Tag: colloquio

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A cura della Redazione

I giovani hanno molte difficoltà a trovare lavoro in Italia e spesso sono costretti ad accettare posizioni inferiori al loro livello di istruzione, anche perché secondo 7 lavoratori su 10 l’esperienza è più importante dell’educazione per trovare un’occupazione adeguata.
Per il 73% dei dipendenti non esiste nemmeno la certezza di mantenere il posto attualmente ricoperto e metà di questi cederebbe parte dello stipendio in cambio di garanzie sulla sicurezza del proprio lavoro. E così, in una situazione di profonda incertezza, il 65% dei lavoratori si trasferirebbe in un altro Paese per trovare l’impiego che sta cercando.
In un mercato del lavoro complesso, le società di recruiting assumono un ruolo chiave nella connessione tra domanda e offerta: il 55% dei lavoratori italiani si rivolgerebbe a un’agenzia specializzata se si trovasse disoccupato. Mentre quasi tutti dichiarano di preferire un lavoro temporaneo piuttosto che rimanere senza lavoro e 6 su 10 ritengono che questo possa essere un trampolino di lancio per trovare successivamente un impiego a tempo indeterminato. È quanto emerge dal Randstad Workmonitor, l’indagine sul mondo del lavoro realizzata da Randstad, seconda azienda al mondo nel mercato delle risorse umane, nel secondo trimestre 2013. Lo studio è stato dedicato in particolare alla partecipazione al mercato del lavoro, attraverso un sondaggio sottoposto a lavoratori dipendenti di 32 Paesi nel mondo.
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di Piermario Lucchini e Francesco Ziliani

Il colloquio di lavoro è un passaggio strategico nella vita di una persona e di un’azienda, che si serve di questo incontro per valutare se il candidato è proprio quello di cui ha bisogno in quel momento. La relazione che si instaura tra il candidato e il selezionatore ricalca quel gioco delle parti spesso difficile da gestire, da entrambe le prospettive. Fino a qualche tempo fa, la conclusione di un colloquio di lavoro era segnata immancabilmente dall’enigmatica frase “Le faremo sapere…”, che lasciava il candidato sulle spine, senza poter stabilire l’esito dell’incontro di selezione. Ma come ricorda il suo primo colloquio di lavoro chi oggi si occupa di selezione? Piermario Lucchini e Francesco Ziliani hanno raccolto in “Le faremo sapere” –edito da Este nel dicembre 2011– quindici racconti di quelli che, anni fa, sono stati i primi colloqui in veste di candidati per quelli che oggi lavorano come selezionatori. Leggi tutto >

Forme d’incontro

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Risonanze musicali – di Mauro De Martini –

Non molto tempo fa mi è capitato un episodio che ritengo interessante. Per un po’ sono stato in dubbio se raccontarlo attraverso questa pagina, perché non desidero centrare l’attenzione su un giudizio. Tuttavia la fiducia nei lettori della rubrica mi incoraggia. Così vado avanti, lasciando da parte i dubbi, e do voce all’esperienza personale. Sono stato convocato per un colloquio da un responsabile della formazione. Dopo i primi convenevoli, il manager inizia a raccontare la situazione aziendale e prosegue ininterrottamente per parecchio tempo. Cerco di fare qualche domanda o riformulare qualche concetto, ma è impossibile intervenire. Vengo immediatamente troncato. Il mio interlocutore prosegue nella sua descrizione. Mi viene presentato un ampio documento dove sono spiegate la vision e la mission dell’azienda. Cerco di intervenire per capire meglio. Ma quando parlo, mi rendo conto che l’altra persona stacca completamente l’attenzione, sembra quasi irritata. A un certo momento, pare giunto il mio turno. Il manager chiede la mia opinione. Apro la bocca e dico due parole. Squilla il suo cellulare. Lui si alza, abbandona il tavolo dell’incontro, e risponde. Rimango in silenzio, fino al termine della lunga telefonata. Il manager ritorna al tavolo. Cerco di riprendere il filo del discorso, ma viene nuovamente interrotto dal cellulare. Altri cinque minuti d’attesa. Terminata anche questa telefonata, ricomincio dall’inizio. Mentre parlo, ho la netta impressione di non essere ascoltato. Infatti, dopo un istante, vengo interrotto. A un tratto, mi arriva un messaggio sms. Prendo il telefono per spegnerlo. Subito il manager mi apostrofa: “Beh, io sto parlando, ma mi ascolti o rispondi ai messaggi?”. Come dicevo, non sono intenzionato a esprimere un giudizio. Chi può dire cosa passasse nell’animo del mio interlocutore? Mi sembrava piuttosto in ansia, forse era quello che gli impediva di centrarsi su ciò che cercavo di dire. Mi interessa invece sottolineare un fenomeno che sembra diffondersi e che, talvolta, riguarda anche me. Ho la netta sensazione che sia sempre più difficile trovare, e mettere in atto, atteggiamenti di ascolto autentico. Non so bene quale sia la causa. Me ne accorgo non perché manchino interlocutori disposti ad ascoltare, ma perché colgo un dilagante bisogno d’espressione. Mi sembra che stia aumentando l’urgenza di affermare se stessi, di posizionarsi rispetto alle affermazioni dell’altro. Sarà forse il frangente di crisi che stiamo attraversando? Siamo spaventati e cerchiamo di riaffermare, come un mantra, le nostre convinzioni, le nostre soluzioni salvifiche? Quando affermo che queste sono percezioni mie, intendo relativizzarle. Il mio osservatorio è piuttosto limitato e condizionato dal mio stato d’animo. Inoltre sono consapevole che il mio palato è molto esigente, forse troppo. La ‘colpa’ sta nella mia esperienza musicale, che mi ha fatto apprezzare il ‘gusto dell’ascolto’ o, per meglio dire, la ‘gioia d’ascoltare’. La musica è la dimensione dell’ascolto. Anzi, sono convinto che la musica sia scritta per essere ascoltata. È vero che c’è la musica per la danza, quella d’ambiente, quella per rilassare e così via. Sono forme in cui l’ascolto non è protagonista. Ma anche oggi, in cui possiamo dire che la musica –cosiddetta– classica non è più l’unica musica, la musica è prevalentemente fatta per essere ascoltata. L’esperienza d’ascolto è stupefacente perché è sempre in dialogo. Ci si apre al mondo di chi l’ha scritta e una parte di noi risuona con quanto viene suonato. Ogni ‘ascoltare’ è anche un ‘ascoltarsi’ –può darsi che qui si annidi una paura–. La musica propone un incontro. La stessa musica viene eseguita da vari interpreti. C’è una struttura che non muta, che mantiene la propria identità, e un’altra che muta, in funzione di chi la esegue. Anzi, ogni nuovo ascolto è arricchito dagli ascolti precedenti. Ogni ascolto è un incontro sorprendente, come ogni persona che conosciamo rappresenta una stupefacente possibilità d’incontro. La musica, poi, chiede di essere ascoltata nuovamente, di essere conosciuta meglio. Più la si ascolta, più la si ama. Ciò nondimeno è importante la ‘forma’ di questo incontro. Un requisito fondamentale è il tempo. In una società in cui ‘non c’è più tempo’, come facciamo ad ascoltare e a incontrare? E per incontrare bisogna mettersi in gioco, porre attenzione a chi e a cosa si ascolta. Perciò credo che la ‘formazione’ prima di essere comunicazione di contenuti, o tentativo di cambiare i comportamenti, sia attenzione alla ‘forma’ dei nostri incontri. Leggi tutto >

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