Le opportunità della Silver Economy, valorizzare l’invecchiamento attivo

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Oggi le aziende si trovano a dover far fronte a una nuova sfida: la gestione del personale agée. Le organizzazioni italiane, infatti, hanno la forza lavoro più anziana del mondo, ma sono spesso prive di esperienze e di strumenti per gestirla. Il tema, d’altra parte, riguarda tutta l’Europa, tanto che già dal 2017 l’Unione europea ha promosso un framework agreement che impegna le imprese a definire uno specifico piano di Active ageing entro il 2020.

Secondo quanto stabilito dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), per Active ageing (letteralmente “invecchiamento attivo”) s’intende quel “processo di ottimizzazione delle opportunità per la salute, la partecipazione e la sicurezza al fine di migliorare la qualità della vita con l’invecchiamento”. Ed è proprio di questo che si occupa la Silver Economy, espressione che indica l’insieme di servizi e prodotti destinati a una platea senior.

Secondo le previsioni dell’Istat, infatti, nel 2040 la percentuale di Over 65 in Italia passerà dal 20,3% al 31,3%. Stime confermate dall’Eurostat: in Italia, uno tra i Paesi più longevi al mondo, il numero di Over 65 crescerà dai 13 milioni del 2014 ai 20 del 2050.  Una tendenza, questa, che riguarda tutto il mondo; secondo uno studio del 2012 del Fondo delle Nazioni unite per la popolazione, entro il 2050 una persona su cinque avrà più di 60 anni, contro il rapporto di uno a nove di oggi.

Nel 2017 il Centro studi di itinerari previdenziali ha stimato, “in maniera prudenziale”, che in Italia l’impatto della Silver Economy si aggira sui 43-44 miliardi di euro, dato che, secondo un’elaborazione sui settori produttivi effettuata da Assolombarda, salirebbe addirittura a 122,5 miliardi. Un valore aggiunto che chiama in causa numerosi settori: dalla Manifattura al Turismo, dalle attività di svago e tempo libero all’Impiantistica, senza dimenticare la Sanità e l’Assistenza.

Diventa dunque necessario investire in beni e servizi realizzati ad hoc per questa fascia di età.  La vera prova a cui devono sottoporsi le aziende è proprio legata a questo fenomeno che in ambito dell’impresa si traduce nel graduale aumento dell’età dei lavoratori.  Pur presentandosi come un fenomeno sociale nuovo, infatti, l’aumento dell’aspettativa di vita può tradursi in rinnovate opportunità e sfide, sia per i dipendenti sia per le organizzazioni.

In uno studio del Fondo monetario internazionale (Fmi) pubblicato alla fine del 2016 (The impact of workforce aging on european productivity) si prevede che la percentuale di Over 55 ancora in attività è destinata a crescere continuativamente nei prossimi decenni, soprattutto in Paesi come l’Italia, la Spagna, il Portogallo e l’Irlanda.  D’altronde di recente la Società italiana di gerontologia e geriatria ha annunciato che oggi si diventerebbe anziani a 75 anni, poiché l’aumentata qualità della vita avrebbe reso le persone di quell’età equivalenti per “forza fisica” ai 55enni del 1980.

Sebbene tale criterio non sia l’unico  da tenere in considerazione –a contendergli il primato ci sono anche il fattore indipendenza e la memoria– si tratta sicuramente di un cambiamento di notevole rilevanza. Secondo i dati raccolti dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e presentati dal Fmi, infatti, nel nostro Paese la percentuale di impiegati tra i 55 e i 64 si assestava al 14,8% nel 2014, ma il dato è in continua crescita: nel 2020 dovrebbe salire al 19,9%, nel 2025 al 23,6% e nel 2030 al 25,8%. Si tratta dei numeri più alti di tutta l’Europa.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Maggio 2019 di Persone&Conoscenze.
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