Scambio generazionale in azienda: scontro o incontro?

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DOSSIER AGE MANAGEMENT

di Alessia Bontempi

In azienda la popolazione, si sa, è variegata. Nell’ottica degli obiettivi finali di business le persone di ogni organizzazione devono collaborare, non semplicemente ‘convivere’. Ma cosa accade quando il divario generazionale è molto ampio? Quali le difficoltà per il direttore del personale nell’integrazione proficua delle ‘età’ aziendali? La diversità generazionale non deve essere un limite, ma fonte di scambio generatrice di valore. Quali i fattori su cui puntare?

 

Sperimentare soluzioni integrative per arricchire aziende e persone

Giuseppe Zaffarano, Associazione Lavoro Over 40
Giuseppe Zaffarano, Associazione Lavoro Over 40

Giuseppe Zaffarano, Presidente dell’Associazione Lavoro Over 40, ci offre la sua opinione dal suo privilegiato osservatorio pro-over 40: “Quando si parla di diversità non si fa riferimento alla sola diversità di età, ma anche ad altri tipi di diversità. Quella che ci è più vicina è la diversità di genere, ma ci sono anche diversità razziali, etniche, orientamento sessuale, religione ecc. Sono tutte protette e tutelate dalla comunità europea e recepite con leggi nazionali. Ma da qui all’effettiva eliminazione delle diversità ce ne corre. Il risultato è che spesso si vedono azioni che violano il principio dei diritti umani per lasciare il posto a luoghi comuni oppure ghettizzazioni. Lo specchio della società chiaramente si riflette poi anche nelle aziende. Ma anche questa non è una novità: basti pensare al comportamento che avevano gli Stati Uniti nei confronti degli immigrati oppure negli anni 60 la discriminazione verso i lavoratori meridionali, oppure ancora di recente le grandi differenza tra italiani, comunitari dell’Est o extracomunitari. Se non ci sono esempi di manager illuminati in azienda si corre il rischio di creare insofferenze come quelle della società civile. Un buon manager deve scoprire le qualità delle persone e le modalità di integrazione. Quindi capacità di analisi delle esigenze dei singoli gruppi presenti nella azienda, sperimentazione delle soluzioni integrative, con l’obiettivo di massimizzare le finalità aziendali. E questo vale per qualunque tipo di diversità che si deve affrontare. Ci sono diverse aziende che hanno sviluppato azioni di age management, soprattutto nel Veneto, grazie alla intraprendenza di Confindustria e Regione Veneto. Altrettanto accade a macchia di leopardo nelle regioni del nord Italia. Ma dire che ci sia una tendenza radicata e abituata alla gestione dell’age management è un parola grossa. In Piemonte vi è una grossa azienda che cura moltissimo i rapporti tra giovani e vecchie generazioni con l’obiettivo di trasferire il massimo dell’esperienza con l’obiettivo di sviluppare il rapporto generazionale. Non è frutto di una particolare illuminazione ma solo il trasferimento della strategia della casa madre svedese nella filiale Italiana. È una sensibilità trasportata da una realtà scandinava, che da anni cura moltissimo i rapporti generazionali aiutata in questo da una struttura politico-amministrativa molto attenta al reinserimento lavorativo delle persone mature. Da qui emerge che la grande barriera da abbattere non è tecnica o tecnologica, ma culturale. Infatti in Europa su questo tema si viaggia a due velocità: il nord Europa attento alla valorizzazione del capitale umano e all’attenzione ai costi; mentre nel sud Europa solo attenti ai costi. Alle diverse generazioni in azienda, nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi di business, vorrei esprimere il concetto che il sapere, la ricchezza aziendale e l’esperienza non possono rimanere patrimonio dei singoli, ma devono essere trasmesse e diffuse con la finalità di ottimizzare il contributo lavorativo. Le vecchie generazioni devono quindi essere disponibili a dare e aiutare i giovani a inserirsi. Le nuove generazioni devono invece arricchire il patrimonio delle vecchie generazioni sapendo coniugare gli apprendimenti, modernizzandoli e rendendoli capaci di recepire le rivoluzioni del mondo tecnologico. Ma la cosa più importante è quella di sviluppare tra giovani e vecchie generazioni momenti di incontro per fare ‘squadra’ in cui ci si possa parlare, comprendersi, scambiare le opinioni e soprattutto accettare quelle degli altri, fuori da qualunque schema o ruolo gerarchico per poi riprenderlo nel momento lavorativo. Ma sarà diverso il rapporto che si verrà a instaurare, sempre più vicino e maggiormente teso alla reciproca comprensione. La collaborazione quindi deve essere intrapresa con lo spirito di ‘crescere insieme’”.

Over 55: risorse di grande valore per le organizzazioni

Cetti Galante, Amministratore Delegato di INTOO
Cetti Galante, Amministratore Delegato di INTOO

Cetti Galante, amministratore delegato di INTOO, offre un punto di vista utile per capire il valore delle risorse over 55 in azienda e spiega qual è l’approccio della società rispetto alla loro valorizzazione. “Il tema è trasversale e riguarda quasi tutte le organizzazioni. Il nostro partner ABI ha stimato circa 12.000 persone del settore bancario in procinto di andare in pensione bloccate dalla riforma Fornero. E questo solo nel settore bancario: di fatto è una ‘bomba’ sociale. Si parla sempre della disoccupazione di circa 650.000 giovani (39%), tema importante sul quale si deve lavorare. Mentre il tema dell’active ageing, di cui si parla poco, in realtà è molto più ampio e grave. Rappresenta una forte perdita di efficienza delle strutture, se non gestito in modo corretto. La gestione del personale over 55 in azienda è un costo ‘nascosto’. Per esempio, l’uscita ‘frettolosa’ dei non più giovani dall’azienda è il più delle volte gestita in modo superficiale, con una profonda disattenzione sulle risorse di cui effettivamente ‘liberarsi’. C’è una perdita trasversale di competenze enorme con relativo spreco di risorse all’interno delle aziende, anche a causa della non adesione al patto generazionale e di mancati processi di mentoring. La conseguenza è ritrovarsi con persone impreparate alla perdita di un ruolo e di un’identità professionale: frustrate dalla consapevolezza di avere ancora capacità e competenze da offrire all’azienda. Oppure altre risorse, che dovevano andare in pensione in tempi brevi, di colpo si trovano a dover restare in azienda molto più tempo: la demotivazione è fortissima. Secondo noi è necessario agire. L’azienda non deve affrontare questo tema in ottica di ineluttabilità ma coglierla come un’opportunità organizzativa: le risorse over 55 sono dei trasmettitori di esperienze e conoscenze all’interno e all’esterno. Vorrei soffermarmi sulla panoramica attuale rispetto gli interventi del legislatore e alle proposte del mercato del settore privato. Il decreto ministeriale −ispirato al disegno di legge n. 199 formulato da Pietro Ichino− sul patto generazionale prevede la possibilità di concludere un ‘accordo’ tra soggetti pubblici, enti previdenziali, imprese, lavoratori anziani, lavoratori giovani. In base a questo accordo: il lavoratore anziano accetta di trasformare il proprio rapporto di lavoro da full time a part-time; il lavoratore giovane, disoccupato od inoccupato, di età compresa tra i 18 ed i 29 anni, viene assunto con contratto di apprendistato o a tempo indeterminato (condizione necessaria è che il saldo finale in termini di posti di lavoro sia positivo); il soggetto pubblico si fa carico di versare all’ente previdenziale i contributi previdenziali aggiuntivi in favore del lavoratore anziano, in tal modo garantendo a quest’ultimo un livello di copertura pensionistica adeguato. L’accordo è marginale e complicato da attuare e, inoltre, mette poche risorse in campo con una serie di limitazioni. Non è di certo risolutivo, sicuramente è un primo segnale importante di presa di coscienza del tema. Manageritalia, nell’ottica di attivare il patto generazionale nelle organizzazioni, propone un approccio di 4 clusterizzazioni:

• la stafetta: trasformazione, su base volontaria, del ruolo del senior da full a part time a favore dell’inserimento di un junior in apprendistato con un vero piano di successione;

• il variabile: revisione, su base volontaria, del pacchetto retributivo del dirigente con un bilanciamento tra fisso e variabile per stimolarne il raggiungimento dei risultati e inserimento di un junior in apprendistato;

• il tandem: abbinamento di collaboratori senior/junior per area funzionale e aspirazioni cui affidare progetti congiunti, misurabili e premiati;

• il mentoring: strutturazione di un piano formativo tra senior e junior selezioni per potenzialità professionali cui affidare progetti misurabili o preparare la succesione.

L’approccio INTOO si concentra sui soli over 55 per semplificare l’azione e offre soluzioni concrete al tema degli over 55. Prima di tutto la popolazione va quantificata, nel suo totale e per ruolo e settore. Poi si creano dei cluster omogenei per attitudine e potenzialità delle persone, che emergono da un lavoro approfondito attraverso il bilacio delle competenze. A fronte di casi diversi tra loro, agiamo azioni mirate e strutturate. Ad esempio, tra le problematiche più comuni, all’interno delle organizzazioni ci sono persone con conoscenze e competenze da trasmettere alle nuove generazioni: INTOO porta in aula quelle più adatte e le forma a diventare mentor. Altri ancora avranno una buona propensione a scrivere, documentare o digitalizzare procedure tecniche affidate a tradizione orale (l’evoluzione tecnologica è veloce e spesso le procedure ‘scritte’ non sono di pari passo): queste risorse non vanno sprecate, possono essere invece impiegate e dedicate a questa importante attività che in genere non si ha tempo di seguire… Un altro cluster potrebbe essere composto da coloro che hanno buoni propositi di una vita professionale fuori dall’azienda, ma non hanno il coraggio o l’esperienza per ‘fare il passo’. In questo caso il team specializzato in start up di INTOO li supporta in progetti di micro-imprenditorialità in modo pragmatico, dal business plan della loro ‘second life’ alla consulenza per il reperimento di informazioni, finanziamenti, ecc. e li segue per un anno nell’implementazione dell’attività. Tutto questo tranquillizza e motiva le persone dando loro il coraggio di uscire dall’azienda a volte prima del periodo stabilito dalla legge. Un ultimo cluster tratta l’employability interna: INTOO si occupa del possibile match tra posizioni aperte in azienda e le risorse in fase di uscita. I cluster vengono poi gestiti per rank di priorità d’intervento con una mappatura ben precisa dei ruoli, da quelli più strategici a quelli meno influenti, nell’ottica di rigenerare le persone. I vantaggi di questo processo sono enormi. Prima di tutto si ottiene un impatto positivo sull’ambiente aziendale: la popolazione aziendale (a partire dagli opinion leader) prende coscienza che il senior non è marginalizzato; in secondo luogo si riesce a rimotivare la persona senior che viene rigenerata poiché le si riconosce di nuovo valore in termini di competenze e conoscenza da trasmettere. INTOO propone questo approccio all’interno di un progetto più ampio di gestione della popolazione cosiddetta “critica”, anche nell’ottica di supportare l’assenza di politiche attive in affiancamento agli ammortizzatori sociali. Il ruolo di Intoo non è solo quello di accompagnare le persone nell’uscita dall’azienda: offriamo alle organizzazioni un supporto pratico ed efficiente nella gestione della popolazione che, per un qualunque motivo, non è più aderente al proprio ruolo e mansione. Questi elementi, tra l’altro, causano alle imprese dei costi nascosti e rallentamenti rilevanti. In conclusione, nell’ottica di miglioramento ed emancipazione del sistema-Paese di cui tutti siamo responsabili, è necessaria una ‘rivoluzione culturale’ su questi temi del lavoro”.

La sfida dell’assessment delle competenze

Fabio Costantini, Chief Operations Officer di Randstad Hr Solutions
Fabio Costantini, Chief Operations Officer di Randstad Hr Solutions

Fabio Costantini, Chief Operations Officer di Randstad Hr Solutions, racconta l’approccio consulenziale della società rispetto alla gestione del personale senior e junior in un’ottica di collaborazione proficua. “Si tratta certamente di un incontro tra due generazioni confermato dai dati di andamento demografico e socioeconomico: da una parte i laureati, in costante crescita che si affacciano al mondo del lavoro relativamente ‘tardi’ e, dall’altra, la generazione over 60 che si trova a lavorare fino a 70-75 anni. Questa situazione comporta un impatto notevole sulle organizzazioni: la sfida è proprio lo scambio virtuoso tra la nuova generazione e la generazione detentrice dell’esperienza sul campo. Randstand Hr Solutions offre consulenza alle aziende anche a supporto di queste dinamiche: gestione senior talent management e assessment delle competenze per ottimizzare il ciclo di vita professionale delle persone. Il senior sempre più spesso è chiamato, in quest’ultimo periodo della vita lavorativa, a spendere le proprie competenze nel ruolo di coach a favore dell’ingresso dei giovani e della loro valorizzazione manageriale. Le difficoltà accertate per le direzioni del personale riguardano soprattutto temi di compesation mix, politiche di reward affinché il ciclo di vita professionale sia sostenibile. L’Hr deve immaginare l’evoluzione della struttura generazionale e agire con strumenti adatti a gestirla: conversione dei ruoli, livelli di employability, qualificazione dei talenti e percorsi di outplacement per il benessere organizzativo in una logica di politica attiva. La diversità generazionale non deve essere vista come un limite ma come opportunità per generare valore. La sfida maggiore per le imprese è gestire l’assessment delle competenze da valorizzare di fronte dei cambiamenti organizzativi. A mio avviso uno scoglio del tema ‘ageing’ in Italia è l’assenza di politiche attive: l’invecchiamento nella nostra lingua e cultura ha una connotazione negativa; si dovrebbe lavorare su un cambio di paradigma culturale con normative ‘politically correct’. Il contributo di Randstad in questo senso è nella gestione di diversi progetti ‘age management’: analizziamo i processi organizzativi per comprendere e gestire i cambiamenti della popolazione aziendale. Nell’ottica di scambio efficace e generazione di valore per i successi di business, consiglio alle generazioni in azienda di essere sempre più flessibili, disponibili ai cambiamenti per valorizzare i diversi momenti della propria vita professionale”.

Zero alibi di carenze manageriali: coltivare un equilibriosano è compito dell’Hr

Nadia Bertaggia, Direttore Hr di Sodexo
Nadia Bertaggia, Direttore Hr di Sodexo

Nadia Bertaggia, Hr & organization Director di Sodexo, ci racconta la sua esperienza nell’affrontare la tematica, molto attuale, dello scambio generazionale in azienda: “Il tema esiste, non c’è dubbio, ed è sicuramente fra quelli che condizionano la vita di ogni organizzazione, community o aggregazione stabile di persone. I motivi di questa vera e propria polarizzazione generazionale sono ben noti. C’è un aspetto, però, che mi colpisce: quando si affronta il tema del divario generazionale si percepisce una diffusa dose di ansia, allarme e negatività. In altre parole sembra trattarsi soprattutto di una difficoltà da gestire. Non voglio certamente negare la dimensione di complessità che questo aspetto rappresenta all’interno del management organizzativo ma mi sembra importante ricondurlo serenamente alla sua vera natura. Di cosa stiamo parlando, in fondo, se non di una collettività-azienda che deve imparare a fare i conti con la sua storia, a leggere e interpretare la fase che sta vivendo? Questo è più facile se la storia è stata, prevalentemente armonica, graduale, espansiva, senza distonie o sobbalzi nella sua evoluzione, senza i traumi che spesso derivano da tentativi di integrazione forzata fra culture aziendali profondamente diverse. Se tutto ciò avviene, invece, una delle scorciatoie più comuni porta a identificare nelle persone più senior l’elemento di resistenza al cambiamento e miopia organizzativa. Ma rigidità e resistenza al nuovo non hanno età: un sano ed efficiente sistema di lettura e analisi delle competenze comportamentali delle risorse umane in azienda può confermarlo con molta evidenza. Al polo opposto del nostro scenario troviamo, invece, errori di valutazione ed eccessi di ottimismo che spingono a investire sul ‘nuovo’ inteso semplicemente come ‘più giovane’, senza un’accurata strumentazione di supporto (o, almeno, una chiara e condivisa analisi interna) per definire e pianificare il sistema di professionalità, di talenti, competenze e skill necessarie al futuro che si sta costruendo. Come sempre, quindi, semplificazione e fretta sono cattive consigliere e offrono inutili alibi per giustificare le nostre carenze organizzative e manageriali: i senior resistono, i giovani non sono ancora pronti. A parte l’eccesso di semplificazione a cui accennavo, una difficoltà nell’integrazione proficua delle diverse ‘età’ aziendali può venire dalla natura stessa del business e dalla cultura aziendale prevalente su cui un direttore del personale deve lavorare. Per esempio: un’azienda cresciuta ed evoluta attraverso una lunga storia di successo in un business abbastanza tradizionale e labor intensive, tenderà a valorizzare prevalentemente l’esperienza e la continuità garantite dalle generazioni più mature. Un business impostato su tempistiche e reattività più tese genera inevitabilmente una cultura che vede ovunque il rischio dell’obsolescenza. In entrambi i casi, si tratta di coltivare un sano equilibrio, e questo è uno dei compiti della funzione risorse umane. La diversità è fonte di scambio generatrice di valore. Siamo d’accordo. I fattori su cui puntare a mio avviso risiedono nel promuovere il benessere, la qualità della vita e il clima positivo all’interno dell’azienda, supportare le necessità individuali, favorire −dove possibile− flessibilità e soluzioni personalizzate, anche per evitare cali di impegno e demotivazione, utilizzare il know-how individuale per progetti di mentoring, affiancamento, tutoring, ecc. Tra i progetti di age management, in Sodexo abbiamo effettuato un’indagine pilota su un campione di dipendenti over 55, attraverso interviste sul campo effettuate direttamente da un’addetta ai servizi front line. Il lavoro è stato presentato a livello europeo all’EWC (European Work Council). Il divario generazionale e l’integrazione positiva tra età diverse è uno dei cinque assi su cui è impostata la politica Diversità & Inclusione di Sodexo. A entrambe le generazioni in azienda suggerisco di chiedere alla vostra azienda, e dare collaborazione, di sviluppare attenzione e strumenti attorno a tre parole chiave: conoscenza, metodo e meritocrazia. Nessun alibi o pregiudizio deve nascondere o accantonare le capacità delle persone. Nessun talento deve andare sprecato: va scoperto e coltivato con pazienza quando è ancora fragile e va riconosciuto quando ha cambiato aspetto con il passare degli anni”.

Di imparare non si finisce mai…

Giovanna Cutrignelli, responsabile finanziario e risorse umane di Ilpa Adesivi, ci racconta la sua esperienza nell’ambito della gestione delle diverse età in azienda. “Personalmente mi sono trovata a dover affrontare facilmente situazioni con le generazioni ‘vecchie’, di cui alcuni parenti stretti come padre e zio, nelle aziende in cui ho lavorato e in cui lavoro. Essendo anche un capo ho dovuto scegliere la via più diplomatica, evitando gli scontri, per dare un esempio a tutti i collaboratori e colleghi. Purtroppo non sempre si riesce in questo intento! Sicuramente con l’esperienza ho imparato a mediare ma il percorso non è stato assolutamente lineare… Quando si comincia un lavoro in un’azienda familiare è immediato lo scontro con i familiari stessi che sono di una generazione diversa. Dato che all’inizio di una carriera si è sicuramente più istintivi, qualsiasi sia il lavoro, facilmente si commettono in errori e si verificano scontri e divergenze. Si accettano però i suggerimenti o consigli delle persone più esperte. Se poi si aggiunge che le persone più esperte sono un genitore o un fratello, la situazione si fa più complicata! Il responsabile del personale ha il compito molto delicato di intervenire per mediare e fare da tramite tra le generazioni, per poter realizzare un lavoro di squadra o comunque di collaborazione, pur considerando i difetti e le debolezze di un essere umano. L’esperienza della ‘vecchia’ generazione e lo spirito propositivo, istintivo e la voglia di cambiare della giovane generazione dovrebbero lavorare insieme e confluire in un lavoro più proficuo in favore di un’evoluzione continua di un’azienda. Non è assolutamente facile: i più anziani sono orgogliosi del loro risultato e non hanno motivo di cambiare; i più giovani sono pieni di idee ma faticano ad accettare l’affiancamento dei più anziani. Il compito della direzione del personale sta proprio in questo: riuscire a far incontrare le idee dell’uno e dell’altro affinché l’azienda cresca e si evolva. Il rispetto e la stima sono alla base di qualsiasi rapporto umano, soprattutto se è professionale! Sono valori fondamentali che bisogna trasmettere sia a chi è più giovane sia a chi è più esperto. Anche il più ‘anziano’ sottovaluta facilmente il giovane e non valorizza il contributo che può dare, dando per scontato che è inesperto, quindi non sa nulla. Porto sempre l’esempio di una squadra di calcio, sport sicuramente più seguito da ogni tipo di generazione e sesso in Italia: il lavoro di squadra, di collaborazione tra tutti, è lo strumento chiave per la realizzazione di obiettivi sfidanti, ben delineati e condivisi. In conclusione, ho imparato molto dalle persone che mi hanno affiancato sinora, perché ho accettato le loro esperienze, pur essendo la figlia del ‘capo’; e ho fatto una gavetta come tutti, mettendo a frutto ciò che imparavo giorno per giorno. Ma ciò che dovrebbe essere sempre ben chiaro a tutti i membri di un’organizzazione è: non si finisce mai di imparare!”.

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