
Luci e ombre del Talent management, come si gestiscono i talenti in azienda
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Sorrido sempre di più nel sentire parlare di Talent management oggi. Credo che in generale, la cultura e l’evoluzione delle aziende di questi ultimi anni contrasti di fatto con la sanissima idea di attrarre, sviluppare, motivare e preservare persone di talento. Specie nell’ambito di aziende multinazionali sono annunciate aggressive ‘politiche’ di Talent management che nella realtà sono rese meno concrete e talvolta anacronistiche, poiché il mondo delle risorse umane (e non solo) non ha più nulla a che fare con logiche del passato. C’è pertanto il rischio che i piani e le prospettive di sviluppo individuale o tecnocratici strumenti di valutazione del potenziale rimangano solo appunti nel nostro portale di gestione HR o, peggio ancora, su documenti cartacei di cui ti chiedi cosa farne quando il nostro talento ci ha lasciati.
Chi sono e a che cosa servono le persone di talento
La persona di ‘talento’ è una risorsa con un alto livello di potenziale ‘diagnosticato’ tale in azienda. È proprio dalla diagnosi che nascono le prime contraddizioni. Il problema vero è comprendere la differenza tra il concetto di talento in senso assoluto e quello di risorsa che può portare un contributo ‘straordinario’ a una particolare realtà aziendale. Cosa serve infatti un genio matematico in una associazione culturale? Ma anche cosa serve un potenziale manager quando in azienda i manager non mancano (semmai ce ne sono troppi)? La risorsa di talento deve essere pertanto ragionevolmente funzionale allo sviluppo dell’organizzazione. In caso contrario si allevano ‘star’ per affermare di esserne interessati, ma preparandole in realtà per altre aziende, semmai concorrenti. Che siano o meno messi a fuoco i bisogni reali e i profili ad alto potenziale da identificare nella nostra organizzazione ci si ritrova comunque a questo punto nella vera sfida. Ovvero, come gestirli.
Il mondo di oggi è infatti un’astronave impazzita; il business è un mare in tempesta; le aziende devono sviluppare capacità e velocità inimmaginabili solo per non essere spazzate via dalla rivoluzione in atto. I modelli di business, i modelli organizzativi, gli stili di management, le modalità di lavoro e qualsiasi altro aspetto devono adeguarsi ai nuovi paradigmi imposti dalle varie rivoluzioni in corso, non importa se, a seconda dei settori, li identifichiamo nell’Industria 4.0, nella trasformazione digitale in atto o comunque nell’abbattimento di tutte le consolidate modalità di fare business. Il problema è che pensare di vedere questo cambiamento confinato solo in una élite di risorse, può generare un problema di fondo: la mancanza di risorse.
La domanda un po’ provocatoria che sollevo è se sia preferibile anteporre alla individuazione di risorse di talento il lavorare sul profondo mutamento di attitudini da parte di un più vasto e articolato parco di risorse disponibili, sviluppando semmai più orientamento di team che espressione di grandi individualità. Mi interessa sottolineare questo aspetto perché nel resto dell’articolo propongo come sviluppare e mantenere risorse con attitudini e potenziale superiore alla media oggi, ma a mio avviso le aziende devono essere attente allo sviluppo di team e alla costruzione di leadership abile a ‘generare’ team innovativi, vedi per esempio i ‘geniali’ spunti di Collective Genius (Il Genio Collettivo, Franco Angeli) di Linda A. Hill, Greg Brandeau, Emily Truelove, Kent Lineback.
Identificare e attrarre risorse di talento
Cosa fanno oggi le aziende per identificare persone di talento? Spesso queste risorse –o presunte tali– si trovano già all’interno dell’organizzazione, ma la cosa non è così nota. Si dovrebbe partire, di norma, dalla definizione di profili ideali che diventano, almeno a livello teorico, il riferimento per la ricerca di risorse ad alto potenziale. Quando si parte da una ricerca esterna, per certi versi, si è meno condizionati e dovrebbe essere (in teoria) più semplice correlare il profilo ideale con quanto emerge dall’intervista e dal curriculum.
L’identificazione di tali risorse all’interno dell’organizzazione dovrebbe mettere in correlazione i tratti salienti del potenziale, sia quelli espressi dallo stesso candidato (l’aspettativa di sviluppo e la concreta disponibilità a svolgere differenti ruoli, a cambiare lavoro, a viaggiare, a trasferirsi) sia quelli emersi da una qualsivoglia analisi del potenziale svolta con le tradizionali modalità (comitati di analisi, ricorso a consulenti esterni).
Sia nella ricerca esterna sia nella ricerca interna il punto dolens resta proprio questa valutazione del potenziale, in molti casi demandata al feeling di qualche manager o a comitati di valutazione interni affidati a improvvisati gruppi di manager alieni a simili processi. I processi di analisi del potenziale richiedono in genere competenze e tecnicalità molto specifiche che spesso neppure generici consulenti HR o cacciatori di teste di professione posseggono. Detto questo –anche turandosi il naso sulle metodologie e avendo identificato delle risorse di talento– si pone il primo vero problema che non è mai risolto in modo univoco.
L’articolo completo è stato pubblicato sul numero di Giugno – Luglio 2017 di Persone&Conoscenze.
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