La cultura digitale come percorso verso nuove libertà

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Ogni persona e ogni azienda sono chiamate a essere giorno dopo giorno più digitali. La voce degli esperti invita ognuno a una Digital transformation o come qualcuno preferisce dire, in modo più apocalittico: Digital disruption. A questo pressante appello non sempre si accompagna la riflessione.

È stato questo il tema al centro del convegno EssereDigitale – giunto alla seconda edizione dopo il successo dell’edizione del 2017 – organizzato dalla casa editrice ESTE che si è svolto a Milano il 30 maggio 2018, dove ci si è concentrati su come sviluppare una nuova consapevolezza e un innovativo senso di responsabilità per sviluppare la cultura digitale.

Per alcuni, il passaggio al digitale è solo una questione di tecnologia (“digitale”, di per sé, vuol dire numerico, “legato dall’uso di computer”, che trattano dati espressi in forma numerica); per altri è un modo nuovo di intendere il business. Più in generale, è giusto parlare di evoluzione di lungo periodo (iniziata a metà degli Anni 90: Being Digital, il libro di Nicholas Negroponte, uscì nel 1995) e di cambiamento culturale: un nuovo modo di vivere, di intrattenere relazioni sociali, e di lavorare.

Ciò che è certo è che siamo immersi nel cambiamento, a cui abbiamo dato un nome, ma non basta dire “digital divide“, perché serve un’immagine più forte, come ha spiegato Francesco Varanini, Direttore della rivista Persone&Conoscenze. È quindi diventata di uso comune l’espressione “digital disruption”.

Se nel passato la “disruption” è stata una definizione utilizzata per descrivere l’effetto dei giganteschi terremoti che spaccano la superficie del Pianeta, oggi questa espressione vuole forse ammonire i manager, i lavoratori e i cittadini tutti. Ecco perché “disruption” appare l’etichetta più adatta a esprimere il senso di una novità tecnica che impone una netta separazione tra il prima e il dopo. Ma accettare la portata e l’irreversibilità del cambiamento non significa cessare di interrogarci. E chiamati alla riflessione sono soprattutto i manager della Direzione del Personale, ma anche dell’IT, il cui ruolo è ora più affine alle necessità di business.

Come raccontato da Varanini, esistono due diversi modi di guardare a questo epocale cambiamento. Il primo è l’essere digitali, con il plurale che suggerisce l’idea di una massa di persone costrette a transitare collettivamente – e passivamente – verso l’uso di strumenti digitali.

Il secondo modo di leggere il cambiamento è l’essere digitale: qui è esclusa l’idea della massa indistinta e del passivo adeguamento; anzi, all’opposto, si considera come ogni singola persona possa trovare negli strumenti digitali la possibilità di essere più creativa, più informata, più libera, più responsabile.

“Essere digitale” significa dunque allargare l’area della propria coscienza. Secondo Varanini, la scena digitale può essere intesa in questo modo: un nuovo territorio che ha del meraviglioso, ma nel quale dobbiamo imparare a muoverci. Quale allora il modo con cui manager e consulenti possano accompagnare le persone e le organizzazioni verso una loro nuova definizione?

Una proposta è quella del Direttore di Persone&Conoscenze, per il quale il valore aggiunto che dovrebbe offrire chi si occupa di passaggio al digitale è portare a fattor comune tutti i singoli cambiamenti e le conseguenze, governando qualsiasi tipo di conoscenza dell’organizzazione vista come un insieme. Il passaggio chiave per sviluppare cultura digitale è, secondo Varanini, mettere a disposizione la propria capacità di uso degli strumenti digitali, diventando facilitatori e abilitatori del processo (non bisogna insomma delegare questi aspetti a tecnici e consulenti).

Assumere il ruolo di “creatori di ponti” è stato l’invito di Alessandro Chiechi, Responsabile Didattica ed evoluzione digitale di Banca Mediolanum che per promuovere la cultura digitale in azienda ha suggerito l‘uso delle tecnologie stesse (per esempio l’agenda Moleskine che permette di prendere appunti in modo tradizionale e di trasmetterli a un device digitale), oppure mettendo in relazione le persone con gli esperti. Nell’HR, anche i manager responsabili della Formazione sono chiamati a dare il loro contributo, destreggiandosi tra slanci verso i benefici attesi e frenate per veri o presunti timori.

In una realtà nella quale gli studi indicano che il 44% delle persone subirà un cambiamento radicale della mansione entro il 2025, mentre il 10% delle professioni saranno svolte da robot: il ruolo dell’HR, secondo Vincenzo Cianfriglia, People Business Consulting Manager di Cst Consulting, deve essere “attivo per agevolare le trasformazioni digitali“, puntando l’attenzione soprattutto sulle competenze soft. La Digital transformation, infatti, non deve essere solo una questione tecnologica: le Risorse Umane devono da un lato supportare le Line of Business nel riconoscere e sviluppare nuove competenze e professionalità e dall’altro ripensare profondamente i propri processi per renderli adeguati alle nuove esigenze di un mondo digitale. Proprio l’HR non può esimersi dall’avere competenze tecniche, perché se deve essere ‘parte della partita’, chiedendo di “cambiare al resto dell’organizzazione“, allora è chiamata a dare l’esempio.

Come detto, quindi, l’avvento di nuovi paradigmi di comunicazione e di strumenti tecnologici sta cambiando radicalmente il mondo business e le organizzazioni. Per questo, ha suggerito Marco Bossi, Managing Director di Talentia Software Italia, è necessario introdurre una vera e propria cultura dell’innovazione che non si limita al reparto IT, ma investe tutto il modello di gestione del business e delle persone in azienda. Partendo proprio dalla Direzione del Personale che deve diventare “Digital HR“, inteso come il “processo di ottimizzazione nel quale social, mobile e Analytics sono la leva che portano efficienza nelle Risorse Umane“. A questo si accompagna anche il “rinnovo culturale” con una “strategia di svecchiamento” della mentalità: da qui può infatti iniziare il processo di digitalizzazione.

Digital Saras è il programma per la trasformazione digitale di Saras che, come ha illustrato Barbara Buzzi, Area Risorse Umane e Organizzazione e Project Manager #digitalsaras, ha previsto “l’evoluzione tecnologica e di mentalità“. Il progetto è nato raccogliendo le idee del personale e alcune di queste sono già entrate a regime e altre sono in fase di industrializzazione: all’inzio del progetto (gennaio 2016) è stato scelto di individuare una funzione di Responsabilità degli sviluppo digital a diretto riporto della Direzione Generale.

La seconda parte della giornata, invece, si è aperta con l’intervento di Piero Dominici, Docente del Dipartimento di Filosofia, Scienze Sociali, Umane e della Formazione dell’Università degli Studi di Perugia. Non è esiste una dicotomia tra tecnologia e cultura, sostiene il professore: “Continuiamo a formare i tecnici e gli umanisti in maniera diversa. Invece servono figure ibride“. Dominici ha ricordato che viviamo nella società del “sapere fare”, ma dovremmo concentrarci prima sul sapere. In un sistema complesso come quello in cui viviamo, secondo il docente, bisogna tornare a parlare di cultura e di cultura organizzativa. Si corre il rischio, infatti, di dare alle tecnologie una ‘delega in bianco’, convinti che degli oggetti possano sostituirsi agli umani e, in particolare, alle responsabilità umana.

A proposito di educazione digitale e cultura secondo Luca Stella, Product Manager delle soluzioni Workforce Management di Zucchetti, la trasformazione digitale non deve lasciare indietro nessuno. Per innovare l’HR quindi è necessario porre al centro le persone. Lo strumento principe perché la trasformazione avvenga è il mobile. Del resto, l’85% degli italiani utilizza lo smartphone e la maggior parte del tempo online viene speso sulle applicazioni. Questo modifica il workspace che diventa digitale e che innesta nuove logiche di organizzazione: “Pensiamo a quante volte al giorno guardiamo il nostro cellulare. Allora perché non utilizzare questo strumento come tecnologia abilitante del cambiamento?”.

Un esempio di come la centralità delle persone sia la leva del cambiamento è ciò che è accaduto in Bricocenter, come ha raccontato Miriam Negroni, Responsabile comunicazione interna HR di Bricocenter: “Per avviare la trasformazione digitale nella nostra azienda ci siamo basati sul pilastro che tiene in piedi la nostra organizzazione, ossia la condivisione. Parliamo di collaboratori e non di dipendenti perché vogliamo che le nostre persone siano una parte dell’azienda, secondo una logica imprenditoriale che li vede azionisti dell’azienda”. In un momento di crisi molto forte in Bricocenter è stato deciso di dare uno smartphone a tutti i collaboratori perché fosse una strumento di comunicazione interna ed esterna, ha raccontato Negroni. Il mobile è diventato così abilitatore del cambiamento e ha consentito di creare tutti insieme il progetto di trasformazione digitale.

Non solo le aziende, ma anche la Pubblica Amministrazione deve fare i conti con il digitale, come ha raccontato Dario Ciccarelli, Dirigente HR area Valutazione e Sviluppo organizzativo del Ministero dell’Economia e delle Finanze che ha sottolineato prima di tutto la differenza tra la Direzione del Personale in ambito Pubblico e privato. è difficile infatti mettere le persone al centro nella PA perché sin dalla sua nascita, dal 1861,  è rimasta un meccanismo complesso e sostanzialmente invariato. Nonostante questo, la Pubblica Amministrazione si fonda sull’uniformità, al netto delle differenze di salario. Ecco perché è complicato trasformare l’organizzazione nel Pubblico in un sistema basato sulle competenze.

Perché la trasformazione avvenga serve che l’HR e l’IT dialoghino, come ha spiegato Francesco Conti, HR Manager gis e legal di Whirlpool Emea: “Per favorire la rivoluzione digitale bisogna partire dalle persone e poi le tecnologie arriveranno, come conseguenza”. In Whirlpool è stata elaborata uno road map per sviluppare l’IT in ottica HR: “Ci siamo focalizzati su quali competenze implementare e abbiamo inserito 70 nuove persone in ambito IT, puntando sulle competenze digitali”. A ogni persona è stata data la possibilità di migliorarsi, grazie a una riflessione sul proprio percorso professionale. La trasformazione digitale è passata anche dalla rivoluzione degli spazi che sono diventati più ‘smart’. Altra leva su cui si è punto è stata la diversity. Questa strategia ha portato dei risultati di business importanti.

Di digitale bisogna parlare in tutte le realtà che siano multinazionali come Whirlpool o aziende storiche meccatroniche come il Gruppo Rold. Daniela Colantropo, HR Manager di Rold ha spiegato quanto sia complicato stare al passo con le nuove tecnolgie: “Per farlo abbiamo investito molto in Ricerca e Sviluppo, affiancato a un percorso importante di formazione”. In Rold è in avvio un progetto di Digital Manufacturing che prevede l’avvio dello Smart working e un percorso di coaching per allenarsi al pensiero laterale. Ma la trasformazione digitale passa anche dall’uso di device e di orologi smart in produzione, così le persone sono state aiutate a diventare degli imprenditori di se stessi: “Oggi non siamo più solo un’azienda meccatronica, ma anche digital”.

A chiudere la giornata è stato Andrea Nesi, HR Specialist della Cassa di Risparmio di San Miniato, di recente acquisito dal Gruppo Credit Agricole. La sua testimonianza è stata interessante perché ha acceso un faro sul settore Bancario, fortemente interessato dalla trasformazione digitale. A partire dagli spazi: “Le sedi bancarie sono state per secoli emblema di gerarchizzazione e di austerità. Oggi invece c’è lo Smart working”. Le banche, secondo Nesi, devono riprendersi il ruolo di guida della trasformazione delle organizzazioni, puntando sulle persone e sullo sviluppo delle competenze, attraverso modelli applicati agli organigrammi.

 

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