No ai lavativi e ai negrieri

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Premetto che l’analisi più critica sulle relazioni sindacali non deve offuscare il diritto di chi lavora a difendere i propri diritti. Quando, nei talk show o sulla stampa, vedo descritte condizioni di lavoro che rasentano la schiavitù, pretenderei che si fosse circostanziati e si chiamassero con nome e cognome questi datori di lavoro. Altrimenti il rischio concreto è quello di creare una patina opaca e negativa sull’impresa e su chi la dirige.

Papa Bergoglio, il 27 maggio 2017 all’Ilva di Genova, ha fatto bene a richiamarci –imprenditori e manager– sui valori non negoziabili, però mi piacerebbe che trovassero spazio anche testimonianze virtuose, o quanto meno regolari, che sono la maggioranza. Lo so che solo un uomo che morde un cane fa notizia, però…
All’Ispettorato territoriale del lavoro e in Tribunale mi sono trovato spesso a concedere importi economici importanti, pur di chiudere la questione ed evitare una trafila giudiziaria lunghissima, costosa e dall’esito incerto, per essere buoni. Non ho mai ravvisato un minimo indizio che potesse far supporre un atteggiamento negativo nei confronti del lavoratore. Al contrario, ho spesso avvertito la sensazione che si guardasse al datore di lavoro con un forte pregiudizio, come se il nostro intento fosse persecutorio.

Gli imprenditori avvertono questa ostilità, la ritengono ingiusta e focalizzano sul sindacato la causa di tutti i mali, cercando in ogni modo di non averci a che fare. Sarebbe utile fare una distinzione tra aziende multinazionali (o comunque molto grandi) e Piccole e medie imprese. Nelle seconde, il rapporto tra i lavoratori e il titolare è quasi sempre diretto: spesso sono cresciuti insieme, abitano nello stesso paese. Mi dispiace quando –sottolineando queste cose– avverto una sorta di compatimento, del tipo: eccolo qui ‘quello del Mulino bianco’. Potrei invece raccontare tanti casi concreti nei quali questa relazione diretta è efficace e conveniente per entrambe le parti.

Nel mio ultimo libro –Romanzo reale (ESTE, 2010)– che purtroppo ho scritto già sette anni fa, il protagonista, Libero, è un lavoratore serio e competente. Lui, la Tina e Mario fanno parte della rappresentanza sindacale interna; sono stimati perché vivono direttamente la fabbrica e sono inattaccabili dal punto di vista della prestazione lavorativa e dei comportamenti. Quando l’azienda entra in crisi, gestiscono in prima persona la dura vertenza e trovano nel sindacalista esterno, Michele, un riferimento fragile. Per non parlare del suo capo, il segretario provinciale, tutto preso da mediazioni con la politica e gli altri sindacati, che nulla hanno a che vedere con le esigenze concrete dei lavoratori della Tecno Mecc.

Michele rappresenta un modo stereotipato di intendere il ruolo del sindacato, ancorato in modo nostalgico a tempi passati e incapace di contestualizzare la realtà per quella che è. Quando i lavoratori decidono di rilevare l’azienda e di diventare imprenditori artigiani, Michele non capisce questa scelta, si avvita intorno a questioni pretestuose e viene messo da parte da coloro che avrebbe dovuto rappresentare.

Ciò detto, credo che tutti facciamo molta fatica a comprendere il mercato del lavoro attuale. Sento la necessità di una disciplina maggiore, che non conceda spazio ai lavoratori lavativi (che sono una minima, ma rumorosa presenza) e agli imprenditori che pensano di essere ancora all’inizio dell’Ottocento. In Romanzo reale c’è un ritratto implacabile di questo tipo di imprenditore, ma ne ho pennellato anche altri che vogliono bene alla loro impresa e ai loro collaboratori: ci sono e sono la maggioranza. Se tagliamo queste code estreme (i lavoratori lavativi e i datori di lavoro negrieri) forse possiamo cominciare a dialogare meglio.

Nelle Piccole e medie imprese spesso non c’è la figura formale del Direttore del Personale, quindi una relazione diretta tra lavoratori e imprenditore è possibile ed efficace. Tuttavia, il sindacato dei lavoratori a mio avviso non può rappresentare chi non ha lavoro (o chi ce l’ha nelle nuove forme, che non sono più liquide, ma addirittura gassose). In merito allo sciopero –che rimane un diritto inalienabile– forse oggi funziona quando sono lesi i diritti fondamentali, oppure in caso di pesanti discriminazioni che nulla hanno a che fare con le questioni organizzative e del lavoro. Sullo sciopero, però, si sbatte il naso contro riti e nostalgie di anni passati ormai da secoli e dico forte che quelli organizzati il venerdì (quasi sempre) sono veramente una brutta cosa, per tutti. Fanno male, soprattutto, agli importanti diritti conquistati con lotte dure e sacrosante.


Lauro Venturi

Lauro Venturi è Amministratore delegato, Gruppo Ocmis SpA

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