Stress e ambiente di lavoro. L’occasione dell’ufficio confortevole

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BENESSERE, STRESS, AMBIENTE DI LAVORO

di Michele Ciceri

Comfort significa ben-essere fisico e psichico. L’ufficio confortevole è il luogo ‘ideale’ per lavorare, traduzione concreta dell’ambiente materiale e relazionale dove le persone vivono bene e producono di più; per il bene loro e dell’azienda. Il D.lgs 81/2008 (e le norme collegate), che dal 1° gennaio 2011 obbliga i datori di lavoro a valutare il rischio di stress lavoro-correlato, è un’opportunità di crescita per le organizzazioni a ogni livello. L’ufficio confortevole è per definizione salubre e contribuisce al ben-essere dei cinque sensi con un buon microclima, un’acustica corretta e un’illuminazione adeguata. L’ufficio confortevole è anche bello, con l’aiuto dei colori.

In un ufficio dove si sta bene si vive meglio. Si lavora meglio. E si produce di più. Nei luoghi di lavoro passiamo una buona parte della nostra vita –come dimenticarsene?– e le malattie professionali gravano sulla spesa pubblica. Il ben-essere nei luoghi di lavoro non è una questione privata impresalavoratore. È, piuttosto, un tema socialmente rilevante. Non per niente la legge dello Stato se ne occupa –colmando negli ultimi tre anni il ritardo accumulato– con una serie di norme abbastanza precise. Il punto di riferimento dal 2008 è il decreto legislativo 81 –Testo Unico sulla Sicurezza e sulla Salute delle Lavoratrici e dei Lavoratori– in base al quale (e alle successive modifiche apportate dal d.lgs 106/2009) la valutazione del rischio nei luoghi di lavoro è obbligatoria e lo è anche, come recita l’articolo 28 del decreto, la redazione del Documento Valutazione Rischi (DVR) da compilarsi a cura del datore di lavoro in collaborazione con il ‘medico competente’. Ciceri_65_1I rischi di cui parla la legge sono quelli ‘tradizionalmente’ legati all’ambiente fisico –indipendentemente dal fatto che l’oggetto dell’analisi sia un ufficio o un’officina– ma anche quelli più ‘moderni’ dello stress lavoro-correlato, che il Dlgs pone sullo stesso piano degli altri e che dal 1° gennaio 2011 è fatto obbligo di valutare. L’ambiente ufficio non è immune da rischi per la salute fisica e mentale dei lavoratori. Valutare questi rischi e porre rimedio agli eventuali problemi riscontrati è un obbligo ma anche un’occasione per le imprese. Il risultato sarà infatti un ufficio più efficiente, cosa non da poco in uno scenario dove le persone, con il proprio patrimonio di conoscenza, diventano sempre più importanti.

 

Il rischio di stress lavoro-correlato

Va innanzitutto chiarito che cos’è lo stress. Dal punto di vista lessicale, una buona risposta è scritta nell’articolo di Livio Macchioro pubblicato su questo numero di Persone&Conoscenze (vi invitiamo a leggerlo alla rubrica Armi&Bagaglio). Con ri- ferimento allo stress-lavoro-correlato facciamo invece rispondere l’Inail: “Lo stress legato all’attività lavorativa si manifesta quando le richieste dell’ambiente di lavoro superano la capacità del lavoratore di affrontarle, o controllarle. Lo stress non è una malattia, ma può causare problemi di salute mentale e fisica se si manifesta con intensità e perdura per qualche tempo”. A causare stress sul posto di lavoro sono i carichi di tensione, spesso all’ordine del giorno, più frequentemente dovuti a turni troppo lunghi, dissidi con i colleghi, ansia da prestazione; fattori che mettono a rischio il benessere dell’ufficio. L’Unione Europea ha iniziato a occuparsi di questo aspetto del problema già alcuni anni fa con la stipula a Bruxelles (data 8 ottobre 2004) di un accordo europeo in tema di lavoro e stress. Tale accordo è stato recepito in Italia nel 2008 e dal 1° gennaio di quest’anno (2011) si è tradotto nell’obbligo per tutti i datori di lavoro di incominciare a misurare lo stress dei propri dipendenti, provvedendo, qualora esista, a eliminarlo o almeno a ridurlo. I rischi di stress lavoro-correlato devono essere inseriti –è un obbligo passibile di sanzioni– nel Documento Valutazione Rischi.

 

Le due fasi della valutazione

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Mario Fusani

Le indicazioni metodologiche per la valutazione dei rischi –compreso quello da stress lavoro-correlato– sono contenute nella circolare del 18 novembre 2010 seguita alla riunione della Commissione (ministeriale) consultiva per la salute e la sicurezza sul lavoro. “Nella sostanza la valutazione si articola in due fasi distinte –spiega l’avvocato giuslavorista milanese Mario Fusani– di cui la prima, sempre necessaria, consiste nell’analisi delle condizioni oggettive di rischio, dei fattori sostanziali di lavoro e di altri fattori legati al contesto lavorativo, come i ruoli all’interno dell’organizzazione. Nel caso siano rilevati rischi di stress lavorativo, scatta la seconda fase, eventuale, che prende in considerazione le condizioni soggettive, ascrivibili cioè alle singole persone, attraverso strumenti come i focus group, le interviste semistrutturate o i questionari che permettono ai lavoratori di esprimere la loro personale percezione di se stessi e del proprio ruolo all’interno dell’organizzazione. Il passaggio dalla prima alla seconda fase –prosegue Fusani– dipende molto dai cosiddetti eventi sentinella, casi di infortunio, assenze, che evidenziano di per sé l’esistenza di una situazione di rischio. Una cosa certa è che le indicazioni valgono per tutte le aziende, pubbliche e private, di qualsiasi dimensione, e che anche nel caso in cui non vengano rilevati segnali negativi, il datore di lavoro è tenuto a indicarlo nel documento di valutazione del rischio e a prevedere un piano di monitoraggio. Nelle grandi aziende la valutazione può essere fatta su un campione rappresentativo di lavoratori. Altra cosa certa è che la valutazione dello stress lavoro-correlato presenta molti più elementi di complessità rispetto a una ricognizione generica sui rischi perché attiene da una parte agli aspetti soggettivi della persona e dall’altra al suo inquadramento funzionale all’interno dell’organizzazione. Distinguere lo stress lavoro-correlato da quello riconducibile a fattori caratteriali della singola persona non è sempre facile”.

 

Nessuno è escluso dall’analisi

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Danilo Vitali

Si stimano in 40 milioni in Europa le persone che in qualche modo accusano sintomi da stress lavoro-correlato, il 22% circa dei lavoratori (ci riferiamo ai dati pubblicati nei mesi scorsi dai maggiori quotidiani). In Italia, i lavoratori toccati dal problema sembra siano 4 milioni, molti di più quelli che percepiscono lo stress sul posto di lavoro come un rischio per la propria salute. I soggetti più a rischio sono quelli tra i 35 e i 44 anni, le donne e i precari. Proprio sul fronte precari –intesi come la popolazione dei lavoratori non inquadrata in modo tradizionale– la nuova normativa presenta uno dei maggiori elementi di novità. “La valutazione del rischio specifico di stress lavoro-correlato riguarda tutta l’azienda, non questa o quella singola unità produttiva, quindi taglia orizzontalmente tutta l’organizzazione” –ci spiega un altro avvocato giuslavorista di Milano, Danilo Vitali–, ciò inserisce una differenza non da poco rispetto ai rischi tradizionali di cui la legge si occupava in precedenza e che venivano apprezzati in relazione esclusivamente alla possibilità di infortuni o di malattie professionali, di conseguenza con una focalizzazione su singoli reparti o unità produttive e l’esclusione di altri non particolarmente significativi sotto questo aspetto. Tutta l’organizzazione significa tutte le categorie di lavoratori, dai quadri ai dirigenti, dagli impiegati agli operai, compresi i lavoratori flessibili e somministrati intesi come coloro che non rientrano nelle tipologie contrattuali classiche. La valutazione nella fase oggettiva, ed eventualmente nella seconda fase soggettiva, dovrà tenere conto delle situazioni specifiche, come per esempio una maggiore e diversa esposizione allo stress della parte più precaria e meno tutelata dell’organizzazione”. Per sua fortuna il datore di lavoro non è da solo nel compito di determinare lo stress dei suoi dipendenti. “La valutazione del rischio coinvolge il medico competente, il servizio di prevenzione e protezione dell’azienda, e anche i rappresentanti dei lavoratori” aggiunge Vitali. È possibile richiedere la consulenza di personale esterno specializzato (articolo 31 comma 3 del decreto) ed esiste una procedura semplificata per le micro-imprese che occupano fino a cinque lavoratori: qualora emergano elementi positivi di rischio, basteranno riunioni intese a trovare soluzioni migliorative nell’organizzazione del lavoro. Se ne deve comunque parlare nel documento di valutazione dei rischi, con l’indicazione dell’avvio della procedura di valutazione e i tempi previsti per la sua conclusione.

 

Un’opportunità per le aziende

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Luca Failla

Pensare allo stress lavoro-correlato come a un problema solo del lavoratore è sbagliato. Il tema coinvolge indirettamente la collettività (costi sociali) e direttamente le aziende, perché impatta sulla produttività aziendale (si pensi alle assenze per malattia), sulla qualità e sull’immagine. “È la prima volta che le imprese si trovano a doversi occupare della salute dei propri dipendenti in un senso più ampio rispetto alla tradizionale idea che la legava solo alla prevenzione degli incidenti sul lavoro –sottolinea l’avvocato Luca Failla dello studio LabLaw di Milano– ora però sta a loro interpretare la cosa come un’opportunità e non come un mero obbligo di legge. Da questo atteggiamento iniziale dei datori di lavoro dipenderanno i risultati attesi dal legislatore, compresa un’azione preventiva nei confronti di fenomeni come il mobbing. È infatti innegabile che la rilevazione di situazioni di malessere in azienda permette di individuare e affrontare alla radice e in tempo utile fenomeni degenerativi che possono sfociare in situazioni anche molto gravi e dall’impatto pesante per l’organizzazione. Ciò va ad aggiungersi ai vantaggi in termini di competitività e produttività che il benessere psicofisico dei propri dipendenti può portare all’azienda; specie in un periodo economico difficile in cui sono sempre più le persone a fare la differenza”. Lo stress causa disattenzione e di conseguenza errori. Il rimedio richiede un ulteriore impiego di tempo e risorse. La valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, oltre a essere un obbligo, è una vera e propria opportunità per le aziende. Alcuni casi illustri sembrano dimostrare l’esistenza di una correlazione tra il benessere dei lavoratori e il risultato aziendale. Uno di questi è SAS, società americana di software e servizi, la maggiore azienda indipendente del mondo nel mercato della Business Intelligence, che ha chiuso il 2010 con il fatturato in crescita del 5,2% (in tempo di crisi!) e contemporaneamente si è collocata al primo posto nella speciale classifica “100 Best Companies to work for” di Fortune.

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Il ruolo dell’Inail

L’Istituto Nazionale Infortuni sul Lavoro ha partecipato attivamente alla stesura del testo del decreto 81/2008. Esperti dell’Istituto, tra cui due medici della sovraintendenza, hanno fatto parte della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza del lavoro, che ha elaborato le indicazioni secondo i contenuti dell’accordo europeo del 2004. Per l’Inail, infatti, queste patologie non sono una novità. Da tempo vengono compresi nella tutela assicurativa anche quei casi di patologie psichiche e psicosomatiche dovuti all’ esposizione a un evento ‘stressogeno’ acuto. “Negli ultimi anni la problematica si è estesa alle situazioni patologiche che alcuni aspetti dell’organizzazione del lavoro possono avere su alcuni individui, che non sono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro” spiega Marta Clemente, dirigente della Sovraintendenza medica dell’Istituto. Le denunce che arrivano all’INAIL per questo tipo di disturbi sono circa 500 l’anno. Solo nel 10-15% dei casi, però, sono state ritenute malattie di origine professionale. “Trattandosi di patologie a origine multifattoriale, il percorso metodologico per l’accertamento del nesso causale tra condizione-rischio e malattia denunciata segue lo stesso iter accertativo previsto per le altre malattie professionali –continua Clemente– e necessita di un atteggiamento rigoroso e obiettivo, che riguarda non solo l’inquadramento clinico della malattia, ma soprattutto l’identificazione oggettiva dell’esistenza di un’efficiente causa lavorativa psicostressante. “L’Inail partecipa attivamente alla costruzione di una cultura della sicurezza al fine di migliorare la tutela della salute dei lavoratori principalmente attraverso l’attività di formazione e informazione ai lavoratori, ai datori di lavoro e alle altre figure coinvolte nel sistema. Inoltre finanzia progetti di ricerca scientifica e mette a disposizione per le piccole e medie imprese fondi per la prevenzione”.

 

Incentivi per la prevenzione dei rischi

Le aziende sono molto interessate agli incentivi governativi che coprono una parte degli investimenti nella prevenzione dei rischi in ambiente di lavoro. Lo dimostra il fatto che le richieste presentate dalle aziende per investimenti in prevenzione attraverso il portale dell’Inail hanno raggiunto i 778 milioni di euro a fronte dei 60 disponibili. La gara telematica a tempo svoltasi il 13 gennaio 2011 ha visto esaurirsi il budget in meno di mezz’ora: 22 minuti di click per consumare i 10,46 milioni di euro a disposizione della Lombardia, 16 minuti per i 4,7 milioni del Veneto, 18 minuti per i 4,5 milioni dell’Emilia Romagna. Nel merito, i progetti risultati destinatari dei fondi Inail hanno interessato per il 74% investimenti di rinnovo di attrezzature e impianti, per il 20% l’adozione di nuovi modelli organizzativi e per il 6% la formazione. Rilevante è dunque la parte destinata a innovazioni di tipo organizzativo, tra le quali rientra la valutazione dei rischi correlati al benessere ambientale e allo stress. Questo dato sembra far emergere la consapevolezza anche da parte datoriale dell’importanza di una buona organizzazione del lavoro e della consapevolezza dei rischi. Vuol dire in sostanza che le aziende stanno realmente introiettando la cultura della sicurezza. È un aspetto importante. “Se si esclude lo stress collegato all’ambiente fisico di lavoro, che rientra tra i rischi tradizionali legati alla sicurezza, la matrice dello stress lavoro-correlato è quasi sempre organizzativa” aggiunge l’avvocato Mario Fusani. “Un caso che per noi ha fatto scuola ha riguardato le conseguenze di incidente automobilistico causato da un dipendente stressato dal numero abnorme di trasferte che l’azienda gli chiedeva di fare e che, necessariamente, dovevano svolgersi in automobile. Un classico esempio di logorio psico-fisico che poteva essere evidenziato attraverso un’opportuna analisi organizzativa e prevenuto nelle conseguenze con gli opportuni interventi correttivi”. A beneficiare delle agevolazioni messe a disposizione da Inail sono state prevalentemente le micro-imprese: il 49% dei progetti finanziati –pari a 711 domande su 1438– è stato attribuito ad aziende con dimensioni oscillanti tra una e dieci unità e le Pmi –imprese fino a 250 dipendenti– rappresentano il 98% delle domande totali.

 

Il contributo anti-stress dell’Ufficio HR

Anche i rapporti tra colleghi, con il capo e la competizione che si respira tra le scrivanie sono spesso causa di stress e a volte possono portare a situazioni di disagio che culminano nella richiesta di sostegno psicologico. Ecco perché alcune aziende, ancora poche in verità, adottano un supporto psicologico ‘aziendale’ (si veda a titolo di esempio il box dedicato a Nomination). Psicologici a parte, di quali strumenti dispone l’ufficio delle Risorse Umane? L’ufficio HR è di norma impegnato nel tentativo di garantire che i processi comunicativi interni, ma anche verso l’esterno, siano impostati in un’ottica di chiarezza ed efficacia; come anche nello sviluppo e implementazione continua di comodities e facilities (asili, convenzioni, ecc…) che permettano di garantire un buon livello di work-life balance. Oltre a sostenere la chiarezza nella comunicazione aziendale –favorendo l’utilizzo di strumenti che agevolino la diminuzione delle pressioni, come il lavoro flessibile e i servizi– il team HR può farsi promotore dell’adozione di vere e proprie policy aziendali a tutela del benessere del lavoratore. NorthgateArinso, fornitore di software e servizi HR con uffici in 35 paesi nel mondo, suggerisce per esempio sei linee guida secondo le quali l’azienda dovrebbe impegnarsi a monitorare costantemente i livelli di stress tra il personale: identificare i fattori di stress presenti al proprio interno; eseguire una valutazione periodica degli ‘stressor’; garantire l’implementazione di un sistema in grado di analizzare, valutare e rispondere agli eventuali fattori di rischio; garantire interventi ad hoc (per esempio azioni formative, focus group ecc.) finalizzati a diminuire costantemente i livelli di stress; porsi in ascolto di eventuali richieste di aiuto. “Se davvero, come spesso si dice, le risorse umane sono l’asset più importante delle aziende, diventa fondamentale garantire un alto livello di benessere organizzativo che permetta loro di essere motivate, fidelizzate e soddisfatte del ruolo che rappresentano in azienda” afferma Cristiana Rossi, HR Manager di NGA Italia. “L’Ufficio HR è il motore del processo di sviluppo dei dipendenti, e deve farsi garante della sicurezza e di livelli bassi o minimi di stress. Per questo motivo, iniziative volte a valutare, analizzare, monitorare, prevenire e gestire situazioni potenzialmente a rischio di stress devono partire e/o coinvolgere sempre l’area HR”.

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Survey di clima, punto di partenza

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Silvia Alessi

Ci sono aziende che pongono la soddisfazione dei dipendenti e la focalizzazione verso la persona tra gli obiettivi prioritari. Per esempio con una gestione flessibile della presenza in ufficio, limitata a quando e quanto necessario, senza rigidità che prescindono dalle necessità reali. Anche la tecnologia si dimostra una valida ed efficiente alleata della flessibilità: con pc, web cam, connessione Adsl e collegamento via chat con i colleghi per telefonate e videoconferenze (per non parlare della telepresence, efficace ma costosa), si può creare un vero e proprio home office che consente di poter svolgere le proprie mansioni lavorative a prescindere dal luogo fisico in cui ci si trova. “Nella nostra strategia di gestione delle Risorse Umane rientrano anche le politiche per favorire la conciliazione a tutti i livelli”, afferma Silvia Alessi, HR Manager di Avanade Italy. “Nella maggior parte dei casi si cercano di trovare soluzioni costruite su misura. Pensiamo alle donne e al loro rientro dalla maternità: l’azienda garantisce loro la possibilità di gestire i congedi con flessibilità e nel rispetto delle singole esigenze. Dalla flessibilità, al part time, al telelavoro, l’obiettivo è mettere la persona nelle condizioni di esprimere al meglio il proprio talento grazie alla conciliazione tra vita lavorativa e vita privata. In Avanade gli obiettivi della strategia di gestione delle Risorse Umane nascono direttamente dalle persone, ponendo la massima attenzione alla survey di clima che si svolge annualmente con percentuali di adesione che raggiungono il 90 per cento. Siamo molto attenti alle aree di miglioramento che ci segnalano i colleghi, le risposte sono spesso corredate da commenti molto accurati e puntuali, a conferma di quanto siano sentite dai collaboratori le tematiche del clima di lavoro. E il feedback è altrettanto puntuale: i risultati vengono presentati a tutte le persone, evidenziando le aree di miglioramento segnalate e le azioni che l’azienda intende intraprendere. L’impegno è garantire che le persone siano ascoltate. Crediamo che il rapporto di fiducia che si instaura in Avanade tra azienda e collaboratore rifletta in modo concreto un concetto di responsabilità sociale che, spesso, altre aziende vivono invece in modo molto teorico: formando le persone a 360 gradi e puntando sui valori di fiducia reciproca, impegno e condivisione”.

 

Il ben-essere fisico nell’ufficio

L’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) avverte che gli uffici, rappresentando un ambiente confinato dove le persone trascorrono ampia parte della giornata, possono essere considerati luoghi con possibili fonti di inquinamento indoor. Condizioni inadeguate di lavoro causano stress (anticamera di malattie che causano la perdita di produttività) ma anche malattie vere e proprie. Per questo motivo l’ufficio rappresenta un ambiente soggetto a diverse norme volte a garantire la protezione della salute e la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro; per esempio la legge sulla sicurezza (D.Lgs 626/94, ora D.lgs 81/2008) e il divieto di fumo che vige nei luoghi pubblici e negli ambienti di lavoro. Gli impianti, gli oggetti e le apparecchiature –condizionatori, arredi, moquette, stampanti, fotocopiatrici– possono costituire sorgenti inquinanti significative che incidono negativamente sulla qualità dell’aria e sulla salute degli occupanti.

 

Microclima e qualità dell’aria

Mancano dati italiani sulla perdita di produzione annuale dovuta alle conseguenze della scarsa qualità del microclima negli uffici (temperatura, unidità relativa, ventilazione, qualità dell’aria), ma la situazione non deve essere tanto diversa da quella degli Stati Uniti, dove l’agenzia americana per la protezione dell’ambiente (U.S. EPA) stima da una parte che il cattivo microclima nell’ambiente di lavoro causi un danno del 18% alla produttività (relativamente al settore commercio) e dall’altro che il 20% di tutti gli impiegati abbia una malattia importante –allergie, asma, malattie autoimmuni ecc– legata alla presenza di inquinamento indoor. Altri fattori di rischio sono legati all’illuminazione e all’acustica. Le malattie correlate con un microclima ostile sono suddivise in due gruppi: al primo appartiene la cosiddetta sindrome dell’edificio malsano (Sick Building Syndrome), caratterizzata da una sintomatologia di modesta entità (mal di testa, sonnolenza, irritabilità…) che si risolve o si attenua rapidamente con l’allontanamento dal luogo di lavoro; al secondo appartengono invece malattie con un quadro clinico ben definito che non si risolvono rapidamente (allergie, asma, brocnhiti, turbe psichiche…).

 

Olfatto, tatto e gusto

“Il benessere negli ambienti di lavoro è alla base del vivere e lavorare bene, che a sua volta si traduce in produrre di più e meglio”, sottolinea l’architetto Samuele Villa, progettista di spazi ufficio con studio a Vimercate. “Progettare il ben-essere in ufficio significa inseguire l’armonia dei cinque sensi, udito, vista, olfatto, tatto e gusto. Olfatto è inteso come aria sana e pulita. Respirare bene è fondamentale, la progettazione deve fare in modo che i ricambi d’aria siano garantiti ruispetto alla superficie-volume del locale. Oltre ai ricambi naturali si dovrà provvedere al ricambio meccanizzato con aspiratori e ventilatori, preferibilmente con filtratura e umidificazione dell’aria immessa. Tatto, invece, rimanda all’ergonomia dei prodotti e a un ambiente senza pericoli per la persona: spigoli arrotondati, assenza di materiali taglienti oppure urtucanti- allergizzanti, massima attenzione alle sedute che devono essere ergonomiche e favorire all’operatore posture corrette, utilizzo di materiali ignifughi, atossici e lavabili”. E il gusto cosa c’entra? “Qui parliamo dei momenti di break – prosegue Villa – che sono molto importanti nella giornata lavorativa di una persona. Ottimo progettare spazi socialmente utili all’interno degli edifici-uffici, tenendo presente che la progettazione degli spazi relax è in funzione all’ampiezza e al numero degli addetti”.

 

Udito e comfort acustico

Il quarto senso, l’udito, rimanda alla qualità acustica dell’ambiente. Le insidie maggiori sono l’eccessiva rumorosità delle apparecchiature e il riverbero fuori controllo dovuto a un cattivo fonoisolamento di soffitto e pareti. “In ufficio l’elemento di disturbo più frequente è il brusio più o meno elevato causato dagli operatori e dall’eccessivo rumore generato dall’utilizzo di appa- recchiature come stampanti, fax e via dicendo”, spiega Marco Raimondi, fisico acustico, Responsabile della Divisione Acustica di Coverd. “Il risultato è una comunicazione verbale difficoltosa fra gli operatori, con conseguente aumento del volume della voce e quindi del livello sonoro nel locale. La difficoltà di comunicazione causa errori di produzione, ostacola attività di routine, come fare e ricevere telefonate, e provoca stress che si ripercuote in un aumento anche consistente dei giorni di assenza per malattia. I requisiti acustici di un ufficio dovrebbero essere una facile comunicazione verbale fra gli operatori e un livello sonoro contenuto, facilità di concentrazione e possibilità di parlare senza alzare la voce; il tutto per un minore stress a carico delle persone. L’idea è tenerne conto in fase di progettazione, ma se l’obiettivo è la correzione acustica i punti di intervento sono il soffitto, le pareti prive di serramenti e i setti divisori. La tecnica di correzione acustica consiste nel realizzare adeguati controsoffitti e nell’applicare pannelli fonoassorbenti alle pareti. Il raggiungimento del comfort acustico porterà vantaggi aggiuntivi, come per esempio la possibilità di inserire un maggior numero di postazioni operative. Attenzione però: gli isolanti sono una delle maggiori fonti di inquinamento degli edifici e occorre fare attenzione alla scelta dei materiali. Ottimo il sughero biondo naturale per le sue caratteristiche fisiche”.

 

Vista e illuminazione

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Gianni Forcolini

Le luci non devono affaticare troppo gli occhi, quindi devono essere né troppo forti né troppo deboli. Su questo, l’ex D.lgs 626 (ora D.lgs 81/2008) prescrive l’utilizzo di sistemi dark light appropriati per il lavoro d’ufficio per non creare abbaglio. “Per valutare l’effettiva rilevanza che l’illuminazione ha in ambito ergonomico, vale a dire in tutti gli ambienti dedicati al lavoro, bisogna considerare il grado e il tipo di impegno visivo e cognitivo richiesti da ogni specifica attività umana” premette l’architetto Gianni Forcolini, docente di Lighting Design al Politecnico di Milano. “In taluni casi l’occhio è impegnato nella percezione di minimi dettagli, in tempi rapidi e con pochi margini per eventuali errori, talvolta con rischi per la sicurezza. In altre situazioni è il colore che deve essere percepito e riconosciuto nel modo più naturale. In altri ancora è l’abbagliamento a costituire il principale fattore di disturbo. Il lighting designer deve riferirsi alle reali condizioni di lavoro per intervenire efficacemente con la luce, sia artificiale che naturale. L’illuminazione è un fattore ambientale che è sempre attribuito allo spazio costruito o naturale. Si può dire che sia definibile come la condizione fisica del suo apparire per l’organo sensoriale, l’occhio, organo che oggi le neuroscienze ritengono essere un’appendice del cervello umano. Infatti vediamo col cervello attraverso gli occhi. La disposizione degli spazi vuol dire anche distribuzione della luce sulle superfici, in ordine alle esigenze di un determinato luogo di lavoro. La buona illuminazione nasce insieme al disegno dello spazio. Non dovrebbe mai essere una sorta di aggiunta alle strutture architettoniche o costruttive. È invece un attributo fondamentale dello spazio abitato. In sintesi si può dire che le caratteristiche di una corretta illuminazione riguardano: il livello di illuminamento, ossia la potenza della luce inviata nell’ambiente; i rapporti tra le aree illuminate a differenti livelli di illuminamento e di diverso fattore di riflessione; l’assenza di disturbi visivi, in particolare l’abbagliamento diretto e riflesso; la buona resa dei colori. Potremmo aggiungere le caratteristiche delle sorgenti luminose e degli apparecchi relative al consumo di energia, alla manutenzione degli impianti e alla ecosostenibilità dei prodotti”.

 

L’importanza del colore

I più recenti studi sulla psicologia della visione dimostrano che i colori influenzano lo stato d’animo e i comportamenti delle persone. “Per questo è importante che ogni ambiente sia colorato in modo appropriato alla destinazione d’uso –affermano gli architetti monzesi Carlo Gerosa e Antonio Ribatti– compresi gli ambienti di lavoro dove si trascorrono molte ore al giorno e i colori possono stimolare o rendere più confortevole lo svolgimento delle attività”. Il fattore cromatico è importante. “I più importanti tra i cinque sensi solo la vista e l’udito –sottolinea Ribatti– poiché più degli altri stimolano il contatto e la relazione con il mondo esterno, influendo sulle capacità individuali di valutare lo spazio. Al pari degli isolamenti che creano una buona acustica in ufficio, le scelte cromatiche devono avere per obiettivo il comfort psico-visivo. Studi di neurofisiologia, ma anche l’esperienza quotidiana di ognuno di noi, testimoniano che i colori influenzano lo stato d’animo e i sentimenti: molte discipline come l’architettura, l’urbanistica, l’ergonomica, la medicina e la psicologia prestano sempre più attenzione agli effetti del colore sulla psiche e sull’organismo umano”. A ogni ambiente il suo colore, spiega l’architetto Gerosa: “Il giallo e l’arancio stimolano la produzione di adrenalina e influiscono positivamente sulla creatività e le capacità motorie. Il verde, secondo gli psicologi, significa forza, perseveranza, equilibrio e stabilità. Il blu e l’azzurro sono i colori della contemplazione e della spiritualità, in terapia sono utilizzati per indurre calma e relax”.

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