L’individualizzazione dei contesti organizzativi libera creatività
management, processi organizzativi, The individualized corporation
In The individualized corporation, un testo di una certa importanza nella letteratura manageriale, Sumantra Ghoshal e Christopher A. Bartlett, alle soglie del nuovo millennio, hanno proposto il costrutto di “individualized corporation” come nuovo approccio al management, basato sull’individualizzazione dei contesti aziendali.
Messo a punto attraverso un’indagine di campo presso le imprese leader di quel tempo (come General Electric negli Stati Uniti d’America e ABB in Europa), tale costrutto è servito a definire tendenze che hanno successivamente trovato ampi riscontri.
Sono passati 20 anni, il mondo è diventato completamente diverso da allora, ma conviene partire da quel contributo al fine di percorrere –nei limiti di un breve articolo– la questione dei processi di individualizzazione nei contesti organizzativi, accennando infine ai loro riflessi sull’HR e sul vasto campo convenzionalmente indicato come formazione.
A fondamento della loro teoria dell’individualizzazione, Ghoshal e Bartlett ponevano le tendenze al decentramento che già da anni interessavano le grandi imprese, sempre più strutturate in forme multi divisionali dotate di autonomia operativa e regolate da nuovi sistemi di budgeting e pianificazione strategica a cui dovevano essere correlate valutazioni locali dei rendimenti (compresi quelli delle risorse umane).
Si giungeva in tal modo al tramonto sia del controllo del lavoro attraverso job description sia del coordinamento organizzativo basato su procedure codificate. Il modello dell’organization man basato su comportamenti prescritti veniva superato dalle visioni ispirate alla ricerca dei talenti e alla valorizzazione delle competenze.
Invece che forzare le persone entro uno stampo aziendale definito da politiche, sistemi e vincoli si cominciava a vedere che il compito fondamentale era nella direzione opposta, quella di costruire un’organizzazione flessibile al punto da poter sfruttare la conoscenza idiosincratica e le competenze proprie di ogni singola risorsa. È questo il modello che abbiamo chiamato la “individualized corporation”.
Dalle strutture ai processi
In questa prospettiva, l’individuo diventa il driver della creazione di valore e ciò richiede una radicale riconversione degli obiettivi del management in almeno tre direzioni fondamentali: ispirare la creatività e l’iniziativa individuali; mettere a punto sistemi di apprendimento capaci di integrare entrepreneurship e expertise individuali; generare modelli organizzativi capaci di continua auto-innovazione.
Dall’impresa tradizionale, basata sulla concatenazione sequenziale di strategie, strutture e sistemi, si passa così a un modello i cui assi sono finalità, processi e persone.
Le finalità, rispetto alle quali il vertice aziendale ha un ruolo diretto di visione e orientamento, tendono a prendere il posto delle strategie, definite in ogni dettaglio e frutto di complesse mediazioni tra interessi e visioni all’interno dell’organizzazione.
I processi (basati sulla catena del valore) si affermano a scapito delle strutture (auto-centrate e lente nell’evoluzione).
Il perno di ogni forma di gestione innovativa diventano le persone in quanto tali, capaci di far evolvere continuamente i propri livelli di apprendimento e di interconnessione, dei sistemi che controllano la catena di comando strutturata verticalmente e per compartimenti.
Si afferma in tal modo uno stile di management “che rigetta l’isolazionismo della gestione basata sui sistemi e lo rimpiazza con un modello capace di creare relazioni più forti tra coloro che sono meglio capaci di prendere decisioni e intraprendere azioni specifiche, sviluppando le loro capacità e supportandone attivamente le iniziative”.
La lunga coda dei processi d’individualizzazione
In apertura del loro libro Ghoshal e Bartlett propongono i passaggi della cometa di Halley come un curioso segnale di alcune tappe evolutive delle organizzazioni nel corso di varie epoche.
In epoca moderna –dopo l’apparizione a metà Settecento, agli albori della rivoluzione industriale– la cometa si è presentata nel sistema solare nel 1902, nei tempi in cui le imprese si strutturavano secondo i principi dell’organizzazione funzionale e ponevano le premesse del taylorismo.
È poi apparsa nel 1986, all’epoca delle prime corpose manifestazioni della crisi dell’organization man da cui hanno preso avvio le trasformazioni osservate dagli autori.
Il prossimo passaggio, previsto per il 2062, è per Goshal e Bartlett un mistero e lo è anche per noi: quando la cometa si ripresenterà –ammessa la sopravvivenza del Pianeta e delle forme di vita sinora conosciute– le epoche precedenti saranno null’altro che storia remota, da osservare come noi oggi –in forza dell’accelerazione del progresso–osserviamo l’Età Antica o il Medioevo.
Forzando il gioco si potrebbe affermare che il passaggio della cometa ai nostri giorni vedrebbe ancora forti tracce dei processi di individualizzazione avviati alla fine del secolo scorso. Tracce che si manifestano in rapporto sia alla disruption delle forme organizzative, che alimenta l’individualizzazione delle competenze e delle responsabilità, sia alle necessità di governare la stessa attraverso nuovi interventi per lo più orientati a una dimensione direttamente personale.
Una dimensione poco praticata prima del passaggio di secolo, se non nelle forme più ingenue della ‘motivazione’. In questo senso la gestione dei processi di individualizzazione sembra articolarsi su un doppio binario: quello della crisi dei ruoli organizzativi e quello degli effetti sulle persone in quanto tali.
Per approfondire le altre tematiche emerse nell’articolo, leggi il numero di Luglio-Agosto di Persone&Conoscenze.
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