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L’inclusione e la forza della diversity

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Una vita fa Wail Halou, laureato in Business Management all’Università di Aleppo, si dedicava alle tante attività imprenditoriali della sua famiglia, da una tipografia industriale all’export di lenticchie e spezie in Europa, passando per una catena di abbigliamento con negozi in tutto il Paese. Aleppo non era stata ancora distrutta dalla guerra che ha costretto Halou a lasciare la Siria e a scappare in Libano e poi, nel 2016, in Italia, dove gli è stato riconosciuto lo status di rifugiato.

Dopo aver imparato l’italiano all’università per stranieri di Perugia, Halou ha iniziato una nuova vita a Parma, con un tirocinio nel quartier generale di Barilla. Dal 1 novembre è assunto a tempo indeterminato per occuparsi di comunicazione e organizzazione eventi. “All’inizio pensavano di inserirmi come amministrativo, poi si sono accorti che ero overskilled per quel ruolo”, racconta. Come lui, altri otto rifugiati sono stati inseriti sulle linee di produzione o negli uffici del colosso dell’alimentare.

“Quando qualcosa deve essere fatta, è giusto farla”, dice Stefania Barone, HR Director di Barilla. “I rifugiati vanno aiutati senza pietismi, noi li formiamo al lavoro e poi valutiamo le loro performance come facciamo con tutti gli altri. Hanno, però, vissuti incredibili. Dopo aver perso tutto, hanno dimostrato nei fatti un’enorme resilienza e questa è una marcia in più per tutta l’azienda. Senza contare che, avendo l’ambizione di portare l’italianità del cibo nel mondo, abbiamo anche bisogno di comprendere le culture diverse dalla nostra”.

Barilla ha iniziato a offrire formazione e occasioni di lavoro ai rifugiati in Svezia, qualche anno fa, poi ha continuato in altri Paesi europei, Italia compresa. È una delle tante declinazioni della sua politica sulla diversity, come le iniziative dedicate al mondo LGBT o alla disabilità o i corsi su diversity e unconscious bias che hanno già coinvolto oltre 8mila dipendenti, tra operai e impiegati. “La diversità è una spinta anche in termini di sviluppo di creatività. Ed è un elemento indispensabile per comprendere meglio l’enorme varietà dei nostri consumatori”, sottolinea Barone.

Promuovere l’inclusione lavorativa

diversity inclusione rifugiatiQuella di Barilla è stata una delle testimonianze al centro del convegno Promuovere l’inclusione lavorativa: le aziende si raccontano, organizzato a Roma il 25 ottobre da Inclusive Mindset e dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr). Inclusive Mindset è un progetto di Fondazione Sodalitas, Fondazione Adecco per le Pari Opportunità e Interaction Farm che promuove l’inclusione lavorativa delle persone svantaggiate e a rischio discriminazione.

L’Unhcr ha invece lanciato dal 2016, insieme con il Ministero dell’Interno, Ministero del Lavoro, Confindustria, rete Global Compact Italy e Il Sole 24Ore, il premio Welcome. Working for refugee integration, assegnato alle aziende che promuovono l’inclusione lavorativa di richiedenti e beneficiari di protezione internazionale. Nel 2017 sono state premiate 50 tra grandi aziende e PMI.

In Italia ci sono circa 120mila rifugiati già riconosciuti, molti dei quali non riescono ancora a inserirsi nel mondo del lavoro”, ricorda Felipe Camargo, Delegato per il Sud Europa di Unhcr. “Se li lasciamo per strada, creiamo insicurezza, mentre invece possono dare un contributo importante in azienda, tecnico, economico, sociale e umano. Gli imprenditori che abbiamo coinvolto nel progetto Welcome, ci dicono che grazie a queste persone stanno cambiando la mentalità delle loro aziende”.

Il funzionario della Nazioni unite invita a guardare alla Germania, che ha inserito i profughi arrivati nel 2015, oltre 1 milione di persone, in un programma di formazione professionale di tre mesi che poi ha facilitato l’inserimento nelle aziende: “Oggi il 60% di quelle persone ha un lavoro stabile. I rifugiati sono portatori di creatività e innovazione, hanno voglia di lavorare ed energia. Le aziende possono beneficiarne e tirarli fuori da circoli di sfruttamento e illegalità”.

“Su questi temi, le imprese vanno più veloci della politica. Tante investono sulla diversità e lo fanno anche per creare profitto, perché un ambiente più eterogeneo stimola e motiva le persone, quindi migliorano i risultati”, dice Marco Buemi, Sustainable Development Manager di Inclusive Mindset, e cita una recente ricerca di Boston Consulting Group che ha valutato la diversity nel management di 1.700 imprese di 8 Paesi, prendendo in considerazione genere, età, provenienza geografica, carriera e istruzione.

“Le aziende più eterogenee avevano performance di innovazione e profitti quasi doppie rispetto a quelle meno eterogenee”. “Bisogna puntare al binomio valore-valori, includendo talenti e competenze”, dice Paolo Beretta, Program Manager di Inclusive Mindset. Il progetto organizza momenti di formazione, approfondimento e dibattito, portando le testimonianze di aziende che già hanno intrapreso questa strada. Una web App aiuta gli aspiranti lavoratori a formarsi, a farsi conoscere e a scoprire le occasioni disponibili. Infine, ci sono Job Day: “In un anno abbiamo messo in contatto con aziende e istituzioni circa 1.200 persone appartenenti a categorie che spesso non sfruttano le loro potenzialità, ma si rassegnano restare fuori dal mondo del lavoro”.

Nuovi contributi che generano valore

Anche H&M è stata coinvolta nel progetto. Prima ha formato in aula 10 rifugiati sulle basi di ogni mestiere, poi ne ha inserito tre in stage in altrettanti negozi romani per sei mesi. “Il nostro progetto voleva costruire competenze, a partire dalla scrittura di un curriculum e di una lettera di referenze, ma anche un network di relazioni sociali. L’idea era rendere i nostri store trampolini di integrazione”, dice il Recruiting Manager Francesco Zaccagnini.

I tre stagisti, alla fine, non sono rimasti in azienda: uno si è iscritto a un corso da infermiere, un altro è andato a fare il panettiere, un altro ha lasciato l’Italia. “Quell’esperienza è però stata utile a tutti loro per acquisire sicurezza e iniziare nuovi percorsi, così come ai colleghi con i quali hanno lavorato per scoprire una realtà che conoscevano solo confusamente. La filosofia di H&M è improntata all’accoglienza e alla valorizzazione della diversità in ogni singolo aspetto, il contributo di ognuno è ricchezza da condividere”. Anche per questo l’azienda ha deciso di replicare e ampliare questa esperienza con un nuovo progetto con i rifugiati nei negozi di Milano e dell’Emilia Romagna.

Sono fuggiti dalla Nigeria, dal Pakistan e dall’Iraq i tre rifugiati ai quali ha aperto le porte Trapizzino, storia di successo partita dal quartiere Testaccio e arrivata fino a New York riempiendo un cono di morbida pizza bianca con le ricette della nonne romane. “Dovevano formarsi tutti come aiuto cuoco, però Hassan è ingegnere informatico e ha subito ottimizzato i processi di carico per le spedizioni, poi ci ha aiutato a trovare una nuova piattaforma logistica. È diventato un punto di riferimento”, racconta la Recruiting Manager Francesca Criscenti.

L’azienda è già multiculturale: “Abbiamo tanti lavoratori stranieri, li abbiamo assunti scoprendo che spesso erano più in linea con i nostri valori di tanti giovani italiani. Quando si persegue un obiettivo comune le diversità spariscono in maniera naturale e anzi la diversità porta nuovi stimoli e anche un nuovo problem solving”. Oggi, anche i più ‘romani de Roma’ che lavorano nelle cucine di Trapizzino si scambiano ricette con colleghi arrivati dal resto del mondo: “Pare che la nostra migliore coda alla vaccinara la prepari un cuoco del Bangladesh”.

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