Tag: formazione continua

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Scopriamo una testimonianza di formazione individuale innovativa dalla voce di Fabio Festa, che dal 2006 al 2009 ha lavorato come Hr&Training manager in Bang & Olufsen, società danese di luxury brand –con punti vendita in tutta Italia– a cavallo tra il design di alto livello e il mondo dell’entertainment, che si posiziona ai massimi livelli per quel che riguarda hi-fi, televisori, stereo, telefonia di alto profilo.
Per gli area manager
Il suo ruolo era di supporto all’amministratore delegato nella gestione del personale e soprattutto nel suo sviluppo, sia nella sede (una trentina di persone) sia nel retail, guidato da area manager con i quali studiava programmi di formazione per le figure interne ai punti vendita (store owner, store manager, venditori e tecnici) e strutturava piani formativi per gli area manager, a cui era dedicata una formazione individuale. Si trattava di costruire sulla persona un percorso specifico che sviluppasse competenze di gestione della rete vendita, manageriali o di comunicazione: insomma, una formazione personalizzata che utilizzava tecniche di coaching. Partendo da un’esigenza segnalata dall’amministratore delegato, si studiavano le azioni da mettere in campo e un piano formativo ad hoc con sessioni individuali d’aula o on the job, della durata di un paio di mesi. “Li affiancavo sul campo –racconta Festa– e alla fine della giornata valutavo con loro le azioni messe in campo e gli strumenti necessari. Così facendo disponevamo di un feed back e un assessment e potevamo valutare il livello di sviluppo della persona in funzione della capacità di inserire nuovi venditori, di reclutamento, di leggere i numeri… tutte azioni che l’area manager aveva tra le sue pratiche”. Leggi tutto >

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L’educazione sentimentale del manager – di Lauro Venturi – 

L’altra settimana, come di consueto, ho preso il treno per tornarmene a casa dopo la solita settimana di lavoro. Quasi meccanicamente salgo sulla carrozza e cerco il mio posto: eccolo, 8 A (qualcuno mi spiega perché hanno cambiato la numerazione?).
Una signora giovanile ed elegante, che occupa il sedile davanti al mio, mi sorride e mi dice: “Ma lei, scusi, è Lauro Venturi?”. Rispondo di sì e, poiché la mia comunicazione non verbale deve avere trasmesso molto velocemente il messaggio che non mi ricordavo di quel viso, la signora gentilmente mi ricorda di essere un’imprenditrice che aveva partecipato, tanti anni prima, a diversi corsi di formazione, ai quali intervenivo come docente. A quel punto i neuroni iniziano a connettersi e mi viene in mente sia il nome dell’azienda sia del socio della signora, con il quale avevo colloquiato con più frequenza.
Ricordo un’azienda con circa venti dipendenti, leader nei servizi per la modellistica dell’abbigliamento, molto attenta a instaurare rapporti di partnership con i propri clienti, le principali e blasonate firme della moda.
Sì, perché anche questi colossi, quando trovano un’azienda seria e competente, che progetta e realizza modelli, fa sviluppi taglia, piazzamenti, taglio di campionari e confezione prototipi, beh, se la tengono ben stretta. Della signora e del suo socio mi ricordo anche l’attenzione che mettevano alla formazione propria e dei collaboratori, unitamente al monitoraggio continuo della tecnologia. Competenza, motivazione e adeguate tecnologie per garantire al cliente la soluzione a ogni problema di progettazione e industrializzazione del prodotto moda. Perché, care lettrici e cari lettori, vi racconto tutto questo? Perché l’azienda in oggetto è ubicata in quel territorio noto come ‘bassa modenese’, che a fine maggio è stato duramente colpito dal terremoto. L’azienda stava proprio nel paesino epicentro della seconda scossa del 29 maggio, quello andato su tutti i telegiornali perché il Papa vi ha fatto visita per rendere omaggio al sacerdote rimasto ucciso sotto le macerie della chiesa, mentre andava a prelevare la statua della Madonna che doveva essere portata in processione. Il capannone è ovviamente inagibile ma la signora, con una naturalezza impressionante, mentre il treno scorre nelle campagne della Val Padana, mi dice che in poco più di un mese hanno ripreso l’attività. Sono riusciti a salvare i server e le altre tecnologie e le hanno ubicate in un capannone di Carpi, distante poco più di dieci chilometri. In poco più di un mese, senza chiedere a niente a nessuno! Certo, adesso i soci stanno valutando l’investimento necessario per rimettere in sesto l’edificio seriamente ferito dalle scosse telluriche. Certo, sperano che un po’ di aiuto economico prima o poi arrivi. “Sa, Venturi, per me dovrebbero davvero darci una mano, perché in questo modo poi noi glieli restituiamo quei soldi, con l’occupazione, le tasse che paghiamo…”. Verità disarmante. Proprio perché si tratta di concetti semplici e quasi ovvi, il rischio è che non vengano valorizzati o tenuti nella debita considerazione. Quanto vale in termini di PIL o di spread l’insieme di tanti piccoli imprenditori che hanno riavviato l’attività tirandosi su le maniche, con quel misto di orgoglio, di ostinata energia, di visione e di realismo che caratterizza la gente della nostra terra?
Quanto vale questo saper tenere insieme la concretezza delle mani con l’intelligenza del cervello e la passione del cuore?
Tantissimo!
Allora è indispensabile che lo Stato dimostri a queste imprese che le considera una ricchezza preziosa, per il benessere economico e sociale di tutti. È indispensabile che lo Stato dimostri che questa volta si può ricostruire senza finire nelle fauci di faccendieri ignobili che si fregano le mani quando apprendono che c’è stato il terremoto, pensando ai loro loschi affari che lievitano sulle salme ancora calde di chi ha lasciato la pelle sotto le macerie. C’è l’Italia dei furbetti e dei delinquenti, ma c’è anche l’Italia delle persone per bene. Soprattutto adesso che ci chiedono sacrifici draconiani, la politica e le istituzioni devono dimostrarci che sanno premiare la seconda, e colpire duramente la prima. È prima di tutto un fatto di civiltà. Leggi tutto >

Eccellenza

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Risonanze musicali – di Mauro De Martini –

Da un po’ di tempo noto la diffusione di un’espressione che nella mia testa definisco ‘retorica dell’eccellenza’. Durante le riunioni, le convention, alla televisione, ma anche nei ‘rituali fervorini organizzativi’, è frequente sentire espressioni di questo tipo: “siamo un’organizzazione d’eccellenza”, “dobbiamo creare una scuola d’eccellenza”, “noi mettiamo l’eccellenza al primo posto”. Queste espressioni vanno a braccetto con altre come: “siamo un’azienda leader”, “gli Stati Leader”, “i grandi dell’economia” –di cui l’Italia fa parte, ovviamente, e lo diciamo con un sorriso che assomiglia a un rictus–. Qualche giorno fa, nel corso di una convention in ‘un’azienda leader’ del proprio mercato, parlava l’Amministratore Delegato e declamava una serie di frasi proprio di questo genere: “noi abbiamo una tradizione di leadership che dobbiamo difendere”, “la nostra è un’azienda d’eccellenza mondiale” ecc. Purtroppo quel mercato è in forte difficoltà, più di molti altri che in questo momento stanno soffrendo la crisi economica. Osservavo la platea di tecnici cui il manager si rivolgeva. Sui loro volti era dipinta un’espressione sgomenta. Quelle parole risuonavano in un silenzio assoluto, ma avevano il timbro di una campana rotta. Ad un certo momento, il relatore chiede: “Vi domando: cosa potete fare voi per mantenere l’eccellenza che ci ha sempre contraddistinto?”. Dopo questa domanda vi assicuro che si poteva ‘vedere il silenzio’. Nessuno parlava. Non si sentiva neanche il respiro delle persone. Sembrava che tutti trattenessero il fiato. Improvvisamente si alza un tipo, in fondo alla sala e dice: “Non so se come soluzione va bene, ma il valore che ho sempre cercato di seguire è stato fare ogni giorno il meglio che potevo, il più onestamente possibile. Sa, quelle cose lì dell’eccellenza e della leadership mi sembrano troppo americane e a me non convincono molto”. Subito dopo è scoppiata la bagarre. Tornando a casa, ho pensato alla cultura italiana, che è stata caratterizzata proprio dall’eccellenza. Tutto il mondo ci ha invidiato l’ingegno e la creatività. Noi abbiamo avuto artisti, architetti, scienziati, filosofi, industriali tra i più grandi che la storia dell’umanità abbia conosciuto. Mi domando: erano guidati dal desiderio di eccellere? Sono convinto di no, almeno per la maggior parte. Credo che il lavoro di chi eccelle non sia mosso dalla ricerca d’eccellenza, che richiama il gusto della competizione. Ritengo che la molla motivazionale fosse più simile al valore definito dal tecnico intervenuto alla convention: fare il meglio e onestamente, nel quotidiano. Voglio portare un esempio concreto tratto dalla storia della musica. Questa volta non parlerò di musicisti, ma di costruttori di strumenti musicali. Mi riferisco in particolare ai liutai. Se pensiamo a quello che è avvenuto dal 1700 a Cremona, con Amati, Stradivari, Guarneri del Gesù, Bergonzi, e altri, fino ad oggi, troviamo creazioni meravigliose, ai vertici della liuteria di tutti i tempi. Stiamo parlando di violini, viole, viole da gamba, chitarre, mandolini e tantissimi altri straordinari strumenti che hanno fatto la storia della musica. Oggi, alcuni studiosi, dopo anni d’indagini approfondite, attribuiscono la ragione di tale qualità a certe sostanze con cui gli strumenti venivano trattati. Altri hanno pensato al legno, alla forma, alle tecniche di assemblaggio e a mille altre cose. Fatto sta che quegli strumenti hanno rappresentato ‘eccellenze’ per schiere di musicisti. Spiegare il motivo dal punto di vista tecnico mi è impossibile, perché non me ne intendo e perché credo sia molto complesso, oltre a sembrare un intricato groviglio di rovi pericolosi. Il motivo probabilmente abita in un luogo d’incontro imprecisato tra scienza e gusto. Ciò che si può cogliere però è la storia di un grande ingegno, di uno spirito di ricerca volto a fare il meglio, con grande passione, forse con l’obiettivo di creare qualcosa che abbia valore ‘in sé’. Voler eccellere non basta, bisogna trovare motivazioni interne, qualcosa su cui valga la pena scommettere la propria vita. Non è sufficiente puntare a superare i cinesi! Penso che, ancora oggi, se vogliamo raccogliere il testimone spirituale di questa scuola straordinaria –e non necessariamente nello stesso settore– siamo chiamati a seguire gli stessi valori: apprendimento continuo, conoscenza della tradizione e interesse per l’innovazione, attitudine al fare accompagnata da una solida cultura, cura del dettaglio e della qualità, comprensione del contesto e tanto amore per il proprio lavoro. L’eccellenza verrà di conseguenza, ma ce ne potremo infischiare. Leggi tutto >

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