Olivetti non era solo Ivrea

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Il 22 novembre 2008, a Milano, si è raggiunto il tutto esaurito. Non era più possibile iscriversi per partecipare a un evento che vedeva presenti 150 ex dipendenti Olivetti, degli oltre mille collegati in Rete, nel ricordo del Centenario dalla fondazione di Olivetti. In modo spontaneo, venditori, dirigenti, tecnici, progettisti, formatori che hanno dato vita a Olivettiani.org, si sono incontrati per il piacere di rivedersi e di parlare della vita trascorsa in Olivetti. Così come già avviene in Spagna, Inghilterra, Danimarca, Belgio. Persone&Conoscenze ha dedicato all’evento la storia di copertina del numero 45 della rivista, da cui traiamo un estratto per celebrare l’inserimento di Ivrea, la ‘città ideale’ di Adriano Olivetti, nell’elenco del Patrimonio Unesco.

Racconto questo Centenario per i lettori di Persone&Conoscenze secondo uno schema maturato attraverso lo scambio con colleghi, con Concessionari e con clienti e utilizzando 31 anni di lavoro trascorsi lavorando nella Filiale di Bologna e alla Direzione Commerciale Italia della Olivetti, a Milano.

È la storia vista da organizzazioni tipiche del mondo industriale, ma che in Olivetti hanno assunto significati molto particolari. C’è infatti Ivrea che è il centro e sul quale si è scritto e si continuerà a scrivere e ci sono tante Olivetti sparse nel territorio dove, per una singolare combinazione, quella storia assumerà profili diversi.

La macchina da scrivere Lettera 22

Generatori di questa originalità sono la Direzione Commerciale Italia (inaugurata a Milano, nel Palazzo di Via Clerici, nel 1955), la Scuola per Venditori di Firenze (il primo corso comincia nel febbraio 1954, nell’aula magna della Facoltà di Architettura) e la Scuola per meccanici di Piacenza (Servizio tecnico assistenza clienti, STAC) le Filiali e le Concessioni (in Italia e all’estero).

Le Filiali e le Concessioni devono vendere, installare e assistere le macchine prodotte a Ivrea e vengono organizzate per questi scopi. Ma in breve tempo assumono un carattere distintivo: sono luoghi belli, ben organizzati e dove si lavora bene.

Nel 1957, in Italia le Filiali erano 30 e 235 i Concessionari (i dipendenti in tutto erano 24mila); nel 1963 le Filiali passano a 60 i Concessionari a 332 (i dipendenti erano diventati 54.600). Questa crescita fu originata da una scelta molto coraggiosa.

Alla metà degli Anni 50 si esprime in pieno la capacità organizzativa e di progetto industriale di Adriano, ma soprattutto la sua capacità di realizzare prodotti non solo buoni ma anche in grande quantità, il che determina un intasamento dei magazzini dell’azienda. Si apre allora un grande dibattito: chiudere gli stabilimenti (come forse si farebbe oggi) o individuare canali nuovi per portare i prodotti al mercato. Si opta per questa seconda strada, una scelta che la dice lunga sulla visione di Adriano in tema di Responsabilità d’Impresa”.

La persona che organizza e innova il sistema distributivo si chiama Ugo Galassi. “Per ricordare Adriano Olivetti nel Centenario della nascita della sua azienda, si è parlato sempre di quanto ha fatto sul piano dell’architettura, dell’organizzazione del lavoro, della cultura, dell’arte, della sociologia; si è parlato lungamente di tutti gli artisti, scrittori, poeti che sono passati all’Olivetti, ma non si è mai parlato della sua formidabile organizzazione commerciale. Se uno si limitasse a leggere certi resoconti, credo sarebbe legittimato a concludere che l’Olivetti era fatta da architetti, ingegneri, letterati, poeti, e non riuscirebbe a capire chi possa avere venduto i suoi prodotti. In effetti ci fu un padre dello sviluppo del settore commerciale, a cui si deve l’importanza che esso ha avuto nella storia dell’Olivetti. Questo padre si chiama Ugo Galassi […]. Certe metodologie, certe pratiche, certe norme, una certa pianificazione dell’attività commerciale, messa a punto da parte di uno staff, si devono a Galassi, che dovrebbe essere ricordato, a mio avviso, con la stessa enfasi con la quale sono ricordati altri illustri e mitici personaggi olivettiani”.

Modernizzare il lavoro

Le Filiali erano vetrine del design italiano; perché anche chi non entrava poteva guardare le realizzazioni progettuali (scrivanie, sedie, scaffali, arredo da ufficio, macchine) di Belgiojoso, Peressuti, Rogers, Nizzoli, Pintori, Bellini, von Klier, Zanuso.

Filiali e Concessioni Olivetti erano note per essere luoghi ‘belli e importanti’ della città, e facevano parte dell’universo del lavoro e non dello shopping. Erano luoghi dai quali provenivano idee e prodotti per modernizzare il lavoro d’ufficio. Prodotti e soluzioni che, in una concorrenza piuttosto severa con produttori tedeschi e americani in particolare, erano vendute e assistite da persone competenti e ben formate.

Sono infinite le storie di lavoro che hanno visto la presenza di venditori, di tecnici e di programmatori nella soluzione di problemi di sviluppo organizzativo per le imprese, le banche, gli enti pubblici, le scuole, i professionisti. Filiali e Concessioni erano e sono punti di riferimento nella realtà economica locale.

Villa Natalia a Firenze

I venditori venivano selezionati da giovani che si chiamavano Furio Colombo, Tiziano Terzani, Ottiero Ottieri, Alberto Projettis, Giancarlo Lunati. Interessante notare che nel 1960 la casa editrice Einaudi pubblica I venditori di Milano una piece teatrale di Ottiero Ottieri (con dedica a Elio Vittorini). “Poi, se il colloquio è stato positivo, vieni mandato a Firenze, in una splendida villa del Cinquecento, il Centro specializzazione vendite (CISV) o meglio conosciuta da tutti noi come Villa Natalia. Svegliandoti al mattino, vedi attraverso i pini marittimi e i cipressi la cupola del Brunelleschi, poi dopo colazione ti avvii per un sentiero nel verde a Villa degli Ulivi, sul colle di fronte, dove ci sono le aule per i corsi di formazione. In questo contesto apprendi le tecniche di vendita e impari a conoscere i prodotti che dovrai proporre ai clienti”.

In questa straordinaria scuola i futuri venditori studiavano assieme ai giovani ‘ternisti’ o ‘nela’ (neolaureati). “Olivetti assumeva i laureati a ‘terne’: un tecnico, un economista, un umanista. Modello di superamento della schizofrenia fra le ‘due culture’, di comprensione del nesso tra innovazione tecnologica e cultura classica, di valorizzazione della interdisciplinarietà”.

Nessuna azienda aveva un centro come questo per la formazione del personale appena assunto. Ma mi spaventò che si parlasse di una mia destinazione al settore commerciale. Ignoravo che tutti venivano mandati a Villa Natalia e passavano un mese di corso come momento introduttivo nell’azienda”. Oggi che per diversi mestieri, impieghi, professioni, si debba ‘fare il corso’ è scontato, negli Anni 50 e 60 non lo era. L’idea della vendita era piuttosto elementare: prendere la valigetta e andare dal cliente, forti della propria capacità persuasiva e di molta energia fisica. Nel periodo 1954-1962 si sono sommate, per felici e irripetibili circostanze, quelle condizioni ambientali, organizzative, umane e tecniche capaci di influire in modo significativo sull’apprendimento di uno stile di comportamento organizzativo, oltreché di serie e approfondite conoscenze tecnico professionali. Chi usciva dai corsi di base sentiva di avere fatto propri i valori e gli obiettivi aziendali; sentiva l’orgoglio di essere parte attiva in un’impresa proiettata con successo verso la leadership mondiale non solo per la qualità tecnica dei prodotti e per il loro design, ma anche per il grande prestigio culturale dell’azienda. A questo segno di appartenenza che, in un certo modo nobilitava il sentirsi ‘olivettiani’, si sommava la consapevolezza, non disgiunta da un senso di gratitudine sincera, di avere potuto vivere un’importante esperienza professionale”.

Cominciava così, nei luoghi di lavoro, un’originale combinazione di saperi. Le Filiali erano luoghi ricchi di personalità, di personaggi e di eventi e dove, nel contatto con i clienti, si andava declinando un modo molto speciale di vivere il lavoro. La formazione svolgeva un ruolo molto importante e non è un caso che l’Associazione Italiana Formatori (AIF) e il Dipartimento di Sociologia del lavoro dell’Università di Bologna organizzassero nel 2001, in occasione del Centenario della nascita di Adriano, un convegno sulla formazione in Olivetti.

La cultura Olivetti

I venditori Olivetti portavano al mercato non solo i prodotti, i servizi, la capacità di comprendere le problematiche del cliente nelle varie tipologie di chi aveva bisogno di strumenti di lavoro ma si può dire che, in modo personale e orgoglioso insieme, ‘distribuivano’ la cultura Olivetti.

Si tenga conto che nelle Filiali arrivavano regolarmente le riviste Sele Arte, Comunità e Notizie Olivetti, funzionava il Fondo di Solidarietà (originato in memoria del primo direttore tecnico Domenico Burzio nel 1933) e che i figli dei dipendenti andavano nelle Colonie estive Olivetti. Nelle città, con mostre e rassegne (molte organizzate con Egidio Bonfante e Paolo Viti) e con oggetti di gran pregio (Soavi, Sotsass, Leclerc, Nizzoli, Munari…) dalle agende progettate da Enzo Mari e illustrate ogni anno da artisti diversi, ai calendari di artisti dal mondo, classici e moderni, si instaurava un dialogo insolito con il clienti.

Infine, come non ricordare che le macchine e le calcolatrici, cos’altro erano se non capolavori del design italiano riconosciuti, studiati, apprezzati e accolti nei Musei del mondo? Ripensandoci ora e rivedendo i colleghi nella ricorrenza del Centenario, chi ha lavorato in particolare negli anni che hanno visto, anche dopo la sua scomparsa, l’influenza di Adriano, ha portato nelle attività che in seguito ha svolto un carattere, un tratto, uno stile che in maniera non arbitraria può essere chiamato ‘olivettiano’.

L’individuazione di una grande opportunità

Adriano Olivetti

Il prototipo del primo transistor fu creato nei laboratori Bell nel 1947 e Adriano Olivetti nel 1952 a New Canaan (in Usa) inizia a studiare le applicazioni dell’elettronica al calcolo.

Attraverso Mario Tchou, un talento di padre cinese e di madre italiana, nato a Roma e Docente di elettronica alla Columbia University di New York, a 28 anni, Adriano Olivetti, nel 1955 e in collaborazione con l’Università di Pisa, pone le basi per un successo clamoroso.

Nel 1959 viene infatti prodotto e presentato l’Elea 9003 (Elaboratore Elettronico Aritmetico), progettato e costruito in serie per impieghi scientifici e commerciali. L’Elea non fu soltanto il primo calcolatore elettronico italiano, ma anche uno dei primissimi al mondo costruito interamente a transistor, che consentiva prestazioni (velocità e affidabilità) assai maggiori e dimensioni molto più contenute rispetto ai precedenti sistemi a valvole. “In chiave storica, c’è un generale consenso sul fatto che –a prescindere dalle cause economiche contingenti– il corso degli eventi fu influenzato da fattori interni di debolezza della Olivetti, acuitisi con la morte di Adriano. Uno dei fattori era costituito dalla proprietà stessa dell’azienda”.

Il controllo azionario della società era detenuto dagli eredi Olivetti, un gruppo familiare diviso e conflittuale, che aveva però in Adriano un leader riconosciuto. Dopo la sua morte, il figlio Roberto, ottima persona, erede e paladino dell’iniziativa elettronica, non riuscirà a imporsi e a risolvere i contrasti. La crisi finanziaria del 1963 troverà, quindi, un Consiglio di amministrazione frammentato e remissivo, cui il Gruppo di intervento avrà buon gioco nell’imporre il suo punto di vista.

Va, in proposito, osservato che l’apporto di capitale necessario per risolvere la crisi non era esorbitante e la situazione generale dell’azienda niente affatto drammatica. Tanto è vero che nel 1965 la società tornò a distribuire dividendo.

Un altro fattore di debolezza era di natura culturale e cioè la contrapposizione tra meccanici ed elettronici all’interno dell’azienda. L’establishment aziendale era dichiaratamente avverso all’elettronica; la mentalità dominante era quella che credeva nelle produzioni meccaniche, che avevano fatto la fortuna dell’Olivetti.

In questa visione conservatrice, l’elettronica non rappresentava il futuro, ma solo uno sperpero di risorse. Con la morte di Adriano diventava più facile sostenere che occorreva accantonare l’elettronica in favore di sempre più complessi (ma sempre meno proponibili) prodotti meccanici.

Infine, si può mettere in conto anche una debolezza di natura politica. Infatti, nell’assenza di sostegni da parte dello Stato, oltre alla miopia dei governanti sul ruolo strategico del settore, giocò a sfavore di Olivetti una malcelata insofferenza verso la figura di Adriano, imprenditore anomalo, fuori dal coro, considerato dai più un utopista lontano dalla realtà.

Sta di fatto che Olivetti non ebbe alcun sostegno dalle Istituzioni, all’opposto di quanto avveniva negli altri Paesi, nei quali l’industria nazionale del computer godeva di varie forme di agevolazione, dalle commesse di ricerca alla preferenza negli acquisti (paradossalmente, fu anzi lOlivetti a regalare un Elea 9003 alla Ragioneria Generale dello Stato…).

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