La ri-evoluzione organizzativa: il ritorno all’azienda come vera costruzione sociale

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di Luigi Adamuccio*

Le teorie organizzative sono andate evolvendo verso un maggiore riconoscimento del ruolo svolto dalle persone nel sistema aziendale. I nuovi modelli richiedono maggiore responsabilizzazione e coinvolgimento dei collaboratori, soprattutto di quelli più motivati e competenti, con un top management in grado di supportarli e guidarli, nonché di definire e perseguire veri valori etici. Cominciano ad emergere aziende che considerano le proprie persone chiave come un capitale composto da conoscenze e capacità da tutelare e sviluppare, convinte che solo così possono superare la fase recessiva e garantirsi il successo in un mercato sempre più competitivo. Dopo aver scommesso e investito, come era giusto, molto in tecnologia e spinto oltre misura affinché la finanza si ritagliasse in azienda un ruolo sempre più importante, analizzando le conseguenze della crisi di questi ultimi quattro-cinque anni, ci si sta rendendo gradualmente conto come l’elemento fondamentale delle organizzazioni del futuro, su cui occorre puntare, è rappresentato dalla professionalità e dalla motivazione. Il lavoro, in team o per processi o per progetti, in aziende piccole o medie o grandi, comporta necessariamente la disponibilità, ancorché con modalità gestionali diverse, di risorse umane motivate, valorizzate e coinvolte.

L’attività economica
La rievoluzione organizzativaL’uomo ha innumerevoli bisogni di carattere materiale, morale, intellettuale e l’insieme delle azioni da lui dedicate al procacciamento e all’impiego di beni e servizi per il loro soddisfacimento prende il nome di attività economica. Per svolgere detta attività economica, l’uomo dà vita alle organizzazioni, che coordinano l’impiego di più beni economici (il capitale fisico o patrimonio) e di più persone con mansioni, compiti e ruoli tra loro coordinati e a livelli di responsabilità diversi (il capitale umano). Un’organizzazione, a ben vedere, non è che un gruppo di persone funzionalmente unite per raggiungere uno o più obiettivi comuni. Quello economico-sociale è un settore dell’attività dell’uomo oggi più che mai importante, un settore in cui occorre tenere in massimo rilievo e promuovere la dignità della persona e il bene dell’intera società. Analizzando l’attuale situazione del mercato, sono sempre più numerosi gli economisti che credono che dalla crisi si possa riemergere puntando non sull’economia di immagine, cartacea, sul breve gioco della finanza, ma sull’economia reale. In questo nuovo scenario, le organizzazioni sono chiamate ad assumere una maggiore valenza sociale, non solo per garantire occupazione, ma soprattutto ai fini di una integrazione della loro presenza sul mercato con una serie di azioni tese a diffondere le loro scelte di fondo in linea con il contesto, economico-territoriale, in cui intervengono. E questo, a ben guardare, significa investire soprattutto in risorse umane. Lo sviluppo economico, infatti, non può che essere al servizio dell’uomo e sotto il suo controllo: norme e metodi di gestione dell’attività economica devono muoversi nell’ambito di un ordine morale, di un’etica, e non essere abbandonati a uno svolgimento assolutamente autonomo, quasi fossero il fine e non il mezzo. Nessuno in azienda deve essere primo e nessuno ultimo, ma tutti devono godere di pari dignità, a prescindere dalla loro collocazione gerarchica, dalle responsabilità loro attribuite, dai ruoli e dagli incarichi da essi assunti. Occorre, sempre più, partecipare in maniera intensa alla vita organizzativa, così che l’azienda possa procedere in modo armonico e ciascuno possa dare il proprio contributo in rapporto alle proprie attitudini: il rischio sarebbe, come in un concerto, quello di disporre di elementi disomogenei, scollegati, dai quali non ci si può attendere che una felliniana, stonata, prova d’orchestra. Primi fra tutti coloro i quali hanno poteri decisionali, dobbiamo convincerci che, parlando di organizzazioni, di aziende e, quindi, di attività economica, un’attenzione particolare debba essere, giocoforza, dedicata al lavoro, ai suoi problemi e alla sua organizzazione in modo tale da evitare ogni danno alle persone. Anche al fine di evitare il ripetersi di crisi come quella in atto, a fronte dei doveri, da parte del lavoratore, di fedeltà al proprio impegno, onestà, diligenza e costanza, diventa necessario che: − i processi produttivi vengano quanto più possibile adattati alle esigenze della persona e non viceversa; − le opportunità del mercato vengano selezionate sulla base della maggiore o minore coerenza alla vision aziendale, con i suoi valori fondanti, e non sulla base di criteri puramente finanziari. Occorre, inoltre, sforzarsi nell’inventare nuovi paradigmi, nell’apprendere nuove culture, nell’applicare al modo di fare impresa lezioni che vengono dalla storia (la cura nel creare, la straordinaria passione che sta all’origine di qualsiasi prodotto/ servizio di qualità) combinate con il pieno utilizzo del potenziale umano. Un utilizzo che passa attraverso la responsabilizzazione e piena partecipazione dei dipendenti, la progettazione di mansioni stimolanti, il confronto aperto sui problemi, la cooperazione.

 

Le organizzazioni come architetture o istituzioni sociali
La rievoluzione organizzativa 2Un ordinato svolgimento della vita aziendale richiede l’assegnazione di compiti e una più o meno efficace ed efficiente combinazione di quelle che la letteratura definisce ‘variabili organizzative’. Stiamo parlando dei modelli organizzativi, dei processi operativi e gestionali, dei meccanismi operativi, dello stile di leadership e di tutte quelle altre componenti le cui modalità di combinazione qualificano un particolare sistema organizzativo, i cui attribuiti solo in parte prescindono dai soggetti che lo compongono in un determinato momento. Le organizzazioni possono, pertanto, essere viste, a pieno titolo, come forme di ‘architettura sociale’. A ben guardare, tutte le organizzazioni nascono da un progetto iniziale, quello dei loro promotori, i quali, tenendo conto delle risorse disponibili e del contesto di riferimento, attribuiscono loro una forma giuridica e un oggetto sociale. Rammentiamo che elementi tipici di un’organizzazione sono: − le persone; − la struttura sociale, ossia le relazioni interpersonali interne all’organizzazione e le dinamiche ad essa esterne nei rapporti con il contesto; − le tecnologie, ossia l’insieme di mezzi e risorse per la trasformazione degli input in output; − il fine, ossia gli obiettivi desiderati; − l’ambiente, ossia il contesto in cui l’organizzazione opera e il complesso degli elementi esterni che ne condizionano l’attività. Le stesse organizzazioni, dopo il loro avvio, proprio in quanto raggruppamenti di più persone, ‘sfuggono’ al disegno iniziale: l’azione intersoggettiva che si sviluppa al loro interno, combinata con le diverse azioni poste in essere in funzione dell’ambiente esterno, ben presto conferisce loro delle peculiarità che le rendono uniche. Di fatto, i soggetti che all’interno delle organizzazioni, indipendentemente dalla gerarchia, esplicano la loro personalità, operando e svolgendo attività dirette al raggiungimento dell’accennato fine comune, conferiscono ad esse la caratteristica di specifiche ‘istituzioni sociali’. In effetti, come efficacemente ed esaustivamente mette in evidenza Lucio Bernacchia, nel suo volume Principi di organizzazione e direzione1, in un’azienda “l’organigramma (…) descrive la posizione ed eventualmente le funzioni e le attività di chi comanda e di chi obbedisce, di chi sta sopra e di chi sta sotto. Ma esso non dice nulla di come gli uomini si comportano, della fatica, del disagio ovvero della soddisfazione che essi provocano, dei desideri, dei pensieri che covano. Eppure sono queste le cose che più interessano quando si tratta di conoscere la vera essenza di una struttura, la reale vita che in essa si svolge. Se non per altro, per verificare se e fino a che punto i criteri di divisione del lavoro, di gestione dell’autorità, di definizione delle posizioni risultano validi, efficaci, attuali ai fini della collaborazione collettiva. È per ciò che si ren de spesso necessario sovrapporre all’organigramma un altro schema, il cosiddetto sociogramma con il quale si tenta appunto di descrivere, nei limiti del possibile, gli effetti che la struttura ha sugli individui e le reazioni degli individui nei confronti della struttura. (…) Pertanto il sociogramma, che è una specie di organigramma del comportamento, finisce spesso per fornire la prova della presenza di relazioni informali, cioè non previste, e della esistenza di una specie di controstruttura cognitiva. Rilevare un sociogramma è però un lavoro complesso e delicato che riguarda sia la individuazione delle motivazioni operative di ciascun individuo dell’organizzazione, sia la rilevazione di tutte le forme di relazioni informali che gli individui stabiliscono all’interno della struttura ufficiale. Per quanto riguarda le motivazioni, occorre vedere in qual misura il tipo di organizzazione riesce a soddisfare la gamma delle aspirazioni e bisogni personali, quali il bisogno di sicurezza, il bisogno di emergere, il bisogno di nuove esperienze, il bisogno di esprimersi e così via”.

 

La crisi in atto e il suo insegnamento
La rievoluzione organizzativa 3Quella che stiamo vivendo da qualche anno è, come ci è già capitato di leggere o di sentire dalla Tv, una crisi complessa e dagli imprevedibili sviluppi: una crisi che dovrebbe segnare la fine di un mondo effimero, senza regole, basato su di una crescente globalizzazione senza punti di riferimento e su di una ricchezza solo apparente, fondata su di un debito insostenibile. Conseguenza di tutto questo è stata la recessione economica, di livello mondiale e senza alcun precedente nell’ultimo secolo, con il tracollo della Grecia e il rischio di una sua uscita dall’euro, con tutte le conseguenze che ne potrebbero derivare per i paesi europei più deboli come Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia. Per uscire da questa crisi non è più sufficiente fare affidamento sulle solite teorie: quel che occorre è uno scatto, un salto di qualità che riporti, come abbiamo già detto, al centro dell’attenzione il lavoro dell’uomo, non più subordinato all’egoismo, alla conquista del profitto in sé per sé, ma finalizzato al conseguimento del bene totale. Il momento attuale, di grande instabilità internazionale, è molto delicato e lascia spazio solo a chi saprà fare tesoro di questa brutta esperienza, a chi saprà occupare, con prontezza e lungimiranza, lo spazio lasciato scoperto, abbandonando una politica aziendale orientata a logiche di breve periodo, tutte volte a dare maggiore soddisfazione agli azionisti in termini di guadagni immediati. Occorre stimolare una vera e propria ri-evoluzione organizzativa, riaffermando che soggetto da valorizzare è, non soltanto quell’associazione indistinta, composita, di persone che è un’azienda, ma anche il singolo lavoratore. Nel più assoluto rispetto del vincolo di bilancio qualche esperienza esiste già ed è anche positiva. Nella parte finale di questo mio modesto contributo ne citerò un paio, a me più vicine. Con estrema ammirazione, ricordo l’esperienza personale raccontataci dall’imprenditore Livio Bertola, titolare dell’impresa cuneese Bertola s.r.l.2, co-relatore nel convegno da me organizzato per conto di Assoetica a Lecce, il 22 giugno 2012, sull’etica nel business, nelle professioni e nell’amministrazione pubblica. Ben vengano questi esempi che, nel loro piccolo, stanno contribuendo a cambiare il modo di fare impresa, anche se in maniera non sempre sufficientemente visibile ai più, facendo appello a una forte coesione sociale interna. Imprenditori, uomini d’azienda, di tale spessore e così illuminati sono un patrimonio importante per tutti. Si deve, però, fare di più: si deve contrastare, con la forza della cultura e della concreta, quotidiana sperimentazione, l’opinione tanto diffusa, quanto superficiale, che efficienza e solidarietà siano obiettivi confliggenti, alternativi. Le cose che possono essere fatte nel campo dell’ingegneria sociale sono tante: l’importante è non scoraggiarsi alle prime difficoltà, ma tentare e ritentare con costanza. Armonizzare efficienza, competitività e solidarietà non è certamente facile, ma possibile e va fatto.

 

Una nuova visione imprenditoriale
La rievoluzione  organizzativa 4I modelli e gli assetti organizzativi studiati per rendere operativa e il più efficiente possibile una struttura, un’organizzazione, assumono un ruolo centrale per i suoi membri che, a qualsiasi livello gerarchico e con qualsivoglia mansione e ruolo, in essa trascorrono la maggior parte dello loro vita. I più o meno amichevoli rapporti tra colleghi di lavoro, i valori comuni, i vincoli e i problemi familiari, le preoccupazioni, le speranze e le ambizioni influenzano, infatti, in modo non secondario le performance di qualunque organizzazione. L’organizzazione è, dunque, una costruzione che, per funzionare al meglio, richiede la coesione delle persone che ne fanno parte: tale armonica strutturazione non può non essere fondata sul senso di appartenenza e sulla convergenza degli obiettivi che continuano nel tempo e sono cementati da valori e ideali condivisi. Alla luce di quanto sin qui detto, per vincere le nuove sfide che un mercato sempre più spietato lancia, le organizzazioni aziendali non possono prescindere dal focalizzarsi su: − competenze; − flessibilità; − innovazione, anche nel sistema dei valori, che vede quelli etici entrare sempre più a far parte delle politiche formali e delle culture informali di molte organizzazioni. Occorre andare verso la costruzione di organizzazioni, di aziende più evolute, caratterizzate da una visione che: − non si preoccupi solo dei singoli elementi, ma tenga conto delle strette interconnessioni tra procedure, persone, sistemi e tecnologie; − smetta di puntare tutto sul controllo del comportamento esteriore del personale, per cercare di conquistarne la mente e il cuore; − non confonda il concetto di guida con quello di stretta sorveglianza, di potere egemonico e dominio totale. Per migliorare le prestazioni aziendali, qualità fondamentali di chi è chiamato a responsabilità di governo delle organizzazioni sono: saper ascoltare ed essere empatici; maturare una visione dinamica, ampia e trasversale (potremmo dire ‘di processo’); possedere un senso etico tanto forte da riuscire a rappresentare il ‘buon esempio’. Un primato, quindi, degli aspetti soft su quelli hard della gestione del business: aspetti collegati ai valori, alle variabili sociali, all’insieme di relazioni interpersonali, allo sviluppo organizzativo e al coinvolgimento del personale per una sua costante motivazione. Gli esperimenti in tale campo sono stati svariati sino a circa venti, trenta anni fa, di pari passo con una letteratura, al riguardo, molto ricca e feconda: a mero titolo esemplificativo, basta citare i lavori della sociologa americana Rosabeth Moss Kanter in materia di responsabilizzazione delle risorse, del sociologo americano Frederick Herzberg e di Frederick Edmund Emery, psicologo australiano considerato uno dei pionieri nel campo dello sviluppo organizzativo e autore, tra l’altro, nel 1976, in collaborazione con lo psicologo norvegese Einar Thorsrud, del libro Democracy at work. La democrazia sul posto di lavoro. Pur tuttavia, negli anni ’70 e nei primi anni ’80 l’interesse per la progettazione organizzativa finalizzata a una maggiore motivazione ha registrato una sensibile diminuzione. Questo si spiega con il fatto che i vantaggi legati al modello tayloristico, parcellizzato, inviso ai sindacati, sono tangibili e superiori, nel breve termine, alle considerazioni, di natura immateriale, relative alla motivazione e al coinvolgimento del personale. Per giunta, i miglioramenti iniziali di produttività e qualità registrati a seguito degli esperimenti di ‘job enrichment’ 3 non sembravano essere duraturi nel tempo. Attualmente l’interesse per lo studio della motivazione al lavoro e per la progettazione organizzativa sta, a mio avviso fortunatamente, risorgendo, soprattutto nelle imprese ‘labour intensive’ e ‘knowledge intensive’, in parallelo ai sempre attuali tentativi di: − ridurre i costi di struttura, attraverso l’eliminazione di molti livelli gerarchici ritenuti inutili; − ‘cost saving’, attraverso la ricerca di processi operativi e gestionali sempre più efficienti. La strutturazione delle attività operative nelle diverse posizioni lavorative non può, infatti, prescindere dalla considerazione del valore motivazionale che il lavoro stesso può avere per l’individuo. Lo svolgere un determinato compito, in un modo anziché in un altro, può, infatti, essere fonte di soddisfazione intrinseca e assumere per il lavoratore il significato, assolutamente non secondario, di ricompensa e di stimolo a fare sempre di più, producendo un rilevante effetto sul bilancio della sua vita in azienda e dell’azienda stessa. Dei collaboratori, come si suole dire, ‘engaged’ 4 sono emotivamente coinvolti nel perseguire il successo dell’organizzazione in cui lavorano; offrono e cercano significato nel lavoro che svolgono e vogliono lasciare un segno positivo. È in queste circostanze, in questi contesti che i collaboratori scelgono di usare al meglio la loro intelligenza, creatività, passione ed energia.

 

La vera tesorizzazione e valorizzazione del capitale umano
La rievoluzione organizzativa 5La rilevanza del fattore ‘gestione del personale’ per la dinamica organizzativa ritorna a trovare la necessaria validazione nell’esperienza concreta. I risultati di un’azienda, vista correttamente come un sistema socio-economico finalizzato, dipendono in gran parte dall’efficacia, dalla motivazione e dalla produttività del suo personale. Come spiegare, infatti, risultati diversi in termini di produttività, di vendite, di redditività da parte di due imprese che operano nello stesso ambito territoriale e settore di affari, con le stesse dimensioni, con identica tecnologia, se non con la differente qualità del personale? E invero, per quanto l’esistenza di tecnologie abilitanti e procedure snelle ed efficaci sia necessaria, riprendendo un’affermazione di John Seely Brown, ricercatore e consulente di organizzazione americano, “non sono i processi a fare il lavoro, ma sono le persone”. Non occorre disturbare un personaggio del passato, non più in vita, particolarmente sensibile e illuminato, dall’indubbio spessore umano e imprenditoriale come Adriano Olivetti5 per portare testimonianze di aziende particolarmente attente a un continuo investimento sui loro collaboratori, riconoscendo in esso una forte connotazione anticiclica. Io ho avuto modo di conoscere due esempi concreti di costruzioni sociali basate su solidi sistemi di valori: Economic d.o.o. in Bosnia Erzegovina e Barbetta s.r.l. nel Salento. Queste due organizzazioni sono guidate da manager di ampie e profonde vedute che hanno compreso come le aziende viaggino grazie soprattutto al cervello, alle gambe, al cuore delle persone che le animano; manager ‘open minded’ che hanno chiaramente intuito quanto l’organizzazione sia, prima che strumento per raggiungere determinati fini, un sistema di cooperazione tra individui, cooperazione che, non potendo essere data per scontata, deve rappresentare la loro principale preoccupazione. La prima volta in cui ho sentito parlare della Economic risale all’ormai lontano 1996-1997, quando, appena conclusasi la guerra civile nella ex Jugoslavia, con alcuni amici volontari della provincia di Lecce e Taranto organizzai un gemellaggio e un viaggio in Bosnia Erzegovina per portare personalmente aiuti umanitari a un paese messo in ginocchio dagli orrori di un lungo e sanguinoso conflitto. Questa è stata sicuramente l’esperienza più interessante della mia vita per l’intensità con cui l’ho vissuta, per la suggestività e la drammaticità di alcune situazioni e immagini, per la traccia indelebile che ha lasciato nei ricordi. In quell’occasione sentii parlare, per la prima volta, molto bene del signor Franjo Rajkovic, ex sindaco di Vitez, una città di circa 25.000 abitanti, di Economic e del gruppo aziendale che stava per diventare uno tra i più dinamici e innovativi modelli di business nel comparto della distribuzione organizzata in Bosnia. In seguito ho avuto la possibilità di visitare quella interessantissima realtà aziendale, ho conosciuto personalmente la famiglia del signor Franjo Rajkovic, ho avuto modo di constatare di persona come quello che si raccontava dei Rajkovic e di Economic corrispondesse al vero. L’altra persona, la cui storia mi ha particolarmente impressionato a dimostrazione di quanto nuovi modelli di governo come quelli da noi dettagliatamente descritti all’inizio di questo contributo stiano per prendere sempre più piede, è Luciano Barbetta, titolare della Barbetta s.r.l., ubicata nella zona industriale di Nardò, in provincia di Lecce.
La rievoluzione organizzativa 6L’azienda, nata nel 1988, è diventata uno dei principali referenti del mercato nella fornitura di servizi alle case di moda, italiane ed estere, del segmento lusso: ricerca dei materiali, sviluppo dei prototipi, realizzazione dei campionari, stampe, ricami, tintoria. La Barbetta s.r.l., in un momento molto critico per il settore, non si perde d’animo e, nonostante gli stringenti vincoli di bilancio, punta su strategie che mettono ai primi posti formazione, lavoro di squadra, valorizzazione delle risorse umane. Attraverso una lavorazione attenta ai dettagli, realizza un manifatturiero di altissimo livello in grado di produrre cose straordinariamente belle e autentiche, che si ispirano al nostro passato e alla tradizione italiana. Per fare questo, mette al centro dell’interesse la persona e, conseguentemente, il cliente, garantendo, autocertificando, in modo tracciato, ogni prodotto. Rajkovic e Barbetta, pur distanti più di quattrocento chilometri l’uno dall’altro, pur divisi dall’Adriatico e pur operanti in realtà molti diverse l’una dall’altra, sono mossi dalla stessa attenzione ai valori dell’uomo. E non è un caso che entrambi, il signor Franjo e il signor Luciano, si preoccupino della formazione del loro personale, l’uno ospitando l’università all’interno di una delle sua tante Filiali, l’altro preoccupandosi di pianificare la realizzazione, a proprie spese, di un politecnico delle modelliste nel Salento. Altrettanto significativo è il fatto che entrambi, il signor Franjo e il signor Luciano, quando uno dei loro collaboratori ha una qualche difficoltà finanziaria, si preoccupino di far fronte alla spesa di tasca loro, rateizzandone l’impegno o posticipandone il recupero a tasso zero.

 

*Luigi Adamuccio si occupa di Organizzazione aziendale in Banca Popolare Pugliese. Autore del libro Considerazioni su alcuni metamodelli aziendali per la creazione di valore e di articoli dal contenuto tecnico per riviste specialistiche, all’attività in azienda associa la docenza di organizzazione aziendale presso Aforisma, scuola di formazione manageriale specializzata in master postlaurea. Presso questa scuola è anche componente del relativo Comitato Tecnico Scientifico. Da giugno 2012 è Ethics Officer onorario e Referente regionale di Assoetica (www.assoetica.it). 

1 Lucio Bernacchia, Principi di organizzazione e direzione, Edizioni Calderini, Bologna, 1990.

2 La Bertola s.r.l., azienda leader nel settore dei trattamenti galvanici, lavora da circa 70 anni al servizio di importanti industrie specializzate in attrezzature sportive, arredamenti di interni, automotive e altre produzioni.

3 Il job enrichment, noto anche come ‘arricchimento dei compiti’ o ‘sviluppo verticale delle mansioni’, è una forma di ampliamento verticale delle mansioni che tende a ricomporre il processo informativo e decisionale con quello esecutivo. Consiste nell’attribuire a ciascun collaboratore dei compiti addizionali, come il controllo, la supervisione o il servizio post-vendita.

4 Motivati, valorizzati e coinvolti nel raggiungimento degli obiettivi aziendali.

5 Francesco Varanini, Contro il management – La vanità del controllo, gli inganni della finanza e la speranza di una costruzione comune, Guerini e Associati, Milano, 2010.

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