Tag: corsi

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Stiamo vivendo in un’epoca di grandi cambiamenti. Clima, poteri geopolitici, profili demografici sono in continua evoluzione; emergono nuove società e culture. Nella comunicazione s’impongono nuove strategie e piattaforme, cambiando gli scenari di operatività per le aziende. Tutto è in un grande movimento irreversibile.

Oltre a presentare innumerevoli sfide al genere umano, questo secolo può anche offrire, a chi sarà preparato, l’opportunità di crescere personalmente e professionalmente. Come in tutti i cambiamenti, i primi che riusciranno a intercettarli nel modo giusto, familiarizzando ed entrando in empatia con essi, potranno emergere e conquistare nuovi mercati. Sfide che le imprese dovranno affrontare, e opportunità che potranno cogliere, facendo leva sul proprio team. Per una vittoria personale, di gruppo e d’azienda. Leggi tutto >

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GYM & COACHING 4 BUSINESS

“il luogo d’incontro tra manager, coach e specialisti di competenze manageriali”

organizza Giovedì 13 e Venerdì 14 Giugno, dalle ore 9,30 alle 18,00

a Milano, presso la sede di Ideamanagement in via Inama, 17/a

due giornate di palestra per l’apprendimento e lo sviluppo di capacità manageriali con il seguente tema

ERRORE AMICO MIO

L’errore nel processo di apprendimento Leggi tutto >

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Risonanze musicali – di Mauro De Martini –

Le contraddizioni organizzative mi hanno sempre affascinato, non tanto per una disposizione giudicante o per razionalità logica, ma perché manifestano la complessità dell’animo umano e rivelano le intricate dinamiche del ‘vivere insieme’. Incontro una di queste contraddizioni in alcune organizzazioni che iscrivono i propri collaboratori ai corsi sulla creatività. Ad alcuni ho partecipato personalmente. Posso testimoniare che il più delle volte sono molto ben progettati, i formatori sono bravi, preparati, creativi, appunto. Ciò che mi colpisce, tuttavia, è che i corsi sono tenuti presso aziende che non lasciano spazio alcuno alla creatività, che sono normate dai piedi fino alla punta dei capelli, sorvegliano ogni minimo dettaglio e seguono procedure rigidissime, partendo dal come svolgere le mansioni e arrivando al modo di vestire, di rispondere al telefono, di scrivere le e-mail. Le regole sono utili. Sono d’accordo, ma mi domando dove può portare un eccesso di regolamentazione. Se ci domandiamo cosa significhi essere creativi, incontriamo modelli che celebrano un modo di pensare ‘non convenzionale’, ‘divergente’, ‘al di fuori degli schemi’, ma la maggior parte delle organizzazioni richiede rispetto delle convenzioni, delle regole, e soprattutto persone ‘allineate’. Qui sta la contraddizione. Si desiderano persone creative, che mettano a disposizione dell’azienda la loro capacità di innovare, ma la creatività deve essere esercitata in modo convenzionale, molto rispettoso delle norme e delle procedure. In questo periodo s’invocano a gran voce creatività e innovazione, come se possedessero un potere magico o messianico, ma è evidente che stiamo attraversando un momento difficile per la libertà, humus indispensabile per la creatività. Da tempo si assiste a una progressiva, ma inesorabile, regolamentazione di ogni attività umana, e non solo negli ambienti aziendali, ma anche in quelli sociali. Per ogni cosa c’è una nuova regola, una legge, un vincolo. Questa deriva, che mi sembra stia diventando sempre più aggressiva, invece di manifestare un progresso segnala un’involuzione, una rinuncia all’autoregolazione della coscienza individuale, della cultura civile e della responsabilità. I motivi addotti per giustificare il ‘nuovo ordine’ sono ‘la mancanza di risorse’, la necessità del ‘convivere pacifico’, il mantenimento di uno standard qualitativo elevato. Ma se scendiamo sotto la superficie, incontriamo protezione di potere e privilegi, paura del cambiamento, difese di casta. Tutto ciò mi ricorda il periodo della vita in cui il grande Bach, in qualità di Director Musices a Lipsia, si scontrò con il potere religioso e civile della città. Le autorità manifestavano un atteggiamento convenzionale e burocratico, che mal si accordava con il temperamento e il genio creativo del compositore. Nonostante un’immagine che ha resistito per anni, e che rappresentava Bach come vittima, il compositore, ben consapevole del proprio valore, non si sottomise facilmente agli obblighi, spesso vessatori, che il suo ruolo prevedeva. Ne nacque un conflitto fatto di lettere, polemiche, scaramucce, colpi bassi, su questioni apparentemente di poca importanza, ma che puntavano a riportare Bach al rispetto dell’autorità. Bach, in una lunga lettera –‘report’ si direbbe oggi−, fece notare ai suoi capi che gli organici erano inadeguati, sia in termini di numero, che di preparazione musicale. Bach si rendeva conto che queste carenze gli impedivano di esprimere pienamente la sua creatività. Lui puntava a un nuovo linguaggio musicale, più complesso rispetto a quello dei suoi predecessori, che richiedeva competenze maggiori e organici adeguati: “Lo status musices attuale è totalmente diverso: la tecnica è molto più complessa, il gusto si è alquanto modificato, e la vecchia maniera di far musica non suona più confacente alle nostre orecchie, di modo che sarebbe necessario poter disporre di un aiuto più considerevole. Si dovrebbero scegliere soggetti che fossero capaci di applicare il nuovo modo di far musica, al tempo stesso costoro dovrebbero essere in grado di soddisfare il compositore nella realizzazione delle sue musiche: e invece quei pochi beneficia, che semmai avrebbero dovuto essere aumentati, anziché diminuiti, ora sono stati tolti al chorus musicus». La richiesta non venne accolta, anzi, scrive Alberto Basso: “si minimizzavano i risultati musicali e per contro si privilegiavano i doveri di ufficio intesi come supina accettazione dei regolamenti, dei patti scritti e di un certo costume imposto dall’alto”. Nihil sub sole novi! Leggi tutto >

Vox Humana

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Risonanze musicali – di Mauro De Martini –

Qualche anno fa ho partecipato a un corso di formazione tenuto da una direttrice di coro. Il tema non era il canto corale. Era uno dei tanti corsi di crescita personale, un po’ improbabili, a cui mi sono iscritto negli ultimi vent’anni. Succede così: quando sto correndo in modo esagerato e l’ansia dilaga, scatta un interruttore automatico che mi costringe a rallentare. Sento un impulso di fare un po’ di pausa, prendere un po’ di tempo per me e interrompere la frenesia degli impegni quotidiani. Cerco di pensare a quello che mi sta capitando. La maestra di coro era stata invitata dall’ente che organizzava i seminari e sembrava piuttosto irrequieta, non a proprio agio. Probabilmente non era abituata a fare queste cose. Ma passati pochi istanti si dimostrò bravissima. Ci mise in cerchio e ci fece semplicemente respirare, prendendo consapevolezza del nostro respiro –quante volte in un giorno ci concentriamo su come respiriamo?–. Ci stava introducendo alla base del canto, che non è esclusivamente emissione del suono, è anche respirazione. Lei girava per l’aula ascoltando il nostro respiro, invitandoci a chiudere gli occhi, a rilassare i muscoli e a concentrarci sul ritmo. Poi ci chiese di emettere ‘la nostra nota’. Questa domanda un po’ bizzarra fece sorridere qualcuno. “Che vuol dire emettere la ‘nostra nota’?”, chiese uno. Lei imperturbabile rispose: “una nota che sentite vostra, che esprima il vostro modo di essere”. In questi casi il mio lato razionale si agita. Avrei voluto sollevare qualche obiezione, ma forse per la lunga abitudine all’obbedienza scolastica o per il lato irrazionale che spinge nella direzione opposta –ma buttati una volta tanto!–, feci come aveva chiesto. Con poco sforzo emisi una nota che conoscevo già da molto tempo, perché mi piace e perché so che in quel registro suona bene. Sentii che altri attorno a me stavano facendo la stessa cosa. Il risultato fu una divertente, e un po’ imbarazzata, cacofonia. La ‘maestra’ continuava a girellare tra noi, avvicinando l’orecchio ora a uno, ora a un altro. Facendo un gesto con la mano, come fosse normale, faceva un intuibile gesto per controllare l’intensità della nostra emissione sonora. L’indicazione successiva fu di cambiare nota. Come accade sempre, iniziarono dei naturali ‘aggiustamenti’ e ‘accordature’. Quello che era nato come un clangore di campane, lentamente, ma in modo chiaramente percepibile, diventò un suono piacevole da sentire. Ci stavamo intonando. Che meraviglia cantare insieme! Da quando studio musica lo strumento che mi affascina di più è proprio la voce umana. Ci sono mille strumenti fantastici, tutti hanno un suono incantevole e hanno una storia incredibile da raccontare, ma la voce ha qualcosa in più, qualcosa di magico. Per me il canto umano è un modo particolare di entrare in relazione con gli altri e con noi stessi, che ha legami profondi con il nostro modo di relazionarci in generale. Ogni persona emette un suono con un’identità propria, irripetibile. Questa constatazione, per quanto ovvia, ci fa apparire l’ascolto della voce umana come un’esperienza percettiva ricchissima e dovrebbe far sorgere qualche dubbio a chi pensa che le persone sono tutte intercambiabili, e ciò che conta sono le funzioni. Per un direttore di coro invece è un fatto ovvio. Ogni volta che entra a far parte del coro un nuovo cantore, o uno se ne va, il ‘suono’ del coro cambia. Cantare in coro significa quindi fare andare d’accordo persone che emettono suoni, in un certo senso, ‘diversi’. L’esperienza di canto corale forma all’accoglimento della differenza. La differenza è massimamente valorizzata perché è il valore aggiunto di ogni individuo. Allo stesso tempo, c’è la volontà di cantare tutti insieme la stessa musica, e quindi di ‘andare d’accordo’, rinunciando al potere di prevalere, per raggiungere un risultato collettivo. Inoltre, cantare insieme ci mette a confronto con la nostra stessa voce. Chi lavora sulla propria voce sa che attività incessante sia trovare ‘la propria voce’ e valorizzarla al meglio. In parte è attività tecnica ed esercizio, ma credo sia anche un percorso spirituale, legato profondamente alla realizzazione di sé. Alcuni riescono a far percepire questo agli ascoltatori: “Ecco, questa è la mia voce, io sono fatto così, non ho paura di esprimerla davanti a te e insieme a te”. È evidente la congruenza tra quello che comunicano con la voce e ciò che sono. Può piacere o non piacere, ma qui siamo nel regno del gusto. Per questo penso che l’unione di persone che fanno questo percorso insieme genera forme bellissime e altissime d’espressione umana. E non mi riferisco solo al canto corale. Leggi tutto >

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