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Il welfare aziendale come laboratorio di innovazione sociale delle imprese

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Remunerare i collaboratori è considerata da sempre un’attività fondamentale per il funzionamento delle imprese, per questo motivo ha un rilievo centrale nelle strategie e nelle pratiche di Human Resource management (HRM), un legame la cui intensità è mutata nel tempo.

Nell’epoca industriale e del lavoro reso omogeneo dal sistema fordista, alla retribuzione è assegnato il ruolo di valore di scambio per ottenere che il lavoratore metta a disposizione tempo ed energie, successivamente organizzati dall’impresa in modo autonomo, per produrre beni e servizi. A partire dalla metà del XX secolo, però, il significato e le finalità della remunerazione si ampliano.

La scuola delle Human Relation evidenzia i legami tra retribuzione e motivazione dei collaboratori, una prospettiva che apre lo sguardo sulle implicazioni delle diverse tipologie di motivazioni e premi. Diventa solida così la concettualizzazione che distingue tra ricompense intrinseche e ricompense estrinseche: le prime associate per lo più a costrutti come la soddisfazione nel lavoro, la realizzazione personale e il grado di autonomia nel lavoro, le seconde, invece, a riconoscimenti ‘esterni’ e a premi di natura monetaria e non, come possono essere l’ambiente di lavoro e le relazioni sociali.

Le accelerazioni indotte dalla rapida trasformazione dei modelli economici e produttivi registratesi a partire dall’ultima parte del XX secolo hanno via via costruito un terreno fertile per sperimentare nuove politiche e strumenti di gestione delle risorse umane. È in questo quadro evolutivo che trovano spazio approcci di gestione della retribuzione fondati sulle competenze (pay for competence) che integrano –senza sostituirle– le pratiche retributive pay for perfomance ormai consolidate, le politiche di merito adottate su iniziativa manageriale e gli strumenti di retribuzione di partecipazione, come i premi di produttività e risultato.

Oltre la dimensione transazionale della retribuzione

Questo processo evolutivo che segnala la crescente importanza della prospettiva della valorizzazione delle risorse umane trova sostegno in una più approfondita comprensione della natura delle transazioni di lavoro. Lo scambio sottostante il rapporto di lavoro, infatti, non viene considerato più solo di natura economicistica, ma anche sociale.

Cresce così l’attenzione verso le dimensioni e le implicazioni manageriali del contratto psicologico, costrutto che valorizza la componente relazionale del lavoro e il rilievo delle aspettative reciproche dell’impresa e dei collaboratori che non trovano esplicitazione nel contratto giuridico.

La dimensione transazionale del lavoro, caratteristica della concezione fondata sull’antropologia dell’homo oeconomicus e della prepotenza dei bisogni materiali, appare dunque limitata, perché incapace di valutare in modo adeguato l’importanza della dimensione relazionale che individua nei legami con i colleghi e nei rapporti con i capi, negli stili di leadership e nella fiducia alcune tra le componenti che impattano significativamente sulla soddisfazione, sulla motivazione e sulla performance dei lavoratori.

Le persone e la ricerca della felicità del resto sono mosse da bisogni molto diversi e più complessi, per natura e intensità, di quelli cui si può rispondere efficacemente con la sola retribuzione. I collaboratori, insomma, coltivano istanze più variegate e personali che s’intrecciano dinamicamente disegnando complesse configurazioni anche con bisogni culturali e sociali.

È in questa prospettiva che può essere collocato il successo, nelle pratiche di gestione delle risorse umane, dell’approccio del total reward che presta maggiore ascolto al valore che i collaboratori assegnano alle diverse componenti premianti del lavoro e delle sue sfere.

Oltre al pay, dunque, si scopre la ricchezza e si rafforza l’importanza di altri premi di natura non monetaria attraverso i quali imprese e management possono ottenere comportamenti motivati al lavoro, più alte performance, benessere (well-being) individuale e organizzativo.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di giugno 2019 di Persone&Conoscenze.
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