gig economy

Quando i rubinetti gocciolano di continuo

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Gestire un’organizzazione, scriveva Mintzeberg, “è come tenere in ordine una casa […] dove i rubinetti gocciolano di continuo e la pol­vere riappare non appena la si è spazzata via” .

Ogni riflessione sulla pratica delle Risorse Umane do­vrebbe partire da qui. Perché l’oggetto di chi opera in queste funzioni non è tanto la persona, ma la persona che gestisce persone: il manager.

La primaria responsabili­tà della funzione è abilitare e supportare il management nell’esercizio del governo e dello sviluppo dei collabora­tori: un ruolo perciò di “management coach più che di business partner”, come recita una definizione in voga.

E non ci aiuta lo schematismo di teorie o di pratiche tan­to diffuse quanto celebrate dalle mode della formazione manageriale, come quella, per esempio, della leadership situazionale di Kenneth Blanchard o dell’analisi tran­sazionale di Eric Berne, che non sembrano reggere alla fluidità e alla velocità dei cicli di trasformazione del mon­do aziendale post moderno.

La semplificazione, quale è la riduzione della realtà a modelli, non ci aiuta, insomma, a fornirci strumenti idonei ad affrontare la complessità.

In questo quadro, chi si occupa di Risorse Umane si trova ad agire un po’ come nella disperata condizione dell’apprendi­sta stregone: prova a svuotare con un paio di secchi l’acqua che allaga la stanza, ma essa si riforma di continuo zampil­lando dal pavimento, dalle pareti, dal soffitto, nei punti più imprevisti.

La gestione delle persone, proprio come l’acqua nella stanza, riguarda infatti la componente più ‘liquida’ di un’organizzazione sempre più adattiva e priva di perma­nenze, in un’economia dove, come afferma Ikujiro Nonaka, “l’unica certezza è l’incertezza, l’unica fonte sicura di dure­vole vantaggio competitivo è la conoscenza”.

La persona, un tempo variabile dipendente dell’organiz­zazione, ora è divenuta la variabile più imprevedibile e indipendente all’interno di un contesto caratterizzato da elevata automazione, da macchine intelligenti, da proces­si guidati e ipercontrollati dal computer.

Se ci affacciamo a osservare i trend che appaiono all’o­rizzonte della quarta rivoluzione industriale, la criticità della persona si svela in tutta la sua dimensione. E pen­sare che una volta, non più di una ventina anni fa, quan­do molti di noi hanno cominciato ad assumere ruoli di responsabilità nella gestione del personale, bastavano un contratto collettivo e una piattaforma integrativa per di­panare i nodi del lavoro!

Ci troviamo di fronte a uno sce­nario composto da variabili molteplici e contraddittorie, un caleidoscopio piuttosto che un quadro.

Da una parte ci interroghiamo su quali siano le effettive professionalità (e competenze) richieste dalla digitalizza­zione del lavoro e non troviamo risposte affidabili perché sappiamo che le figure di oggi non saranno quelle del do­mani prossimo: l’unica certezza è che dovremo fare i con­ti con una precoce obsolescenza professionale che colpirà i nostri operai come i nostri dirigenti.

Sappiamo poi anche che le figure che cercheremo saranno sempre meno reperibili; che a causa del collasso di ogni pianificazione, offerta e domanda di lavoro s’incontre­ranno solo casualmente sul mercato del lavoro, con un mismatch sempre più ampio tra le competenze e i desideri inseguiti dagli individui e i requisiti richiesti dalle impre­se; che, nonostante i robot, il lavoro ci sarà, ma a più pro­duzione corrisponderàmeno lavoro.

Dall’altra parte cominciamo anche a comprendere la drammatica irreversibilitàdi una condizione sempre più provvisoria del lavoro nelle aziende. Lo scenario della Gig economy ci pone di fronte alla realtàestrema di un lavoro on demand, richiesto solo dove e quando serva all’azienda. Il lavoratore ci mette l’attrezzatura, il know how, i rischi; e i nuovi capitalisti, in cambio di una commissione, offro­no la piattaforma su cui far incontrare domanda e offerta. Una sorta di rubinetto delle prestazioni che si apre o si chiude in funzione dei bisogni dell’organizzazione.

Dirigeremo la funzione HR in organizzazioni fluide in cui si coniugano impermanenza delle professionalitàe volatilitàdelle collaborazioni.

Non si tratta della consueta sfida del cambiamento: qui è in gioco il senso stesso del lavoro, le stesse relazioni uo­mo-uomo e uomo-macchina, dentro e fuori l’azienda. E non vi saranno ricette o manuali: ciascuno dovrà trovare le soluzioni più adatte al contesto in cui opera.

Il punto di partenza di questa sfida è cominciare giàora a pensare fuori dai ‘box’ in cui ci imprigiona la routine giornaliera.


Francesco Donato Perillo

Francesco Donato Perillo è formatore manageriale e docente gestione risorse umane, Università Suor Orsola Benincasa.

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