Una delle frasi ricorrenti nella
retorica manageriale, almeno nella mia esperienza, era la seguente:
“Chi nasce tondo non può diventare quadro”. Una sentenza di cassazione pronunciata a ogni livello organizzativo dal caposquadra al caporeparto, passando per il Big Boss seduto nel Comitato di direzione, al capoazienda.
Una rassegnata litania ad alta voce, indirizzata al Responsabile del Personale di turno per dire, con felice sintesi, che quel collaboratore ha limiti invalicabili, nessun potenziale, nessuna capacità di crescita professionale. Un cervello di legno e non certo neuroplastico.
Una sentenza di morte, una croce nera messa su nome, cognome e matricola di una persona. Un’intera generazione di manager oggi al tramonto, me compreso, è cresciuta sin dai tempi della scuola nella convinzione, subliminale più che cosciente, che ciascuno fosse determinato dal proprio Dna: il codice genetico, archetipo di ciascun individuo, isolato da un biochimico svizzero nel lontano 1869, ma rimasto avvolto da un alone di mistero fino all’epoca recente.
In definitiva è davvero da poco che le neuroscienze hanno svelato gli ultimi anelli del codice, dimostrando che la disposizione sequenziale della doppia catena molecolare che determina le informazioni genetiche presenta differenze davvero trascurabili tra l’uomo e la scimmia, e quasi impercettibili tra uomo e uomo.
E quando anche la prova della tac ci ha dimostrato che, a parità di stimoli, negli umani si accendono, pur con diversa intensità, le medesime aree cerebrali, le carte sono state sparigliate:
nessuno nasce tondo Leggi tutto >