: nella casa madre di Cupertino i dipendenti hanno palestra, asilo e mensa, ma tutto rigorosamente a pagamento, non godono di stipendi sopra la media unicamente perché devono sentirsi già retribuiti per il fatto di appartenere al mito. L’imperativo innovare è stato sostituito da ‘secretare’: la consegna prioritaria è la segretezza assoluta sui progetti in cantiere e sugli oggetti su cui si sta lavorando, una confidenza al bar può comportare il licenziamento immediato. Chi opera lavora su di un pezzetto di processo, conosce il dettaglio ma non la visione d’insieme, né l’idea della finalità del proprio lavoro, non sa cosa faccia il proprio compagno di scrivania o di laboratorio. E la produzione? Il successo del Mac si era basato sulla sfida della verticalizzazione integrata, del ‘tutto dentro’, in contrasto con la logica del decentramento spinto perseguita dall’IBM. Oggi Foxconn in Cina è invece il principale partner di fornitura, dà lavoro a 1.200.000 persone, con turni di 24 ore, 12 ore per turno, 6 giorni a settimana. Il prodotto più innovativo del millennio sembra nascere dal ritorno ai tempi moderni dell’operaio Charlot. Organizzazione e gestione delle risorse umane saranno nei prossimi anni arbitri del confine tra il successo e la discesa. Ma l’asintoto è stato raggiunto, il pezzo mancante della mela è rimasto nella bocca di chi vi lavora. Leggi tutto >

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