Oggi serve un pensiero diverso

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Editoriale – di Francesco Varanini –

Marzo 85Partirò da una domanda, strettamente legata all’attualità, visti i tempi che corrono, in particolare nel nostro Paese: ‘sappiamo ragionare in modo adeguato alle situazioni che ci troviamo a vivere?’. Possiamo chiederci ‘come ragioniamo di solito’. Siamo abituati a ragionare rifacendoci a modelli già dati. La storia culturale di cui siamo eredi −il cui campione è Cartesio− ci ha abituati a pensare in modo assiomatico e deduttivo. Il metodo, ciò che è comodo intendere come corretto modo di ragionare, consiste nel dare per scontato che esistano, a fondamento del modo di ragionare dei manager, postulati indiscutibili. Dai postulati discende, per logica catena di deduzioni, ogni possibile pensiero. Sarebbe facile ora guardare alla nostra classe politica e dire: è vero, ragionano così, per schemi, chiusi in modelli indiscutibili.
Penso che l’accusa rivolta agli uomini politici sia perfettamente motivata. Ma non credo che possiamo chiamarci fuori. Se abbiamo motivo di dire che il mondo della politica è brutto, non possiamo esimerci dal guardare le brutture del nostro mondo. È così che, anche nel lavoro manageriale, finiamo per ridurre gli orizzonti di ciò che è pensabile a una serie di luoghi comuni. Espressi, ovviamente, in inglese. Reduce cash expenses. Eliminate defects. Manage capacity from existing assets. Make incremental investments to eliminate bottlenecks. Improve profitability of existing customers. Improve yields. Il tutto, ovviamente, al fine di corrispondere a quell’assioma in cui sembra doversi riassumere il compito di ogni manager. Non solo, non più creare valore, ma estrarlo, a favore degli shareholder. Se mi dite che esagero, e che non sempre è così, sono d’accordo. Ma questa è l’aspettativa. Questa è la vulgata diffusa da business school e da società di consulenza strategica. Da un modo di ragionare, che finiamo per subire, discende un modo di agire –anzi, non di rado, un modo di non agire−. Ciò che non è pensabile, non è fattibile. È evidente che serve un pensiero diverso. Serve oggi scommettere sull’ipotesi che altre vie siano praticabili. Serve sapersi muovere scommettendo sull’improbabile. Serve agire nella convinzione che ciò che ora sembra irrealizzabile si riveli lungo il cammino fattibile. Serve rifiutare l’idea che il ragionamento, per essere efficace, valido, ammissibile, debba essere ‘strettamente logico’. Ovvero, debba essere formulato in modo deduttivo, a partire da assiomi indiscutibili, all’interno di un quadro di regole già dato. Si tratta quindi di allontanarci dal paradigma cartesiano. Dobbiamo mettere in discussione il metodo, rinunciare a seguirlo.
In fin dei conti, così hanno sempre agito gli innovatori, gli inventori, gli scopritori di nuovi mondi, i veri imprenditori. Così abbiamo agito anche noi, se ci pensiamo bene, almeno in qualche momento della nostra vita. Le scelte importanti, con buona pace di Cartesio, non si appoggiano sulla logica, ma sulla saggezza. Il saggio, abbastanza tranquillo a proposito della propria identità, del proprio modo di essere, è capace di abbandonarsi in qualche misure alle onde della vita. La vita è un continuo divenire. Mi giova accettare occasioni ed esperienze. Abbassando la soglia del controllo, lascio fluire la vita e così mi allontano dall’ingiustizia regnante. Il saggio persegue la giustizia attraverso la testimonianza.
Al di fuori di qualsiasi legittimazione, di qualsiasi attribuzione di ruolo, fa la propria parte. Sapere e saggezza rimandano alla radice indeuropea sap −idea di succo− una sorta di originario nutrimento, e quindi sapore. Il verbo latino sapere ci parla di ‘avere sapore’. Di qui sapius, ‘essere savio’, ‘avere senno’. La nostra ricerca di un praticabile modo per governare e dirigere le organizzazioni non sta nel pensare secondo le regole consuete; non sta nemmeno in un vano e gratuito affanno in cerca di un’astratta giustizia, sta un ragionevole, saggio tentativo di dare senso alla vita. Alla vita in senso lato, e alla vita di lavoro nostra e altrui. Ikujiro Nonaka −uno dei pochi studiosi di management che possiamo veramente considerare riferimento e guida− chiamato dall’intervistatore −Otto Scharmer− a parlare di management, non guarda il management, ma guarda intorno, dietro, davanti al management. “In my view, management is not about technique or methodology, but about value. What is good? What is beautiful? What is truthful?”. C’è un richiamo alla saggezza, al possedere e al mostrare −senza ostentazione− virtù morali. Si guarda a un punto di incontro tra etica ed estetica. “Knowledge has something to do with truth, goodness, and beauty” 

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