francesco varanini

Lavoro senza luogo e senza tempo

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C’è un lavoro umano che conosciamo, che ha un luogo e un tempo. Un luogo dove si va a lavorare, dove le persone si ritrovano insieme e dove emergono forme di solidarietà. Un tempo di lavoro che lascia tempo libero, che è misura del valore della prestazione e che permette quindi di individuare un limite al di là del quale possiamo parlare di ‘sfruttamento’. Ma ci troviamo di fronte oggi a un lavoro che ci appare collocato in un non luogo che chiamiamo cloud, “nuvola”.

Con questa separazione del lavoro dal luogo, ci diventa più difficile concepire la ‘fedeltà’ al proprio lavoro e sembra scomparire la dimensione sociale della professione: ogni persona è isolata. Possiamo certo affermare che anche nei ‘luoghi digitali’ può essere cercata una socialità e anche una affettività. Ma non possiamo accontentarci di ciò che ci offrono le piattaforme di cui disponiamo.

Facebook per esempio –ma altrettanto possiamo dire di ogni social network o strumento di contatto digitale– è una imitazione del mondo molto pallida e riduttiva, semplificata all’estremo. Non può bastarci. Facebook, anzi, ci appare come una istituzione totale: non un luogo dove gli esseri umani possono cercare se stessi e gli altri costruendo spazi di libertà, ma un luogo già costruito, dove possiamo solo occupare spazi, ambiti di azione già definiti e concessi da un ‘sovrano’.

E dove, per soprammercato, siamo continuamente osservati in ogni nostro comportamento. Il caso di Facebook ci aiuta a criticare anche i luoghi di lavoro digitale. Non per rifiutarli, ma per coglierne meglio il senso e per far sì che i Direttori del Personale –e poi in genere i lavoratori tutti– possano contribuire a progettarli.

Ci troviamo di fronte a un lavoro privo di tempo: tende a perdere senso la nozione di orario di lavoro, tende a scomparire la segmentazione della vita in periodi esclusivamente dedicati allo studio, al lavoro, alla pensione. Tende a scomparire il confine tra tempo di lavoro e tempo libero; tra tempo pubblico e tempo privato.

La nuova situazione digitale –lavoro senza tempo e senza luogo– ci offre l’opportunità di ripensare le stesse situazioni di lavoro che oggi viviamo. L’esperienza femminile mostra i limiti di queste separazioni: il tempo vissuto lontano dal luogo di lavoro non è tempo libero, perché è dedicato al lavoro domestico e di cura.

Si può così anche superare l’equivoca nozione di tempo libero che è, nelle intenzioni di qualche attore politico-economico, nient’altro che tempo che l’essere umano dovrebbe dedicare a un altro lavoro, quello del ‘consumatore’. La scomparsa della divisione tempo di lavoro e tempo libero può essere intesa come nuova libertà. La situazione attuale apre la possibilità di pensare il lavoro come attività svolta da donne e uomini durante l’intero arco della propria vita: non più una vita segmentata in formazione giovanile, età adulta dedicata al lavoro, quiescenza senile.

“Quiescenza”, nel linguaggio amministrativo, è lo stato del lavoratore dipendente di ruolo collocato a riposo e consistente nella pensione e nel trattamento di fine rapporto. In senso più lato, significa: stato di riposo, di cessazione o sospensione dell’attività. Deriva da “quiete”: un concetto che ha sempre accompagnato l’essere umano. Assenza di turbamento (opposto di moto) e stato di tranquillità (opposto di rumore). L’equilibrio è, per l’essere umano, tenere insieme lavoro e riposo, lavoro e quiete. Questo è il ritmo della vita.

Un passo dell’Iliade (Libro VII) ci parla di questo. Ettore e Aiace trascorrono il giorno combattendo da eroi, accanitamente, in singolar tenzone; niente impedisce loro di proseguire senza soluzione di continuità lo scontro, fino allo sfinimento, fino alla caduta finale di uno dei due; potrebbero dunque protrarre il combattimento nel corso della notte, alle luce di torce; eppure, all’imbrunire, Ettore propone all’avversario di interrompere il combattimento. Perché “buono è obbedire alla notte”. Aiace accetta: il combattimento è sospeso. I due, sia pure temporaneamente, si “riconciliano come amici”. E anzi, si scambiano doni. Certo, all’alba il combattimento riprenderà. Ma intanto, il ritmo della vita, il ritmo lavoro-riposo –un ritmo dettato da esigenze fisiche, da antiche convenzioni sociali– è stato rispettato.

Ecco, dobbiamo oggi saper reimmaginare tutto questo sulla scena digitale. I computer sono sempre accesi, le connessioni offerte dalla Rete sono sempre attive. In fin dei conti le tecnologie –anche quelle che sottostanno al lavoro digitale, al lavoro senza luogo e senza tempo– sono disegnate dall’uomo. Forse i tecnici che disegnano le piattaforme non hanno presente la lezione di Omero. Sta a chi di noi rammenta qualcosa di tutto questo raccontare ancora queste storie.


Francesco Varanini

Francesco Varanini ha lavorato per quattro anni in America Latina come antropologo. Quindi per quasi quindici anni presso una grande azienda, dove ha ricoperto posizioni di responsabilità nell’area del personale, dell’organizzazione, dell’Information Technology e del marketing. Successivamente è stato co-fondatore e amministratore delegato del settimanale Internazionale. Da oltre 20 anni è consulente e formatore, si occupa in particolar modo di cambiamento culturale e tecnologico. Ha insegnato per dodici anni presso il corso di laurea in Informatica Umanistica dell’Università di Pisa. Attualmente tiene cicli di seminari presso l’Università di Udine. Nel 2004, presso la casa editrice Este, ha fondato la rivista Persone & Conoscenze, che tuttora dirige. Tra i suoi libri, ricordiamo Romanzi per i manager, Il Principe di Condé (edizione Este), Macchine per pensare.

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