Tag: diversity management

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A cura della Redazione

Appuntamento il 21 marzo all’Hotel Melià di Milano con il I° Torneo di calcio balilla Anmil & Fondazione Adecco. Nato nell’ambito del progetto di sensibilizzazione e buone prassi rivolto alle aziende, alle famiglie e agli operatori del settore non profit We can work it out!, e organizzato da ANMIL Onlus e Fondazione Adecco per le Pari Opportunità in collaborazione con la Federazione Paralimpica Italiana Calcio Balilla, l’evento vedrà sfidarsi, in un torneo 5 contro 5, dieci squadre, composte dai responsabili delle risorse umane, persone con disabilità, educatori e utenti di Anmil. Tra gli ospiti, Francesco Bonanno, quattro volte campione del mondo e Presidente Federazione Paralimpica Italiana Calcio Balilla – FPICB. Leggi tutto >

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di Valentina Casali

Si è tenuto il 3 febbraio a Milano il convegno di presentazione della survey, lanciata dalla casa editrice ESTE e da OD&M Consulting, sull’agenda 2014 della direzione del personale. Obiettivo della ricerca è stato quello di indagare le tematiche che hanno interessato le direzioni del personale nell’anno appena conclusosi e in quello ancora a venire. Come stanno? Cosa hanno fatto nel 2013? Quali le sfide per il 2014? Alla presenza di un folto pubblico di addetti ai lavori, hanno presentato i dati Simonetta Cavasin, general manager di OD&M Consulting, e Rossella Riccò, senior consultant area studi e ricerche di OD&M Consulting. Leggi tutto >

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A cura della redazione

Come sono inseriti? In quali aree aziendali? Che mansioni hanno? Sono posti sullo stesso piano dei loro colleghi? E le aziende preferiscono assumerli o piuttosto pagare le sanzioni?

Reatech Italia presenta i dati di un’indagine sui lavoratori con disabilità, realizzata da Reatech e G.I.D.P., interpellando i direttori di personale

Durante il convegno milanese del 5 giugno Categorie protette: una risorsa per il mondo del lavoro, un’opportunità per le aziende, promosso da Reatech Italia in collaborazione con G.I.D.P. (Associazione Direttori Risorse Umane) è stata presentata un’indagine per fotografare ruoli e aree aziendali a cui sono destinati i lavoratori appartenenti a categorie protette, come avviene il loro inserimento lavorativo e le difficoltà che spesso le aziende incontrano nel trovarli e selezionarli. Leggi tutto >

Job Shortage

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L’Impresa imperfetta – di Francesco Donato Perillo –

La drammatica mancanza del lavoro oggi non riguarda tutti indistintamente, ha un preciso identikit a due facce: ha il volto pallido dei giovani compresi tra i 18 e i 30 anni, ancora più se laureati, donne e meridionali; la faccia tesa e ruvida di coloro che avendo perso il lavoro dopo i 50 anni, ancor più se professionalizzati, incontrano insormontabili difficoltà di ricollocazione perché ritenuti vecchi da una società vecchia. Nel guado di una crisi che non sembra ancora poter offrire una nuova normalità, la società della vecchia Europa sta denunciando la propria impotenza a includere giovani e anziani nel tessuto produttivo: nessuna progettualità, nessuna politica mirata a costruire le condizioni per bonificare la palude in cui stanno affogando proprio le due generazioni più distanti. La mancanza di futuro è assenza di speranza, forse il segno più evidente di un errore di sistema dell’economia postindustriale. Se c’è una ‘mano invisibile’ all’opera, è quella della finanza tossica che regge le sorti del mercato globale e neutralizza ogni visione di un mondo nuovo. Quali politiche perseguono i governi? Quali piazze mobilitano i sindacati per sostenere un programma? E la visione di un nuovo modello di sviluppo che nasca dalla crisi dov’è? Qualcuno ha raccolto le idee di Rifkin, La civiltà dell’empatia, le riflessioni di Darhendorf sulla fine della democrazia o la Caritas in veritate di Benedetto XVI sull’economia della gratuità? “Lo sviluppo ha bisogno della verità” –sostiene Ratzinger– “bisogna mobilitarsi affinché l’economia evolva verso esiti pienamente umani”. Ma nessuno, tanto meno la Chiesa, si è mosso. E in azienda? Anche qui, in questo luogo-non luogo generatore di valore, non sembra ci si sia interrogati abbastanza sulla natura dei fallimenti, sull’incapacità di reggere le spallate di un mercato in grave contrazione, sulla possibilità di trovare una nuova via al modo di fare impresa. Forse proprio qui, nel fortino degli shareholders, governato esclusivamente dai risultati di cassa, vanno ricercate le cause prime della riduzione del lavoro: il rigido blocco del turnover e il dimensionamento degli organici, molto più dell’innovazione e della cura del cliente, sono stati i postulati su cui si è retta finora la gestione della crisi. In ingresso le porte del fortino sono state chiuse in faccia alle nuove generazioni; in uscita sono stati esiliati ed esodati i più anziani, perché più costosi e più vicini alla pensione. Questa la ferrea logica di un modello di business basato sulla gerarchia e sul controllo, sul potere indiscusso dei supermanager e sulla massimizzazione del valore per gli azionisti, un modello certamente nemmeno scalfito dal maquillage delle varie ‘carte dei valori’, codici etici, bilanci di sostenibilità. Aidp –Associazione Italiana per la Direzione del Personale– ha recentemente comunicato di aver aderito a Parks – Liberi e Uguali, associazione che si propone di promuovere luoghi di lavoro ‘inclusivi’ e rispettosi di tutti dipendenti, “indipendentemente dal loro orientamento sessuale o dalla loro identità di genere”, per realizzare al massimo nelle aziende socie le opportunità di business legate alla valorizzazione delle diversità (www.parksdiversity.eu). Rosa Parks nel 1955 rifiutò di alzarsi e cedere il suo posto in autobus a un passeggero bianco. Un semplice piccolo gesto da cui partì un movimento che liberò l’America dalla segregazione razziale. A Parks hanno aderito aziende come Ikea, Telecom, Roche, Johnson & Johnson, IBM. Mi chiedo se, oltre a convenire di evitare che il lavoro venga negato ai gay, queste aziende si pongano anche l’obiettivo di evitare la discriminazione sul mercato del lavoro degli anziani ‘high skilled’ e dei giovani, in particolare laureati, donne e meridionali. Lo stato di fatto è che ormai i giovani ‘né studio né lavoro’ vivono ancora a casa oltre i 30 anni, apatici, passivi, computerizzati, e cominciano a godere anche della asfissiante compagnia dei loro genitori ‘né lavoro né pensione’. Ma se le imprese non evolvono verso una nuova cultura industriale, molto possono però fare le Istituzioni locali e le Università. Non certo per creare lavoro, ma per meglio attrezzare i giovani e i senior a espandere il proprio futuro. L’allenamento a sviluppare essenziali competenze d’intelligenza emotiva, dalla self-leadership alla comunicazione, all’influenza e alla resilienza, l’educazione all’autosviluppo, la conoscenza del mercato del lavoro e delle sue regole, non sono materia di studi né scolastici né universitari, eppure rappresentano tasselli portanti per pavimentare la strada che collega lo studio al lavoro, e costruire future possibilità di placement. Nei lontanissimi primi anni ’60 John Kennedy, se non sbaglio, disse agli Americani pressappoco questo: se non possiamo costruire un futuro ai nostri figli, possiamo almeno costruire i nostri figli per il futuro. Cominciamo a farlo. Alcune Università come Luiss e Suor Orsola Benincasa (private!) hanno cominciato ad accompagnare i giovani ad attraversare il confine. Leggi tutto >

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