|rubrica| Il futuro non si prevede, si inventa

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Di Lauro Venturi

A fine anno lascio l’organizzazione nella quale ho lavorato per 34 anni. Organizzazione e non azienda, tanto meno ‘ditta’ perché da quando sono entrato l’ho sempre sentita anche mia. Ho fatto carriera in questa organizzazione, che mi ha sempre proposto occasioni e sfide straordinarie, tanti mestieri tanto diversi tra loro. Le ragioni di questo addio sono molteplici e concrete, ma ho troppo rispetto per me e per la mia (mai ‘ex’) organizzazione per banalizzarle in alcune righe.

Tempo fa, durante una testimonianza a un master, raccontai un episodio che sintetizza bene la ricchezza che ho ricevuto. Ricoprivo un ruolo davvero molto delicato, che mi era stato affidato dal presidente in persona. Quando maturai l’idea che fosse indispensabile esternalizzare importanti servizi, mi recai a Roma ed esposi alla presidenza la mia intenzione. Tutti gli interventi esprimevano contrarietà alla mia proposta, sulla quale però ero ben deciso a non cedere, fino a rimettere il mandato: vi assicuro, lettrici e lettori, che ho ben chiaro che le dimissioni non si annunciano… ma si danno. A dir la verità, le motivazioni che ascoltavo non mi convincevano perché attenevano più all’adesione ad un modello rigido che a una valutazione di merito su ciò che proponevo.

Ricordo un brutto clima in quella riunione, in particolar modo per la sensazione che qualche cosa fosse stata preparata prima: ma non voglio fare il complottista. Intervennero tutti e risposi con pazienza alle obiezioni che mi venivano poste, anche se dal punto di vista giuridico avrei potuto assumere quella decisione in modo autonomo e fare una semplice informativa a posteriori. Alla fine intervenne il presidente, dicendo più o meno: “Non condivido la scelta di Lauro, però lo abbiamo messo in quel ruolo, gli abbiamo dato fiducia, sta lavorando bene e quindi penso che dobbiamo lasciargli realizzare ciò che ritiene giusto per il raggiungimento degli obiettivi che gli abbiamo posto”. Me ne tornai a casa con l’amaro in bocca per non avere trovato condivisione, ma con la conferma di una fiducia ancora intatta nei miei confronti.

Ecco, quell’episodio mi pare un buon esempio di come si debbano affrontare e gestire i conflitti, invece di scansarli come appestati. È anche un bel esempio di leadership quello messo in campo dal presidente, che non si impantanò nei dilemmi: sì o no, a favore o contro. Riuscì a non spaccare il suo gruppo e, contemporaneamente, a non sfiduciare il sottoscritto. Sono certo che non sia stata solo tattica, ma competenza e intelligenza. Invece non so e forse non saprò mai se davvero era contrario alla mia decisione di esternalizzare quei servizi. È una fortuna lavorare in contesti che ti fanno crescere, ti danno opportunità di sviluppo e ti fanno respirare aria di fiducia e di reputazione. Me ne vado consapevole che, come per un amore, ogni fine ragionevole e ragionata è anche uno stillicidio di dolore. È una scelta costruita in tempi brevi, ma che rimuginavo da tempo: Bowlby e le sue teorie sull’attaccamento mi hanno aiutato a capire perché le separazioni mi costino tanta fatica, ma questo è un altro film.

In viaggio tra i pianeti, in una scena de Il piccolo principe
In viaggio tra i pianeti, in una scena de Il piccolo principe

Penso che l’estratto conto tra ciò che ho ricevuto e ciò che ho dato in questi 34 anni sia sostanzialmente in pareggio: questo mi rende sereno e felice. Mi sento pronto per la nuova avventura, pur sentendo già la mancanza di diverse persone, in primis del gruppo bello e giovane con il quale ho lavorato nell’ultimo anno. Ho la leggerezza necessaria per ricoprire un nuovo ruolo con l’approccio giusto, da ottimista che si preoccupa, come feci dire a Libero, il protagonista del mio ultimo libro. Perché “…ci sarà sempre un’altra opportunità, un’altra amicizia, un altro amore, una nuova forza. Per ogni fine c’è un nuovo inizio”.

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