Stipendi, formazione e competenze fanno la differenza

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I contratti collettivi sono fermi con scatti e aumenti sempre più marginali, ma le soddisfazioni in busta paga arrivano comunque grazie a un aumento di strumenti come premi di produzione, benefit e welfare aziendale. Ma quanto guadagna un operaio? Secondo l’indagine retributiva 2019 (una mappa degli stipendi elaborata dall’Unione Industriale di Torino), la media si attesta a 29.550 euro lordi all’anno. Poco incide il settore: che si lavori in ambiti diversissimi come l’Alimentare o il Metalmeccanico, le oscillazioni sono contenute e vanno da un massimo di 30.562 euro della Chimica a un minimo di 27.093 euro della Gomma plastica. Al ribasso solo due comparti: il Tessile (25.857 euro) e il Terziario (25.270 euro).

Immaginando un podio a quattro gradini, subito sopra ci sono gli impiegati che hanno una busta paga media di 39.218 euro lordi l’anno. Gli impiegati hanno un’anzianità media di 11,7 anni, un’età media di 43,6 e un livello di istruzione medio. Sotto l’aspetto salariale emerge una correlazione positiva sia con l’età sia con l’anzianità di servizio. Rispetto al grado di scolarizzazione, chi è in possesso di un elevato titolo di studio guadagna poco di più della media. Le competenze richieste per molte delle posizioni ricoperte dal personale impiegatizio sono specialistiche e in continua evoluzione.

L’istruzione gioca un ruolo importante

L’alto grado di preparazione di base necessario è sempre più spesso associato all’aggiornamento continuo. Per i quadri la somma sale a 69.100 fino ad arrivare ai dirigenti, che si attestano sui 127.800 euro. In questo caso ci sono ampi scostamenti tra le singole aree aziendali: un Direttore generale arriva a guadagnare quasi il doppio di un dirigente della Qualità. Tra i dirigenti l’anzianità media risulta di 13,3 anni, l’età a 52,4 e il livello di istruzione è relativamente alto. Riguardo all’aspetto salariale si osserva una correlazione fortemente positiva con l’età: meno dell’1% dei dirigenti ha meno di 35 anni.

Il grado di istruzione ha un peso rilevante: coloro che non possiedono un titolo di studio elevato guadagnano il 18% in meno dei colleghi più qualificati. Mediamente i ‘lavoratori 4.0’, quelli cioè che utilizzano tecnologie digitali, percepiscono stipendi più alti del 4%, una percentuale che sale al 20% se si considerano solo gli under 35. Guardando ai neolaureati, invece, la retribuzione d’ingresso media si colloca tra i 23.500 e i 25.500 euro, con differenze tra chi possiede una laurea triennale e chi una laurea magistrale, oltre che in base all’indirizzo di studio (i più pagati sono i laureati magistrali in discipline tecnico-scientifiche mentre per le facoltà umanistiche si scende a 24.101).

Contano le dimensioni dell’azienda

Non contano le differenze geografiche, se non in determinati settori in cui un territorio è specializzato. A pesare è invece la dimensione aziendale. “Ci sono disparità sostanziose – spiega il presidente dei Giovani dell’Unione Industriale Alberto Lazzaro – con salari che risultano mediamente più elevati del 20% nelle grandi aziende rispetto alle piccole. Allo stesso modo le retribuzioni risultano superiori di circa l’11% nelle imprese multinazionali rispetto alle nazionali”. In generale il budget delle aziende destinato alle retribuzioni dei dipendenti è aumentato del 2% rispetto al 2018. Una percentuale che sale al 2,9% se si includono altre voci come i benefit, il welfare aziendale e i premi di produzione.

L’indagine ha lo scopo di rispondere a una domanda sempre attuale tra gli imprenditori: “Stiamo pagando in modo adeguato rispetto al mercato i nostri collaboratori più strategici?”. Un lavoro che è frutto della collaborazione tra le più importanti associazioni territoriali del Nord aderenti a Confindustria: Torino, Cuneo, Milano, Monza, Lodi, Brescia, Bergamo, Varese, Vicenza, Verona, Bologna, Ferrara e Modena. L’interesse delle aziende per l’iniziativa è dimostrato dai numeri in crescita: nel 2019 sono state coinvolte nell’analisi retributiva complessivamente 630 aziende, le quali hanno messo a disposizione informazioni relative a 40mila dei loro 110mila dipendenti.

Si accorciano le differenze di genere

Una sorpresa positiva è che si assottigliano le differenze di genere. “Dipende dalle singole aree – spiega Ivan Sinis, responsabile del servizio Economia e Lavoro dell’Unione Industriale di Torino -. Per esempio, nelle risorse umane e nella ricerca e sviluppo il divario è ribaltato a favore delle donne, che guadagnano di più o, quantomeno, sono alla pari. In altre aree invece, come la produzione, il gap è ancora a favore degli uomini ed è pari in media al 9-10%”. Ancora molto ridotta la presenza di personale dirigente femminile che rappresenta il 13% circa e anche se le donne dirigenti sono in media più giovani, più esperte e più istruite il livello salariale è inferiore del 15%.

Lo Smart working si fa strada

Interessante anche l’aspetto della flessibilità. Sono ormai il 14% le aziende che applicano forme di Smart working. Un processo, dunque, che non è più estemporaneo e legato ad accordi con i singoli dipendenti, ma che sta assumendo contorni aziendali e dunque più strutturati. La diffusione dello Smart working risulta funzione delle dimensioni aziendali: è presente nell’8,4% delle realtà sotto i 25 dipendenti, per salire al 9,5% per quelle fra 26 e 100 dipendenti e arrivare al 22,9% in quelle più strutturate.

Significative differenze sulla penetrazione dello Smart working sono evidenti a livello settoriale: le imprese dei servizi (18,8%) si caratterizzano infatti per una propensione maggiore rispetto a quelle industriali (13,0%). Inoltre, spicca anche una situazione positiva per quanto riguarda l’orario di lavoro. Le assenze per malattie, per infortunio, per maternità o permessi non retribuiti rappresentano infatti il 6% del totale. “Un dato assolutamente positivo e fisiologico – dice ancora Sinis – e in cui la componente della malattia incide per il 50%”.

Per quanto riguarda lo straordinario, le ore aggiuntive svolte dall’addetto medio sono state 59 (-5 ore rispetto al 2017), con un’incidenza sulle ore teoriche pari al 3,3%. Analizzando nel dettaglio il Manifatturiero, importante è il contributo dell’Alimentare (4,1%, stazionario), seguito dal Metalmeccanico (3,6%, in calo dello 0,4%). In calo anche la Gomma-Plastica (-1,6% rispetto al 2017). Al contrario, i Servizi registrano una crescita (+0,5%) raggiungendo il 3%.

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