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Inclusione nei luoghi di lavoro, quando la diversity genera business

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L’inclusione non è solo un concetto sociale o etico: è anche un valore economico. L’hanno scoperto molte imprese che puntano sul valore delle differenze per il loro modello di business. L’effetto della Diversity&Inclusion dei lavoratori sulle performance aziendali è misurabile: recenti ricerche hanno dimostrato che contribuisce ad aumentare l’innovazione del 20% e l’individuazione dei rischi del 30%.

Combinare diversità e inclusione sembra dunque un’equazione vincente. È in questo contesto che trovano spazio alcune storie emblematiche di aziende che valorizzano la diversità per diventare più competitive e che si sono confrontate nell’ambito dell’evento Global Inclusion a Bologna.

Il manager contadino: dalla biodiversità alla neurodiversità  

Alberto Balestrazzi è CEO di Auticon, azienda presente in sette Paesi dislocati in tre continenti che si occupa di consulenze e servizi informatici. I dipendenti sono tutte persone con autismo. Dopo 25 anni da manager di multinazionali, in cui ha girato il mondo, Balestrazzi si è ritirato in campagna. Dieci anni da coltivatore di frutti antichi gli hanno fatto capire il valore della biodiversità: non differenza da compensare, ma varietà da valorizzare. Quando è tornato nel mondo dell’impresa ha cercato di trasferire questo concetto agli esseri umani e alle aziende.

Così ha incontrato Auticon, azienda che cerca di trasformare le differenze in valore e non in ostacolo. Le persone che lavorano per l’impresa dimostrano che è possibile: si tratta di individui con caratteristiche neurologiche che, se li rendono meno proponesi alle relazioni, ai rapporti sociali, alla comunicazione tipica fra individui, li rendono tuttavia estremamente portati per lavorare nell’informatica o con le intelligenze artificiali. L’ambizione di Auticon? Quella di scomparire fra 20 anni. Sì, perché la speranza è che presto non ci sia più bisogno di differenziare le persone autistiche dagli altri lavoratori.

Scacco matto ai luoghi comuni

Floriana Ferrara, Direttrice della Fondazione IBM, di pregiudizi se ne intende: donna, del Sud, madre a 43 anni, dislessica, ‘nerd’ che lavora in un campo ancora prettamente maschile, si autodefinisce “un concentrato di lotta agli stereotipi”. Contro di essi ha dovuto combattere fin dall’età di sette anni, quando fu bocciata in seconda elementare. Ma era solo dislessica. Dalla consapevolezza della sua diversità ha preso avvio un percorso di riscatto e di rinascita, che le ha permesso di non sentirsi mai fuori posto, nemmeno sul lavoro, quando ha intrapreso la carriera di Master Inventor, ossia creatrice di brevetti tecnologici, dimostrando in prima persona che l’informatica non è solo affare per uomini.

Ferrara ha capito che non era la ‘mascolinizzazione’ di sé che l’avrebbe portata a realizzare i suoi sogni. Oggi dirige la Fondazione IBM, che si occupa di progetti di informatica volti a migliorare la qualità della vita a delle persone. In particolare, promuove il progetto N.E.R.D., “Non è Roba per Donne”, che ha lo scopo di avvicinare le studentesse di scuole medie e superiori al mondo dell’informatica, perché possano capire se essa rappresenta una possibilità da prendere in considerazione per il loro futuro di studio e professionale, al di là di stereotipi e pregiudizi che le vorrebbero maestre, parrucchiere o segreterie.

L’immigrazione come ricchezza

Gli stereotipi non sono legati solo allo stato di salute o al genere: spesso dipendono dalla provenienza geografica delle persone. Chris Richmond, ivoriano con laurea conseguita negli Usa e passaporto svizzero, ha inventato l’App Mygrants, che si occupa di mappare le competenze e le attitudini imprenditoriali dei migranti, per facilitarne l’ingresso nel mondo del lavoro.

L’80% degli stranieri che arriva in Italia ha meno di 35 anni e l’88% ha un basso livello di istruzione. Spesso hanno anche scarsa o nulla esperienza lavorativa. Però, durante il viaggio, o ancora prima, quando decidono di partire, sviluppano soft skill che possono rivelarsi utilissime sul lavoro, se opportunamente valorizzate. Il rovescio della medaglia consiste nel fatto che il 60% del fabbisogno occupazionale italiano non viene soddisfatto. Alle aziende occorrono nuovi bacini dai quali attingere risorse.

Soprattutto, c’è bisogno di un matching molto rapido tra le competenze ricercate e la disponibilità di risorse. L’App Mygrants nasce proprio con questo scopo: a oggi la piattaforma conta circa 60mila utenti attivi. Il 10% di essi si trova ancora in Africa. Fra questi sono stati censiti circa 7.700 i profili cosiddetti ‘high skilled’. Un esempio? Un’azienda romagnola si è rivolta a Mygrants perché aveva necessità di una persona con competenze informatiche, madrelingua araba e con un’ottima conoscenza della lingua italiana, inglese e francese. L’App ha selezionato alcuni profili dal proprio database e, nel giro di una settimana, hanno rintracciato la persona giusta, che dopo tre mesi era già stata assunta a tempo indeterminato.

 

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