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di Lauro Venturi

Tempo fa sono stato invitato a Radio Lombardia che, alle 18, manda in onda la rubrica Pane al pane, uno spazio nel quale si commentano i fatti più rilevanti del momento. Quel giorno le due notizie calde erano la decisione della direzione aziendale dell’Ilva di chiudere lo stabilimento di Taranto (dopo un’ondata di arresti di vertici aziendali, sindaci, parroci…) e la dichiarazione del Presidente Monti sulla possibile non sostenibilità del nostro servizio sanitario nazionale. Come rappresentante di un’associazione imprenditoriale di aziende artigiane e piccole imprese, ho denunciato che giornali e televisioni si occupano in modo compulsivo della crisi di alcune grandi aziende e ignorano lo stato di malessere, rancore e sfiducia che attraversa il mondo dell’imprenditoria diffusa. Alcuni dati: Fiat Auto, Alcoa ed Ilva occupano in Italia più o meno 30.000 dipendenti.
Nella relazione annuale di CNA, che si è tenuta a novembre 2012, alla presenza del Presidente del Senato Schifani, del Ministro allo Sviluppo Economico e delle Infrastrutture Corrado Passera, dei Segretari di partito Bersani, Alfano e Casini, il Presidente Malavasi ha comunicato che, negli ultimi 4 anni, quasi 90.000 imprese artigiane di produzione hanno cessato l’attività, bruciando 250 mila posti di lavoro in meno. Diverse volte ho scritto, anche su queste pagine, di come la chiusura di una piccola azienda rappresenti, oltre a un evidente problema economico, anche un dramma personale dell’imprenditore, che vede svanire gli sforzi e il sogno suo e della sua famiglia.
Lasciando perdere le analisi più qualitative, rimbalza agli occhi che 250.000 posti di lavoro perduti dall’imprenditoria diffusa sono più di otto volte quelli in gioco nelle tre crisi aziendali che monopolizzano l’informazione. Lungi da me mettere in competizione il lavoratore di un’azienda artigiana e quello di una grande impresa. In questa crisi ‘morfologica’ nemmeno il lavoratore e l’imprenditore artigiano sono controparti: la vera sfida è tra la cultura del lavoro e quella della rendita!
Sono anche convinto che un buon sistema produttivo sia fatto di aziende di diversa taglia e tipologia. Ma i 250.000 posti di lavoro persi dall’imprenditoria diffusa per mancanza di credito, eccessiva burocrazia e imposizione fiscale insopportabile, sono forse di serie B e meno degni di attenzione?
Tornando alla trasmissione radiofonica, la giornalista ha sottolineato che i piccoli imprenditori e i loro dipendenti affrontano con dignità e compostezza, senza clamore, questa terribile situazione. Mi è partito un flash sulle mie terre emiliane, martoriate dal terremoto del maggio scorso.
Anche in qual caso, la retorica mediatica ha enfatizzato la dignità e la compostezza dei cittadini e degli imprenditori che si sono tirati su le maniche, mettendosi a lavorare sodo per ripartire sulle macerie di case e capannoni.
Io stesso, nel numero di ottobre 2012 di questa rivista, ho raccontato di un’imprenditrice di Rovereto di Modena che in poco più di un mese è riuscita a riprendere l’attività produttiva.
L’articolo si chiudeva con l’auspicio che lo Stato, questa volta, dimostrasse che si può ricostruire senza finire nelle fauci di ignobili faccendieri, premiando le persone per bene che, con tenacia e dignità, vogliono risollevarsi.
A fine ottobre è successo il patatrac perché il Governo Monti ha comunicato che il 17 dicembre tutte le imprese coinvolte nel sisma devono, senza se e senza ma, versare in un’unica soluzione i contributi previdenziali e assistenziali INPS e i premi INAIL, sia quelli dovuti alle normali scadenze, sia quelli derivanti da dilazioni in corso al momento dell’evento sismico.
Questo comporta un esborso finanziario insostenibile per molte imprese, che hanno avuto cali di fatturato enormi nel periodo maggio-ottobre, nonché buste paga a zero (se non in negativo) per i dipendenti che si vedono conguagliate le trattenute proprio sotto Natale. La rabbia è esplosa, incontenibile, amara e aggressiva: contro i politici e contro le Istituzioni.
La compostezza degli artigiani e dei piccoli imprenditori è andata a farsi benedire, di fronte ad atteggiamenti sordi e ciechi di chi ci governa, di fronte a uno Stato che non solo non sta dalla tua parte, dopo che sei stato duramente colpito, ma che ti tratta come una controparte.
“Sa, Venturi, per me dovrebbero davvero darci una mano, perché in questo modo poi noi glieli restituiamo quei soldi, con l’occupazione, le tasse che paghiamo…”.
Il buon senso delle parole che ho riportato qualche rubrica fa, svanisce tristemente. Non lascia presagire nulla di buono questo modo di fare della politica e delle istituzioni. E allora, dico forte che la compostezza e la dignità non sono più una virtù, così come ogni pazienza ha il suo limite. 
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