“Ecco questa è la tua nuova postazione, questi sono i dati a tua disposizione, cosa puoi dirci?” Mi sento un po’ come uno sciamano, chiamato a
interpretare i segni lasciati dal passaggio di esseri sconosciuti in una foresta inesplorata; è così che mi guardano quelli intorno a me.
E non so bene cosa si aspettano che tiri fuori dal cilindro, ma di sicuro se anche fosse solo un coniglio dovrebbe essere accompagnato anche da un po’ di fumo e un po’ di odore di zolfo…
Ecco, è proprio così che mi sembra venga interpretato il mestiere del Data Scientist fuori dalla sua cerchia: molta aspettativa, ma non si sa bene per cosa…
In fondo mia mamma non sa spiegare bene cosa faccio e nemmeno mio figlio. Una volta, quando lavoravo in banca al Dipartimento Antifrode sulle carte di credito, la figlia della mia collega ha detto: “Fai la CSI (Crime Scientific Investigation) delle carte di credito!”.
Questa interpretazione copre molti aspetti del ‘mestiere’, ma innesca anche quella diffidenza legata a tutte le investigazioni per cui i risultati estratti (dal cilindro) sono una sorta di arma ‘contro’ gli utilizzatori: un grande fratello.
Il caso Cambridge Analytica certo non aiuta a mettere in luce il potenziale positivo dell’utilizzo dei dati. Se non facciamo un po’ di divulgazione scientifica, se non ci educhiamo all’uso dei nuovi mezzi tecnologici, perdiamo almeno una faccia della medaglia: i dati usati per rintracciare le persone dopo un disastro ambientale, o per
supportare politiche economiche e sociali Leggi tutto >