donna_manager.jpg

La donna che non c’è

, , , ,

Il nastro della storia si srotola, ma il finale non accenna a cambiare. In quante occasioni abbiamo sottolineato come le donne dimostrino una maggiore predisposizione a curare il loro apprendimento, di come la loro presenza ai vertici delle organizzazioni abbia un impatto positivo sui risultati, di quanto una composizione dei team improntata alla diversità porti maggiore innovazione… Lo ripetiamo da anni, ma nulla cambia.

A certificare l’urgenza nella quale ci troviamo ci ha pensato Quadrifor, l’istituto bilaterale per lo sviluppo della formazione dei quadri del Terziario che ha realizzato un’indagine sulla leadership femminile nell’era digitale. La ricerca rileva una partecipazione più alta delle donne alle attività formative. E i problemi partono da qui. Le donne sono mediamente più istruite, però, nel momento in cui devono accedere alle professioni, tutto si complica. Il problema è il contenuto dell’attività formativa.

Le discipline STEM rimangono, infatti, ancora una prerogativa maschile, e la sottorappresentazione di studenti in queste discipline, è quindi trasversale e questa è anche la causa di una disoccupazione giovanile in costante aumento. Non manca il lavoro, mancano le persone che lo sappiano fare.

Che la matematica e le discipline scientifiche non siano ‘cose da donne’ è un’idiozia, come ha sottolineato Tiziana Catarci, Direttrice del dipartimento di Ingegneria Informatica, Automatica e Gestionale de La Sapienza di Roma all’incontro di presentazione dei risultati dell’indagine. È urgente superare molti stereotipi, ancora ben radicati nella nostra società, che limitano il potenziale femminile. Molto spesso, le scelte dei corsi universitari, sono il frutto di condizionamenti culturali che non trovano riscontro con l’evoluzione del mondo produttivo. Le donne non considerano la tecnologia come possibile opzione, al contrario di quanto avviene con gli uomini.

Va da sé che un percorso di studi meno premiante, dal punto di vista remunerativo e occupazionale, avrà ripercussioni su tutto il percorso professionale delle donne che, oltretutto, si devono scontrare con un welfare che poco sostiene le politiche di conciliazione. Eppure l’analisi ci dice che le donne impegnate nel digitale hanno un tasso di abbandono della professione inferiore rispetto ad altri ambiti di attività.

Il digitale rappresenta un buon investimento e questo vale naturalmente anche per gli uomini, considerando la pervasività delle tecnologie legate alla Quarta rivoluzione industriale. L’indagine approfondisce anche i modelli di leadership e, dalla ricerca, emerge che le donne manager sono portatrici di un modello ‘trasformazionale’, orientata alla costruzione di rapporti di fiducia e a modelli innovativi di organizzazione del lavoro.

E questo ha una base scientifica. Nel nostro mondo del lavoro, oltre a competenze tecnico scientifiche e skill soft, servono competenze innate, tra queste l’empatia risulta essere una competenza chiave. L’empatia è la capacità di immedesimarsi, di intercettare ciò che sta accadendo e di giocare d’anticipo con maggiore facilità. Questo determina anche un diverso stile di leadership, un approccio diverso alla presa di decisioni.

Le Neuroscienze ci dimostrano che le donne sono molto più empatiche, comprendono più facilmente lo stato emotivo degli altri e hanno dimostrato anche una ‘risposta celebrale’ alla cooperazione, questo ci porta a dire che una leader donna sarà naturalmente più portata alla costruzione di un bene comune e non già all’affermazione di sé o di una posizione di potere personale.

Abbiamo quindi evidenze scientifiche che dimostrano come le donne abbiano hanno caratteristiche intrinseche adatte a governare organizzazioni che richiedono di essere guidate con prospettive nuove rispetto al passato, ora che il digitale ha cambiato il nostro modo di vivere e lavorare. Le conclusioni di questa ricerca evidenziano come non esistano best practice cui rifarsi.

Ed ecco che torna in auge la contingency theory di Joan Woodward, l’autrice di studi sull’organizzazione del lavoro che aveva spiegato come non esista una best way, come ha ben raccontato Luisa Pogliana in un articolo pubblicato sulla rivista Sviluppo&Organizzazione.

Dobbiamo saper costruire organizzazioni capaci di riconfigurarsi secondo esigenze di contesti che cambiano velocemente in cui le donne risultano avere una maggiore plasticità e un minor bisogno di un’aderenza a modelli predefiniti. Quindi sono in grado di trovare soluzioni non preconfezionate, più innovative, frutto di esigenze che non si erano mai manifestate. Cosa serve ancora per convincere che una donna può fare la differenza?

Cookie Policy | Privacy Policy

© 2019 ESTE Srl - Via Cagliero, 23 - Milano - TEL: 02 91 43 44 00 - FAX: 02 91 43 44 24 - segreteria@este.it - P.I. 00729910158
logo sernicola sviluppo web milano

Trovi interessanti i nostri articoli?

Seguici e resta informato!