Contratti co.co.co, un ibrido cui prestare attenzione

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Dal dizionario etimologico della lingua italiano di Tristano Bolelli, edizioni Vallardi, 2010: “Ibrido. Lat. ‘hybrida’ figlio di un romano e di una schiava (o straniera)”. Bisogna prendere le mosse da questa definizione per comprendere come mai, per anni, dottrina e giurisprudenza si siano affannate per individuare quali tipologie di relazioni lavorative potessero effettivamente rientrare negli “altri rapporti di collaborazione che si concretizzino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato” (definizione letterale dell’articolo 409 del Codice di procedura civile, introdotta dalla Legge 533 del 1973), onde stabilire a quali rapporti di lavoro, oltre a quello subordinato, dovesse applicarsi il nuovo rito processuale ‘speciale’ più snello (almeno sulla carta) e per ciò solo favorevole per la parte contrattuale in astratto più debole, cioè il lavoratore. Diventava quindi importante appurare quali figure potessero essere davvero inglobate nella definizione in oggetto (meglio nota come co.co. co.) e pertanto beneficiare di tale specifica tutela processuale.

Pur derivando, per così dire, da una norma ‘processualistica’, la parasubordinazione in senso tecnico ha nel frattempo assunto caratteristiche di rilevanza sociale, sia quantitativa sia qualitativa, tali da costruire una sorta di categoria ad hoc pure in termini di diritto sostanziale, inserendosi nella zona grigia di confine tra il lavoro autonomo (ex articolo n. 2222 del Codice civile) e il lavoro subordinato (ex articolo 2094 del Codice civile) assumendo in questo modo una propria disciplina particolare borderline.

Non è possibile in questa sede ripercorrerne tutta la storia variegata e contraddittoria, ma basti ricordare che, dopo il tentativo di sistemazione concettuale operato dalla cosiddetta Legge Biagi (il D.lgs n. 276 del 2003 attuativo della delega affidata al Governo dal Parlamento con Legge 30 del 2003) mediante l’istituzione della nuova fattispecie denominata ‘lavoro a progetto’, il legislatore ha abbandonato questa scelta di riforma organica e globale procedendo ad altri interventi, terminati (almeno per ora) con l’abrogazione di tutta la disciplina dello stesso D.lgs n. 276 riguardante la configurabilità in sé e per sé del ‘lavoro a progetto’ come ipotesi degna di una regolamentazione del tutto propria.

I nodi da sciogliere

Il Minotauro, figura mitologica metà uomo e metà toro

Il succitato cambiamento di rotta ha infatti portato dapprima all’emanazione del D.lgs n. 81 del 2015 (questa volta in applicazione di una nuova delega contenuta nella Legge 183 del 2014, il cosiddetto Jobs Act) nel cui l’articolo 2 si è reinserito un concetto generale di collaborazione coordinata e continuativa di ‘nuovo conio’, che alcuni attenti commentatori hanno definito, paradossalmente, come ‘subordinazione allargata’, essendosi venuta a creare una stranissima fattispecie ‘ibrida’ (che strutturalmente e metaforicamente parlando ricorda un po’ la mitica figura del Minotauro, metà uomo e metà toro).

In particolare è stato evidenziato come si stesse erodendo il reale perimetro originario dell’area della parasubordinazione, a favore di una graduale crescita di applicazione delle regole basilari di tutela, seppur parzialmente riconfigurate alla bisogna, del lavoro subordinato attraverso una sorte di traslazione, in quest’ultima categoria, di fattori che prima venivano valorizzati, al contrario, quali elementi essenziali del concetto di subordinazione, con relativo incremento dello stato di ‘incertezza valutativa’ in cui si deve operare cercando di interpretare correttamente la normativa e conseguentemente individuare con precisione la linea di demarcazione in questo campo.

Tuttavia restano sempre subordinate le prestazioni eseguite in modo ‘esclusivamente’ (e non ‘prevalentemente’) personale dal lavoratore, mentre i problemi più delicati si presentano quanto si entra nelle due diverse dimensioni di prestazioni attinenti rapporti di collaborazione semplicemente coordinati (e non diretti) dal committente o di rapporti nei quali il coordinamento sfocia, almeno apparentemente, nell’‘organizzazione’ complessiva della prestazione del collaboratore da parte del committente medesimo.

Ciò poiché, in base all’articolo 2 del D.lgs n. 81 del 2015, tale intromissione organizzativa sembra essere diventata addirittura elemento decisivo per l’applicazione della normativa di tutela del lavoratore subordinato a un rapporto che in realtà, sul piano meramente formale, mantiene nel contempo il nomen iuris che aveva caratterizzato la sottoscrizione del contratto individuale tra le parti (per l’appunto quello di ‘collaborazione coordinata e continuativa’).

Da tale curiosa scissione tra forma e sostanza è derivata l’impressione che si fosse venuto a creare un istituto ibrido (veste formale da co.co. co., ma tutela di diritto sostanziale, e non più solamente processuale, da lavoratore subordinato) che avrebbe finito, non solo per creare uno stato confusionale dell’interprete-operatore di per sé preoccupante, ma soprattutto per rappresentare un oggettivo intoppo anche allo sviluppo di corretti rapporti di co.co. co. che in teoria risponderebbero meglio del lavoro subordinato alle mutevoli esigenze di una società civile e di un’economia in costante evoluzione.

A ogni modo (e a conferma, sotto un certo profilo, dell’estrema volubilità del legislatore nazionale) è recentemente intervenuta sul punto un’ulteriore modifica del testo dell’articolo 409 del Codice di procedura civile consistente nell’aver ivi inserito (tramite l’apposito articolo 15 della Legge n. 81 del 2017) un comma aggiuntivo secondo il quale “la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilita di comune accordo tra le parti, il lavoratore organizza autonomamente l’attività lavorativa”.

Trattasi di un intervento sempre discutibile in termini di garanzia assoluta di certezza del diritto, ma prima facie più equilibrato rispetto a quello del 2015, per una serie di ragioni che si riassumono di seguito. In primis perché viene espressamente indicato quantomeno ‘cosa’ si debba intendere con il termine ‘coordinata’ contenuto nell’articolo 409 comma 3 del Codice di procedura civile. Resta però da verificare se ciò rappresenti un vero superamento, pro futuro, del precedente concetto interpretativo, elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, di ‘collegamento funzionale’ tra l’attività del committente e quella del collaboratore quale definizione abitualmente utilizzata per individuare l’effettiva presenza di un ‘coordinamento’ tra le medesime.

In secondo luogo (novità pure non irrilevante), il focus dell’attenzione del legislatore sembra essersi riportato sull’analisi degli aspetti organizzativi riferibili più al modus operandi del lavoratore che alla struttura del committente. In pratica verrebbe svuotato di significato il tradizionale criterio indiziario dell’inserimento del collaboratore nell’organizzazione aziendale quale indice di subordinazione ‘simulata’ che vanificherebbe il diverso nomen iuris di co.co.co. formalmente codificato nel contratto tra le parti. Per meglio dire, ciò avverrebbe quantomeno tutte le volte in cui il collaboratore mantenga comunque una propria autonomia organizzativa (anche solo parziale purchè qualitativamente significativa? Qui sta il busillis).

Per assurdo, quindi, potrebbe ora esistere un co.co.co. valido pur se il committente, come recita l’articolo 2 del D.lgs n.81 del 2015, “organizzi tempo e luogo della prestazione purchè le concrete modalità gestionali del resto dell’attività rimangano autonomamente organizzate dal collaboratore”? O si potrebbe addirittura sostenere che l’articolo 15 della Legge 81 del 2017, essendo temporalmente successivo alla disposizione appena citata e disciplinando la stessa materia abbia, per così dire, comportato l’abrogazione tacita della disposizione appena richiamata? Il problema potrebbe essere così riassunto: il rapporto ‘coordinato’ ma non ‘eteroorganizzato’ – né tantomeno ‘eterodiretto’ – potrebbe sfuggire dall’insidiosa trappola insita nel concetto di ‘subordinazione allargata’ che stava prendendo piede negli ultimi tempi? Se così fosse, conseguentemente, tornerebbe fondamentale anche la formulazione letterale del contratto individuale di co.co.co. su questo punto specifico, che dovrebbe giocoforza assumere i caratteri di massima precisione e compiutezza, rappresentando una vera e propria ancora di salvezza cui agganciarsi per supportare la validità del contratto stesso.

Per converso, risulta ora ancora più difficile di prima individuare non tanto cosa si intenda per ‘autonomia’ dell’organizzazione bensì cosa si intenda di per sé per ‘organizzazione’, cioè: quando l’attività del collaboratore può veramente dirsi organizzata e non disorganizzata? Quali elementi minimi debbono sussistere in tal senso? Se opero da solo, ma avvalendomi di tecnologie digitali molto complicate/articolate posso reputarmi ‘organizzato’?

Le prospettive future

In effetti questo sarà probabilmente il profilo di maggior difficoltà interpretativa in futuro, perché affliggerà presumibilmente a lungo la giurisprudenza in materia, mentre pare non aver subito particolari scossoni dalla nuova normativa del 2017 il concetto di ‘prevalenza personale’ della prestazione del collaboratore, secondo il quale non sarebbero mai riconducibili alla parasubordinazione le prestazioni ‘esclusivamente’ svolte dal lavoratore, per l’insuperabile limite tuttora esplicitato dal tenore letterale dell’articolo 409 del Codice di procedura civile. anche nella sua ultima versione. Però, come si può agevolmente riscontrare nella pratica di questi ultimi mesi, le complicazioni venutesi a creare per la stratificazione di norme che si integrano (o si sovrappongono?) lasciano aperti ai commentatori ampi spazi di dibattito e tale stratificazione costringerà ad addentrarsi in analisi ancor più approfondite sulla natura istituzionale del contratto di co.co.co. che in fondo sta ammantandosi di crescente mistero invece di trovare una definitiva e riposante sistemazione organica.

Oltretutto va considerato che, nel contempo, la stessa Legge 81 del 2017 ha ampliato l’ambito delle tutele applicabili al lavoro autonomo tout court (del quale la parasubordinazione dovrebbe in teoria costituire una sorta di ‘sottospecie’, come accennato in precedenza) intervenendo decisamente anche sul contratto di affidamento di incarico professionale prima sostanzialmente rimesso nella sua integrità all’accordo individuale tra le parti e ora invece molto più condizionato dall’esterno dalle nuove disposizioni dell’articolo 1 e seguenti di tale legge.

Insomma, un bel ginepraio in cui districarsi. Ciò induce a ritenere che l’onerosa questione tecnica della quantificazione del rapporto di lavoro continuerà e ripresentarsi presso le aule giudiziarie, vanificando quindi nei fatti quella finalità di deflazione del contenzioso sul punto che pur era stata generalmente indicata come una delle ragioni ispiratrici più importanti del recente intervento legislativo di cui sopra. Sarà pertanto particolarmente interessante osservare se la magistratura propenderà a sua volta per interpretazioni ‘evolutive’ oppure ‘conservative’ sulla materia.

Solo il consolidamento, concettualmente auspicabile, di un preciso orientamento giurisprudenziale, almeno di Cassazione, potrà indirizzare in modo più preciso la gestione quotidiana della parasubordinazione come istituto ‘contenitore’ di tante possibili figure professionali – anche di nuovo tipo – comunque tutte caratterizzabili per una certa fluidità del perimetro di applicazione, che proprio per tale motivo necessitano di un minimo comun denominatore il più possibile stabile nel suo concetto di fondo e comunque effettivamente idoneo ad accompagnare positivamente lo sviluppo di nuove forme collaborative tra datore di lavoro e lavoratore, coerenti con lo sviluppo dell’impresa nella società.


Ernesto Di Seri

Responsabile dell’area legislazione e giurisprudenza del lavoro presso l’Unione degli Industriali di Varese e docente a contratto di Diritto per l’Ingegneria all’Università Liuc di Castellanza

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