Ritorno alla Terra di lavoro

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di Francesco Donato Perillo

In Terra di lavoro indigna che il nuovo Direttore della Reggia di Caserta Mauro Felicori sia accusato dalle rappresentanze sindacali per eccesso di lavoro: sì, è accaduto qualche mese fa, e la notizia ha avuto una grande eco sui media.
Il fatto indigna non per l’assurdità dell’accusa –in se stessa ridicola– ma per la violazione del genius loci. Caserta è capitale della Terra di lavoro: un’etimologia che si deve alla feracità del suo territorio, per ciò che rappresenta sia la sua divinità delle aurore e delle nascite –la Mater Matuta dai molteplici seni– sia la straripante cornucopia del suo stemma civico. È stata la storica fatica dei suoi abitanti a tirarne fuori i frutti nell’agricoltura come nell’industria e a conferire all’intera regione Campania l’incomparabile titolo di felix.

Mito a parte, quell’accusa al Direttore della Reggia è purtroppo la misura di quanto la “Repubblica fondata sul lavoro” abbia smarrito i propri fondamenti: una cifra ancora più grave nel cuore di un Mezzogiorno lacerato dai più alti tassi di disoccupazione d’Europa.
Come se per un’improvvisa ubriacatura collettiva il valore del lavoro fosse stato esorcizzato dalle coscienze, comprese quelle dei rappresentanti dei lavoratori. E così la Reggia assurge a simbolo della straordinaria ricchezza di questa terra e al contempo dell’incapacità di metterla a frutto: per inerzia, per sciatteria, per incompetenza, per beghe di corporazione. Detto in una parola: per la perdita di amore per il lavoro. Forse questa impietosa diagnosi di anaffettività aiuta a spiegare l’attacco al suo Direttore, così prosaicamente recitato dal comunicato delle Rsa: “A cinque mesi dal suo insediamento spiace rilevare che il Direttore permane nella struttura fino a tarda ora senza che nessuno abbia comunicato e predisposto il servizio per tale permanenza. Tale comportamento mette a rischio l’intera struttura museale”. Ma le forti reazioni suscitate nell’opinione pubblica ci aiutano anche a spiegare perché Felicori, cui è stata affidata la missione del rilancio di questa straordinaria struttura, sia diventato eroe per un giorno: egli impersona infatti il cambiamento che ci si aspetta, quello che vorremmo vedere nel mondo, per dirla con Gandhi. È il lavoro come compimento di una missione personale, al di là di ogni altra gratificazione. È il lavoro dell’infermiere in corsia, dell’operatore ecologico sulle strade, del professionista nelle ore senza limiti di tempo del suo ufficio, del macchinista che fa partire il treno, dell’impiegato pubblico dietro il vetro del suo sportello: non c’è differenza. Il punto è che, innanzitutto a partire dai rappresentanti sindacali fino ai datori di lavoro, è giunto ormai il tempo di rivedere i codici di comportamento, e di restituire al lavoro la centralità che aveva quando c’erano la classe operaia, il sindacato vero e la politica con la “P” maiuscola. Nostalgie? No, richiami all’azione qui e ora, perché ognuno può fare la sua parte. Non ci si chiede di permanere fino a tarda ora in ufficio. Ci si chiede invece di rifiutarci di difendere privilegi troppo spesso scambiati con diritti, di essere cortigiani per fare carriera, di scansare responsabilità, di chiudere un occhio quando siamo chiamati a controllare. Ci si chiede a volte anche di essere incompresi. 

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