francesco varanini

Imparare a osservare, senza pregiudizi

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L’estate è il tempo che ci resta per mettere in pratica la buona intenzione che sempre ricordiamo a noi stessi: allargare lo sguardo oltre il contingente, l’imminente, lo strettamente necessario. Ciò significa tornare a porre attenzione agli aspetti strategici e complessivi del nostro lavoro: esercizio difficile, perché le urgenze sembrano occupare tutto l’orizzonte.

Ma, cosa ancora più importante, allargare lo sguardo significa tornare a osservare il mondo senza pregiudizi, senza orientamenti immediatamente necessari. Cioè, concederci lo sguardo del flâneur. Flâneur, come ben ci spiega Baudelaire ne I fiori del male, in particolare nelle poesie Il cigno e La passante, è la persona che va a zonzo, che passeggia per la città senza fretta, muovendosi un po’ a caso, con il naso all’aria, curioso di tutto ciò che di solito non ha tempo di vedere.

In tempi recenti si è fatto un gran parlare di un libro intitolato Il cigno nero, ma 150 anni prima Baudelaire ci aveva già parlato dell’arte di saper vedere il cigno: il sorprendente, il meraviglioso. “È là che vidi, un giorno, sotto un cielo diafano e gelido, nell’ora in cui il Lavoro è al risveglio… un cigno che, scappato dalla sua voliera…”. Dovremmo insomma tornare a cercare la nostra libertà. Viaggiare e cercare nuovi sensi in nuove lingue.

Potremmo, dunque, concederci il tempo per tornare a leggere le pagine di Wilhelm e Alexander von Humboldt, due grandi umanisti tedeschi vissuti a cavallo tra Settecento e Ottocento. O, almeno, possiamo ricordare come sia per noi importante seguire le loro orme.

Nel Saggio sui limiti dell’attività dello Stato, Wilhelm von Humboldt sostiene che il grande principio guida è l’importanza assoluta ed essenziale dello sviluppo umano nella sua più ricca diversità. L’autocomprensione è la fonte della libertà. Il governo migliore è il governo che si autolimita a garantire gli spazi per l’affermarsi della libertà personale. Poi, con il suo Studio comparativo delle lingue in relazione alle diverse epoche dello sviluppo del linguaggio, ci ricorda che le lingue sono visioni del mondo.

Più che mezzi per rappresentare il mondo già noto, sono mezzi tramite i quali scoprire ciò che ci è ancora sconosciuto. Ogni nuova lingua e ogni lingua in più conosciuta porta con sé un nuovo punto di vista. La ricchezza in fondo non sta nell’accuratissimo esercizio di un singolo punto di vista, sta invece nel saper armonizzare differenti punti di vista. Lo straniamento, lo spaesamento vissuto nel transitare da una lingua all’altra, è fonte di conoscenza di sé e del mondo.

Potremmo dire che è vitale per tutti noi imparare a osservare il mondo attraverso la lingua inglese. Ma è vitale ricordare anche che un inglese standard appiattisce la nostra lettura del mondo e che ogni lingua, anche se dominata solo in parte, allarga i nostri orizzonti. Alexander von Humboldt ci porta l’esperienza del viaggio in terra straniera. A 30 anni, viaggia nell’America equinoziale. La narrazione, scritta 15 anni dopo, è per noi utilissima.

Come era un nuovo mondo per gli occidentali il Continente americano alla fine del Settecento, è oggi nuovo –e da esplorare– il mondo digitale. Si tratta di imparare a osservare, senza pregiudizi, ma senza rinunciare alle chiavi di lettura alle quali possiamo attingere, ciò che è sconosciuto. Alexander von Humboldt dedica poi gli anni maturi alla stesura di Kosmos. È anche un viaggio attraverso la propria vita.

A 27 anni, ancor prima di partire per il viaggio americano, scrive a un amico: “Je conçus l’idée d’une physique du monde”. Ho concepito l’idea di una narrazione della physis, della Natura. “Kósmos”: la parola greca è emblematica perché ci parla di buon ordine, di un ordine universale che tutto abbraccia.

“Il tutto non è quello che viene comunemente chiamato descrizione fisica della terra, comprende il cielo e la terra, tutto ciò che è stato creato […] Un sistema splendidamente ordinato e armonioso […] Le stelle che brillano nelle parti più lontane dello spazio tra le nebulose e scendono attraverso il nostro sistema planetario fino alla superficie terrestre delle piante e agli organismi più piccoli, spesso trasportati dall’aria e nascosti all’occhio nudo”.

Non ci sono confini, semmai frontiere aperte a nuove esplorazioni. L’immagine della meravigliosa e incommensurabile Natura che Alexander von Humboldt ci ha lasciato dovrebbe far riflettere chi pretende di rappresentarne la complessità tramite qualche algoritmo. E chi addirittura pretende di essere in grado di imitare la Natura o di edificarne una forse migliore.


Francesco Varanini

Francesco Varanini ha lavorato per quattro anni in America Latina come antropologo. Quindi per quasi quindici anni presso una grande azienda, dove ha ricoperto posizioni di responsabilità nell’area del personale, dell’organizzazione, dell’Information Technology e del marketing. Successivamente è stato co-fondatore e amministratore delegato del settimanale Internazionale. Da oltre 20 anni è consulente e formatore, si occupa in particolar modo di cambiamento culturale e tecnologico. Ha insegnato per dodici anni presso il corso di laurea in Informatica Umanistica dell’Università di Pisa. Attualmente tiene cicli di seminari presso l’Università di Udine. Nel 2004, presso la casa editrice Este, ha fondato la rivista Persone & Conoscenze, che tuttora dirige. Tra i suoi libri, ricordiamo Romanzi per i manager, Il Principe di Condé (edizione Este), Macchine per pensare.

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