La nuova disciplina del welfare aziendale nella Legge di stabilità 2016

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Di Franca Maino e Giulia Mallone, del Laboratorio ‘Percorsi di secondo welfare’
(L’articolo è stato scritto durante l’iter parlamentare e pubblicato integralmente nel numero 108 – novembre/dicembre – della rivista Persone&Conoscenze)

 

Il disegno di legge di stabilità, materia di discussione alla Camera nelle ultime settimane, ha previsto il rilancio della contrattazione di secondo livello e nuovi interventi in ambito di welfare aziendale. La norma segna una svolta epocale dall’idea di welfare come ‘dono’ paternalistico a quella del welfare come parte costitutiva del rapporto di lavoro, aprendo a una visione più moderna dei benefit come risorsa per una gestione strategica delle risorse umane. Cosa cambia rispetto al passato? Cosa attenderci per il futuro?

L’ultimo mese ha visto come protagonista della politica nazionale la definizione della Legge di stabilità per il prossimo anno. A partire dal 15 ottobre, giorno in cui il Presidente del Consiglio Renzi e il Ministro dell’Economia Padoan hanno presentato in conferenza stampa la manovra –che vale complessivamente circa 27 miliardi di euro–, è iniziato l’iter parlamentare per l’approvazione del provvedimento che entrerà in vigore da gennaio 2016.

Gli incentivi al welfare aziendale

Uno degli elementi di novità del disegno di legge presentato alle Camere riguarda la volontà del Governo di promuovere lo sviluppo della contrattazione di secondo livello e, al suo interno, il welfare aziendale come sostituto totale o parziale della componente monetaria. In occasione della conferenza stampa, Matteo Renzi aveva annunciato lo stanziamento di quasi 500 milioni di euro per sostenere la contrattazione di secondo livello e nuovi interventi in ambito di welfare aziendale. Il testo del disegno di legge e –ancora più recente– il maxiemendamento interamente sostitutivo del testo del Ddl di stabilità, sottoposto al voto di fiducia al Senato venerdì 20 novembre, confermano la presenza di una nuova disciplina del premio di produttività, dell’incentivazione fiscale del welfare aziendale in sostituzione del denaro in busta paga e di importanti modifiche agli articoli del TUIR che regolano il trattamento fiscale del welfare aziendale (Maino e Mallone 2015a). provvedimento reintroduce la detassazione del premio di produttività, istituto introdotto per la prima volta nel 2008 e mantenuto con caratteristiche diverse di anno in anno fino all’interruzione per l’anno 2015. Lo stesso articolo incentiva il ricorso al welfare aziendale –o, meglio dire, contrattuale– nell’ambito dell’erogazione della parte variabile del salario legata alla produttività, favorendo fiscalmente i servizi di welfare rispetto all’equivalente in denaro (Leonardi 2015). Se il premio di produttività mantiene, infatti, una imposta sostitutiva del 10% in base al comma 1, lo stesso premio erogato in welfare gode delle agevolazioni fiscali già previste dall’art. 51 del TUIR e non concorre, dunque, alla formazione del reddito da lavoro dipendente. Entrambe le opzioni sono, tuttavia, soggette alle limitazioni di importo e di reddito previste dai commi successivi (2.000 euro di importo e 50.000 euro di reddito), e ogni lavoratore avrà la facoltà di scegliere come ricevere l’importo del premio (Maino e Mallone 2015b).

senato-della-repubblicaMentre il welfare erogato in sostituzione al premio di risultato è vincolato ai tetti, il welfare ‘tradizionale’ –sia esso legato a obiettivi aziendali e/o previsto in aggiunta a un premio di risultato, senza naturalmente possibilità di sostituzione con denaro– non è soggetto a limiti, eccetto quelli già previsti dall’articolo 51 del TUIR. Il limite di importo potrà però essere aumentato fino a 2.500 euro se l’azienda implementerà dei sistemi di coinvolgimento diretto dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro, secondo modalità che verranno illustrate in un successivo decreto. Anche quest’ultima è una novità importante: si tratta di una forma di premio diffusa in altri Paesi e mai sperimentata in Italia fino a questo momento. La Legge di stabilità rende fiscalmente conveniente anche questa opzione, riconoscendo il valore della partecipazione dei lavoratori ai successi dell’impresa e legando il premio a un parametro oggettivo espressione della produttività aziendale.

La riforma del TUIR

Secondo punto cruciale del provvedimento è la riforma –a lungo richiesta dagli addetti ai lavori– dell’art. 51 del TUIR, il Testo Unico delle Imposte sui Redditi del 1986. Queste modifiche costituiscono un cambiamento di enorme portata, poiché non si applicano solo ai beni e servizi erogati in sostituzione totale o parziale del premio di produttività, ma in generale a tutti i benefit di welfare aziendale offerti ai lavoratori. Al comma 9 l’art. 12 comprende alcune importanti modifiche al testo dell’art. 51, con tre finalità principali: superare il limite della volontarietà; aggiornare e ampliare il paniere di servizi; favorire lo sviluppo di strumenti –come i voucher– che facilitino la fruizione dei servizi. La modifica della lettera f), apparentemente minima, consentirà in pratica ad aziende e sindacati di fare riferimento alle finalità dell’art. 100 senza “portarsi dietro” anche il vincolo della volontarietà (Maino e Mallone 2015c). Le lettere f-bis e f-ter aggiornano e ampliano il novero dei servizi soggetti ad agevolazioni fiscali e contributive in base all’art. 51, includendo tutti i servizi per l’infanzia senza alcun “buco” di copertura e ricomprendendo persino quelli integrativi e di mensa collegati alla frequenza scolastica dei figli. Il comma f-ter apre la strada all’importante riconoscimento delle sfide connesse all’invecchiamento demografico: la non autosufficienza e i servizi di cura per i familiari anziani meritano finalmente di essere esplicitamente richiamati nel TUIR e considerati strumenti di sostegno al benessere delle famiglie e di conciliazione vita-lavoro al pari delle politiche per la cura dei figli.
La relazione illustrativa del Ddl diffusa attraverso il sito del Senato della Repubblica ribadisce la volontà di dare nuovo impulso alla contrattazione, grazie a una rinnovata disciplina della produttività, e di sviluppare politiche di sostegno ai lavoratori e alle loro famiglie. Sottolinea, inoltre, che gli importi e i benefit legati alla produttività dovranno essere necessariamente erogati in esecuzione di contratti aziendali o territoriali, esplicitando ancora una volta il requisito della contrattazione perché il premio di produttività possa godere delle agevolazioni previste.
Ultimo capitolo in ordine di tempo è il maxiemendamento interamente sostitutivo del testo del Ddl di stabilità su cui il Governo ha posto la fiducia il 20 novembre 2015. Approvato in Senato con 164 voti favorevoli, 116 contrari e 2 astenuti, il maxiemendamento è passato all’esame della Camera dei deputati. Il documento ripropone –nei punti che vanno dal numero 87 al 94– la stessa disciplina del premio di produttività contenuta nell’articolo 12 del Ddl e conferma le modifiche all’articolo 51 del TUIR. Da segnalare che si prevede una formulazione della “nuova” lettera f) dell’articolo 51 che esplicita ancora meglio l’importante cambio di rotta del Governo rispetto al trattamento dei benefit di welfare derivanti dalla contrattazione di secondo livello.
La nuova formulazione esprime, infatti, ancora più chiaramente il fatto che i beni e servizi offerti ai dipendenti in base all’articolo 100 del TUIR (per finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto) possono essere “riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale”, equiparando dunque il trattamento fiscale e contributivo previsto per i servizi indipendentemente dalla natura unilaterale o negoziale dell’offerta.

Prospettive di conciliazione vita-lavoro

La Legge di stabilità dovrà anche stabilire in maniera definitiva l’ammontare delle risorse dedicate alle misure di conciliazione vita-lavoro, uno dei ‘pilastri’ del Jobs Act. Il decreto legislativo del 15 giugno 2015 attuativo del Jobs Act e contenente le misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro aveva destinato, all’articolo 25, una quota pari al 10% delle risorse del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello alla promozione della conciliazione tra vita professionale e vita privata. Queste risorse, finalmente quantificate nella Legge di stabilità, ammonterebbero a 38,2 milioni di euro per l’anno 2016, 36,2 milioni di euro per il 2017 e 35,6 milioni per il 2018, a fronte della riduzione dello stesso Fondo per la contrattazione di secondo livello a 344,7 milioni nel 2016 e 325,8 milioni e 320,4 milioni rispettivamente per gli anni 2017 e 2018. Rimane, tuttavia, ancora da sciogliere il nodo relativo alle regole di utilizzo dei fondi dedicati alla conciliazione.
Provando a ricapitolare gli elementi distintivi della parte relativa al welfare aziendale della Legge di stabilità, si rileva che, in aggiunta alla disciplina del premio di produttività, tre sono i fronti di modifica del TUIR, rimasto essenzialmente intoccato dal lontano 1986, politicamente più rilevanti in un’ottica di secondo welfare.
Il primo riguarda la volontà da parte del Governo supporto della conciliazione vita-lavoro e dei compiti di cura dei minori sono estesi per ricomprendere non solo tutte le strutture per l’infanzia e l’educazione, ma anche i servizi integrativi a essi collegati, come le mense e i doposcuola. Il punto più rilevante riguarda l’introduzione di un esplicito riferimento al tema della non autosufficienza, con riferimento ai drammatici carichi di cura che le famiglie oggi sostengono a causa dell’allungamento della vita e del contestuale aumento della disabilità. Aziende e sindacati sono, dunque, chiamati ad ampliare il loro raggio di azione oltre le questioni legate ai rapporti di lavoro, per condividere una nuova responsabilità sociale allargata all’intero nucleo familiare e, di conseguenza, al sistema di servizi del territorio in cui operano. Un allargamento alla comunità locale che presuppone l’instaurazione di una stretta collaborazione con le amministrazioni pubbliche e con gli altri stakeholder che a vario titolo operano sui territori, attraverso un modello di secondo welfare che favorisca sussidiarietà e compartecipazione.

I voucher per l’erogazione di beni e servizi di welfare

L’elemento più innovativo è costituito dal nuovo comma 3-bis che prevede che l’erogazione di beni e prestazioni possa avvenire anche mediante documenti di legittimazione, o voucher, in formato cartaceo ed elettronico.
Anche la Commissione Europea ha invitato più volte negli ultimi anni gli Stati membri a sfruttare il potenziale di occupazione offerto dai servizi alla persona e alla famiglia per il miglioramento del benessere dei bambini, degli anziani e delle persone disabili, per l’avanzamento delle politiche di conciliazione tra vita lavorativa e personale e per la creazione di opportunità lavorative per le persone impiegate nel settore dei servizi alle persone. In questo senso, il ricorso al voucher può favorire la costruzione di un sistema di servizi alla persona e alla famiglia più efficiente, di qualità e con costi sostenibili, che faciliti la conciliazione fra vita privata e attività professionale, al fine di contribuire alla crescita dell’occupazione femminile, alla cura delle persone non autosufficienti e a promuovere l’aumento dell’occupazione regolare e migliori condizioni di lavoro nel comparto dei white jobs (quest’ultimo considerato dalla Commissione Europea il settore con il più elevato potenziale di aumento dell’occupazione e del valore aggiunto, anche a causa dell’invecchiamento della popolazione e alla maggiore domanda di servizi di cura dell’infanzia da parte delle lavoratrici e dei lavoratori).
L’utilizzo di voucher favorirebbe, inoltre, come dimostra l’esperienza francese dei Chèques emploi service universel (CESU) –un sistema di voucher per l’acquisto di numerosissimi servizi di natura socio-sanitaria e per il disbrigo delle incombenze quotidiane che gode di agevolazioni fiscali e contributive, l’emergere del lavoro nero così diffuso fra i collaboratori domestici e gli assistenti personali, al fine di migliorare le condizioni di lavoro e aumentare il gettito contributivo determinato dall’aumento dell’occupazione regolare. Un sistema di voucher potrebbe agire da ‘leva’ per favorire la diffusione del welfare aziendale anche nelle piccole e medie imprese e tra gli enti bilaterali, incentivare l’effettivo utilizzo dei servizi e produrre indirettamente nuova occupazione e infrastrutturazione dell’offerta sui territori. Non solo, attraverso un meccanismo di accreditamento dei fornitori e monitoraggio si favorirebbe l’incontro tra domanda e offerta di servizi che porterebbe all’aumento della qualità delle prestazioni.

Cosa riserva il futuro?

In futuro il welfare aziendale sarà oggetto senza limitazioni della negoziazione tra azienda e sindacati, avrà un menù più ampio di possibili interventi –erogabili attraverso voucher– e potrà essere legittimamente inserito all’interno della disciplina del premio di produttività. In base agli elementi oggi a nostra disposizione, il Governo sembra aver mantenuto le promesse, rispondendo alle attese di quanti da tempo auspicavano un ammodernamento della normativa sul welfare aziendale e chiedevano chiarimenti circa la questione della volontarietà e lo ‘spazio’ per il welfare all’interno delle relazioni industriali. Tuttavia, per conoscere la reale portata di questa legge occorrerà aspettare la conclusione dell’iter parlamentare. Dopo l’approvazione in prima lettura al Senato, il testo è ora all’esame della Commissione Bilancio della Camera –dove sono state presentate circa 5.000 proposte di modifica– per approdare in aula nelle prossime settimane.

 

 

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